Intervista a Wang Feng. Il sociologo ed esperto di demografia della University of California, Irvine, analizza radici e conseguenze del calo demografico cinese
Professor Wang Feng, come va analizzato il dato sul pil del 2022?
Prima di tutto, la notizia è arrivata dalla Cina nello stesso giorno con due dati che sembrano pessimistici. Il governo aveva sperato di raggiungere il 5% dopo il rimbalzo del 2021. L’aspettativa per il 2022 era quella di mantenere il 5% di crescita. Il numero era sostanzialmente al di sotto e il secondo più basso degli ultimi 40 anni. Tra le ragioni principali c’è la strategia zero Covid e le restrizioni anti pandemiche prima e in seguito la grande ondata di contagi delle ultime settimane del 2022. Il virus ha gran parte della responsabilità.
E per quanto riguarda il calo demografico?
Il Covid non invece è il fattore principale del calo della popolazione. Il tasso di fertilità è sotto il livello minimo già da circa 30 anni ed era dunque solo questione di tempo prima che la popolazione calasse. Ma che sia avvenuto adesso è più presto di quanto si pensava. Io studio demografia da tutta la vita e mi aspettavo che la curva si sarebbe invertita solo nei prossimi anni. Gli esperti delle Nazioni Unite avevano previsto già lo scorso anno che il picco della popolazione cinese si era verificata nel 2021, ma solo tre anni prima aveva previsto che questo picco ci sarebbe stato nel 2031. Ci si sposa meno e sempre più tardi. E si fanno sempre meno figli. Non era previsto fosse una sorpresa ma lo è stata. Il processo era dunque preventivabile, ma è successo in maniera molto più rapida di quanto previsto.
Ritiene che questa inversione di tendenza sia un preludio a un declino dell’ascesa cinese tout court?
La Cina non è il primo paese a vivere questo processo, è molto semplicistico pensare che a questo calo debba per forza di cose corrispondere un declino dal punto di vista politico e diplomatico. Si aggiunge ad altri vicini asiatici come Giappone e Corea del Sud, ma anche ad altri paesi come Russia, Italia, Polonia e tanti altri. Credo che in questo caso l’impatto psicologico sull’opinione pubblica globale sia più forte perché si sta parlando di quella che è sempre stata la nazione più popolosa al mondo.
Non è che per caso ha inciso soprattutto il diverso stile di vita dei cinesi rispetto a un tempo?
Proprio così. Il cambio della popolazione è un processo lungo che non riguarda solo i numeri. Negli ultimi 20 anni ci sono stati già grandissimi cambiamenti nella popolazione cinese. I cittadini con istruzione universitaria è aumentata di dieci volte, così come è raddoppiato il numero di anni di aspettativa di vita sopra i 65 anni di età. La popolazione cinese non è solo più vecchia, ma anche più istruita e con una salute migliore. La ragione principale del calo demografico è il cambio dello stile di vita dei cittadini cinesi. I giovani cinesi in età da nozze sono tutti nati dopo l’inizio della crescita economica e non hanno sperimentato dunque la carestia, la fame e la povertà che hanno vissuto i loro genitori e i loro nonni. Sono più istruiti e connessi globalmente.
La politica del figlio unico che ruolo ha giocato?
La politica del figlio unico ha certamente avuto qualche effetto ma questo effetto è stato spesso esagerato e incompreso. Il livello di fertilità in Cina era cominciato a declinare già prima della sua entrata in vigore. L’effetto più importante è stato quello sociale, convincendo i genitori cinesi che la normalità era avere un solo figlio. Un effetto rimasto in mente anche dopo la cancellazione della politica.
Come può fare il governo per provare a rallentare il calo?
Il governo sta provando ad affrontare il problema del calo demografico e non lo sta nascondendo. C’è bisogno di accelerare sulla costruzione di una rete di sostegno sociale per i più anziani, inclusa una copertura sanitaria più efficiente. Credo che i dati usciti in questi giorni convinceranno i leader che non possono più aspettare e devono accelerare il passo.
La priorità non sarebbe quella di ripristinare la fiducia dei consumatori?
Assolutamente sì. Il governo deve sostenere la fiducia dei consumatori. L’elemento psicologico è fondamentale per convincere le persone a spendere e a investire. Le abitudini di spesa sono legate alle aspettative di guadagno. Vanno creati nuovi meccanismi e canali per far fruttare i risparmi dei cittadini.
Si aspetta nuovi allentamenti sul settore immobiliare?
Sfortunatamente sì. Il mercato immobiliare cinese, soprattutto nelle grandi metropoli, è già più che saturo. Il governo è ben consapevole che il sistema adottato dagli sviluppatori privati non è sostenibile, se ha deciso di rilassare la stretta significa che non ha altri antidoti per stimolare la crescita. È come una vecchia medicina che sai che in passato ha funzionato tante volte e decidi di prenderla anche se sai che dovresti risolvere il problema in altro modo.
Di Lorenzo Lamperti
Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.