Il rimpasto di governo a Taipei con Chen Chien-jen nuovo premier. Foxconn tra Messico, multe e la possibile candidatura di Terry Gou. Il Pelosi-bis con la visita a Taipei del nuovo speaker (repubblicano) della Camera dei Rappresentanti Usa. Le possibili reazioni di Pechino. Xi Jinping incarica Wang Huning di fornire un nuovo modello per la “riunificazione” (nuovo segnale politico dopo “un paese, molti sistemi” di Da Wei). Qualche dato politico a meno di un anno dalle elezioni presidenziali. La rassegna settimanale di Lorenzo Lamperti con notizie e analisi da Taipei (e dintorni)
I templi sono pieni, sui treni dell’alta velocità che collegano le varie città dell’isola principale non si trova una poltrona libera e il consumo di bottiglie di kaoliang è arrivato al suo tradizionale picco annuale. Ma anche durante le festività del capodanno lunare, arrivano novità sul presente e sul futuro di Taiwan. Partiamo dalle cose ufficiali, vale a dire dal rimpasto di governo operato dalla presidente Tsai Ing-wen in seguito alla batosta subita dal suo Dpp alle elezioni locali del 26 novembre (qui un’analisi in merito).
L’ex vicepresidente Chen Chien-jen sostituirà Su Tseng-chang nel ruolo di premier. In una conferenza stampa presso l’Ufficio presidenziale per annunciare la nomina di Chen a premier, Tsai ha dichiarato: “Come persona benevola, altruista e dedita al lavoro, Chen è il candidato più adatto a guidare il Gabinetto”, ha aggiunto Tsai. Chen, 71 anni, è stato vicepresidente durante il primo mandato di Tsai, dal 2016 al 2020, durante il quale si è distinto per aver coordinato gli sforzi per riformare il sistema pensionistico del governo e per aver approvato una legge speciale per legalizzare il matrimonio omosessuale. Dopo aver completato il suo mandato di quattro anni come vicepresidente, Chen è tornato alla carriera di ricercatore presso il Centro di ricerca sulla genomica dell’Academia Sinica.
Altre nomine: il vice ministro degli Esteri Tsai Ming-yen è stato messo a capo dell’Ufficio di Sicurezza Nazionale (NSB). Tsai, studioso di relazioni internazionali ed ex diplomatico, è stato scelto per sostituire Chen Ming-tong, che si è dimesso dopo essere stato coinvolto in uno scandalo di plagio che ha coinvolto il suo ex studente, l’ex sindaco di Hsinchu Lin Chih-chien. Tsai, che ha conseguito un dottorato in studi bellici presso il King’s College di Londra, è stato nominato rappresentante di Taiwan presso l’UE e il Belgio nel giugno 2020, incarico che ha mantenuto fino alla nomina a vice ministro degli Esteri nell’agosto 2022.
Sono nel frattempo cominciate le grandi manovre di avvicinamento alle elezioni presidenziali di gennaio 2024, dopo la nomina del vicepresidente William Lai a capo del Dpp (ne ho parlato nel dettaglio nella scorsa puntata di Taiwan Files). Paul Huang della Taiwanese Public Opinion Foundation riassume alcuni dati interessanti che derivano dalle rilevazioni di gennaio, sia sull’insoddisfazione per l’attuale amministrazione sia per le preferenze in vista del voto del prossimo anno.
“Uno dei più influenti ambasciatori negli Stati Uniti non è un ambasciatore”. Sul New York Times un ritratto di Bi Khim-hsiao, la rappresentante di Taipei a Washington che qualcuno ancora immagina possa sfidare Lai per la candidatura alle presidenziali nel 2024. Di certo dalle parti della Casa Bianca è un nome sul quale (almeno per il momento) ci sarebbe maggiore fiducia.
Foxconn tra Messico, multe ed elezioni presidenziali
Un altro nome che torna in materia di elezioni è il fondatore di Foxconn, Terry Gou, appare tornato molto attivo sulla scena politica taiwanese. Come già scritto qualche settimana fa, si è schierato contro l’acquisto di nuove armi dagli Stati Uniti. E ora torna a parlare di una possibile candidatura alle presidenziali, dopo il fallimento durante le primarie del Guomindang del 2019, nonostante il suo nome piacesse sia a Donald Trump (che lo aveva persino ricevuto alla Casa Bianca) e a Pechino. Qui un approfondimento sul tema. Gou sembra per ora una seconda scelta del Gmd che prova invece a convincere il sindaco di Nuova Taipei, Hou Yu-ih, a rompere gli indugi e candidarsi.
Come atteso, le autorità di Taiwan hanno multato Foxconn per 10 milioni di dollari taiwanesi (329.000 dollari) per aver effettuato un investimento non autorizzato nella società cinese di semiconduttori Tsinghua Unigroup Co. Ltd. L’unità Foxconn Industrial Internet, quotata in borsa in Repubblica Popolare Cinese, ha acquisito una partecipazione indiretta del 9,8% in Unigroup per 5,38 miliardi di yuan (772 milioni di dollari) a luglio, ma ha venduto la quota a dicembre dopo l’opposizione del governo di Taipei.
Nel frattempo, Foxconn e altri fornitori di tecnologia taiwanesi stanno aumentando la loro capacità produttiva in Messico per soddisfare la crescente domanda di veicoli elettrici (EV) e di server da produrre in Nord America. Il Messico è uno dei luoghi chiave per gli investimenti strategici di Foxconn di quest’anno.
Pelosi-bis: Kevin McCarthy prepara il viaggio a Taiwan
Il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti starebbe preparando una visita del presidente della Camera dei Rappresentanti Kevin McCarthy a Taiwan la prossima primavera. Il sito americano Punchbowl ha anche detto che la pianificazione del viaggio è nelle “fasi iniziali” e che i funzionari dell’amministrazione del Presidente degli Stati Uniti Joe Biden si aspettano che McCarthy si rechi in visita in primavera. Probabilmente ad aprile.
Sarebbe una riedizione della visita dello scorso agosto di Nancy Pelosi, che deteneva il ruolo di speaker prima di lui, che ha portato alle manovre militari senza precedenti dell’Esercito popolare di liberazione intorno all’isola principale di Taiwan e al progressivo avvicinamento di navi e jet oltre la linea mediana, il confine non ufficiale e non riconosciuto ma ampiamente rispettato sullo Stretto sino alla scorsa estate. Qui lo speciale dedicato a tutto quanto avvenuto la scorsa estate.
L’intenzione di McCarthy non è certo una sorpresa. Già la scorsa estate aveva affermato di volersi recare a Taiwan una volta diventato speaker, aveva attaccato Biden per non aver difeso il viaggio di Pelosi e la stessa Pelosi per non aver portato con sé qualche esponente repubblicano. La difesa di Taiwan è peraltro un punto chiave dell’agenda del deputato repubblicano Mike Gallagher del Wisconsin, scelto da McCarthy per guidare la commissione istituita sulla concorrenza tra Usa e Cina.
Come reagirebbe Pechino? I commenti sui media cinesi, a partire dall’ultra nazionalista Global Times, non sono ovviamente positivi. Anche se diversi analisti citati dal South China Morning Post ritengono che possa esserci una risposta meno violenta di quella dell’agosto scorso, visto che McCarthy fa parte della fazione opposta a Biden e non può essere visto come un emissario della Casa Bianca. Al contrario di quanto accaduto con Pelosi, nonostante i distinguo operati da Biden.
Personalmente, ritengo siano tutte considerazioni valide. Ma manca forse un pezzo: a Pechino sanno che il tema resta a prescindere dal partito al potere a Washington. Guardando dunque sul medio termine, visto che nel 2024 si vota anche negli Usa, la visita di McCarthy resta una mossa alla quale Pechino si sentirà di dover rispondere in maniera decisa. Magari con modalità e sfumature diverse, ma è difficile prevedere che si faccia qualcosa in meno rispetto a quanto fatto lo scorso agosto.
Xi Jinping chiede a Wang Huning una nuova strategia per la “riunificazione”
Qualcosa si muove anche a Pechino. Secondo Nikkei Asia, Xi Jinping ha incaricato Wang Huning di mettere a punto un nuovo modello di “riunificazione” dopo che “un paese, due sistemi” è diventato impresentabile a Taiwan per quanto accaduto a Hong Kong. Wang è tra i più fidati uomini di Xi, promosso durante il XX Congresso e teorico del “sogno cinese”. La testimonianza più chiara di quanto Taiwan sia sempre più al centro dell’attenzione. Il Partito sa di dover trovare un’altra formula per provare a rilanciare il dialogo con Taipei. Xi stesso ha smesso di fare riferimento a “un paese, due sistemi”, non menzionando il modello nel suo discorso introduttivo al XX Congresso. Questo offre però a Xi “un’opportunità d’oro per abbandonare l’eredità dell’era Deng e per elaborare una propria strategia di unificazione”, scrive Nikkei.
Potrebbe essere qualcosa di simile a una formula utilizzata in modo inedito da Da Wei della Tsinghua University in una intervista che gli ho fatto a novembre, in cui parlava di “un paese, molti sistemi”. Riprendo qui sotto il passaggio contenuto in quella intervista:
Su “un Paese, due sistemi” è probabile che ci sia una incomprensione: si crede infatti che sia un modello di governance fisso, oppure, che si tratti dell’attuale sistema in vigore a Hong Kong. In realtà, il principio “un Paese, due sistemi” può avere differenti forme in ambienti diversi. Il fulcro rimane però che sotto l’ampio tetto di “un unico Paese”, dei luoghi, che applicano un alto grado di autonomia, possono, in base alla loro situazione, applicare un sistema parzialmente diverso da quello principale della Cina. In che modo questa diversità si manifesti è un aspetto che si può discutere e studiare. In realtà, negli ultimi due o tre anni, la Cina continentale ha proposto proprio di esplorare l’idea di un progetto “a due sistemi” per Taiwan, il che vuol dire una edizione di Taiwan di “un Paese, due sistemi” che potrebbe avere molto in comune con quelle esistenti ad Hong Kong e Macao, ma anche delle differenze. Quindi potremmo dire che “un Paese, due sistemi”, può essere inteso, in un certo senso, anche come “un Paese, molti sistemi”. Questo lascia una enorme flessibilità e margine di esplorazione. La forma dei “due sistemi” si può discutere, ma la premessa di “un solo Paese” è inamovibile.
“Le urla dei diplomatici wolf warrior cinesi sembrano meno intense negli ultimi tempi, lasciando risuonare i toni di funzionari più misurati. Ma il cambio di timbro della diplomazia cinese non si estende a Taiwan“, scrive l’Economist.
Non è del tutto vero, come ho scritto qui. Anche se è ovvio che la questione taiwanese resta al centro dei pensieri di Pechino. Anzi, sembra esserci sempre di più. Anche se, secondo il The Diplomat, un’azione militare è ancora un’opzione non vicina. A sostegno di questa tesi, elenca 10 ragioni per le quali Xi non sarebbe intenzionato ad attaccare nel breve periodo.
Una rivista militare cinese ha sottolineato il ruolo cruciale che i droni potrebbero svolgere in caso di guerra attraverso lo Stretto di Taiwan. Secondo la rivista, i droni potrebbero essere utilizzati per “assassinare i leader nemici” e il loro uso potrebbe ridurre al minimo le vittime, abbreviando il conflitto. Potrebbero anche essere utilizzati per colpire i lanciamissili mobili e le armi pesanti di Taiwan.
Tsai Ing-wen ha scritto a Papa Francesco per dire che la guerra tra le due sponde dello Stretto “non è un’opzione” e che solo rispettando l’insistenza dei taiwanesi sulla sovranità e la libertà possono esserci legami sani con Pechino.
Intanto, però, continuano ad arrivare testimonianze sulle condizioni non eccellenti dell’esercito taiwanese. La Cnn ha intervistato sei ex coscritti che hanno parlato delle loro recenti esperienze di servizio obbligatorio nell’esercito di Taiwan. Descrivono un processo concepito decenni fa con una forte enfasi sull’addestramento alla baionetta, ma privo di istruzioni sulle strategie di guerra urbana o sulle armi moderne come i droni. Alcuni dicono che c’erano troppo pochi fucili a disposizione o che le armi con cui si sono addestrati erano troppo vecchie per essere utili. Altri raccontano di essersi “specializzati” in unità di cannoni, granate e mortai, ma di non aver mai ricevuto munizioni con cui allenarsi. Ho scritto varie volte sul tema, per esempio qui.
Altre cose
Di Lorenzo Lamperti
Taiwan Files – La puntata precedente con l’identikit di William Lai, nuovo leader del DPP
Taiwan Files – Tutte le puntate del 2022
Taiwan Files – Le elezioni locali e l’impatto sulle presidenziali 2024
Qui per recuperare tutte le puntate di Taiwan Files
Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.