Il Giappone ha ospitato l’Assemblea delle Donne “WAW! 2022”. Da decenni i governi si sforzano di includere l’uguaglianza di genere nell’agenda politica, ma le donne giapponesi restano ancora sostanzialmente escluse dai processi decisionali. Per raggiungere l’uguaglianza di genere in Giappone serve un intervento sulla rappresentanza femminile e sulle condizioni materiali delle donne
Alle donne giapponesi, finora, non è stato riservato un ruolo attivo nei processi economici e politici in cui si gioca il futuro del Paese. Ma una loro inclusione rappresenta un enorme “potenziale da dischiudere” in termini di crescita economica per il Giappone. È questo uno dei punti focali dell’Assemblea Mondiale delle Donne “WAW! 2022” che si è tenuta a Tokyo il 3 dicembre scorso. Per Michiko Achilles, membro del Comitato consultivo di “WAW! 2022”, nonostante le scarse performance del Giappone in termini di uguaglianza di genere, bisogna guardare il “lato positivo”: l’inclusione delle donne giapponesi nei processi decisionali rientra nel piano per il “nuovo capitalismo” del primo ministro Fumio Kishida.
Nelle intenzioni del premier del Partito liberal democratico, si tratta di un programma politico ed economico che si impernia sul binomio crescita-redistribuzione. Al Giappone tocca infatti la presidenza di turno del G7 per il 2023. Per questo, secondo Achilles, Tokyo si impegnerà per promuovere il gender mainstreaming a livello internazionale, a partire dai risultati della Conferenza. Secondo un rapporto di Ipsos Group, società di consulenza e ricerche di mercato, i governi giapponesi hanno fatto negli anni diversi proclami a proposito della parità di genere. Ma “i progressi continuano a essere inferiori alle intenzioni dichiarate”. Servirà un intervento sostanziale nella vita quotidiana delle donne (e degli uomini) giapponesi perché il Paese possa sollevarsi dal fondo dei ranking internazionali sull’uguaglianza di genere.
Il governo Kishida inaugura la WAW! 2022
La conferenza “WAW! 2022” si è tenuta dopo tre anni di pausa forzata causata dalla pandemia, ha sottolineato in conferenza stampa il direttore della Divisione gender mainstreaming del Ministero degli Esteri Tatsuhiko Furumoto. Si tratta della quinta conferenza di questo tipo organizzata dal Giappone. Ha avuto luogo in forma ibrida presso il Mita Conference Center di Tokyo, e ha visto partecipare una serie di ospiti di alto profilo. Tra questi, il presidente islandese Guðni Thorlacius Johannesson, la presidente moldava Maia Sandu, il Sottosegretario generale delle Nazioni Unite e Direttore esecutivo di UN Women, e altre personalità provenienti da vari Paesi e organizzazioni internazionali.
Furumoto ha sottolineato che la pandemia da Covid-19 e la guerra in Ucraina hanno portato instabilità economica e sociale, e hanno inasprito (tra le altre) le diseguaglianze di genere. Incontri come la “WAW! 2022” sono considerati un’occasione perché i leader e le leader di tutto il mondo si confrontino su come accelerare il raggiungimento della giustizia e delle parità in ogni ambito della società.
…ma per Ipsos Group l’uguaglianza di genere in Giappone è lontana
Come sottolinea la società di consulenza Ipsos in un rapporto del febbraio 2022, nel 2020 il Giappone era sceso di 11 posizioni nelle classifiche internazionali sull’uguaglianza di genere del World Economic Forum, passando al 121° posto su 153 Paesi a livello globale. Nella regione dell’Asia orientale e del Pacifico, invece, era al 18° posto dopo i dieci Paesi del blocco ASEAN, Nuova Zelanda, Australia, Mongolia, Fiji, Cina, Corea del Sud e Timor Est.
Nel 2021 ha visto un leggero miglioramento, che lo ha fatto scalare di un posto (al 120°) con un gender equality gap del 34,4%. Ma c’è di più, perché dalla ricerca di Ipsos Group emerge come il Giappone sia meno propenso degli altri 27 Paesi esaminati ad affermare: “il raggiungimento della parità di genere è importante per me personalmente”. Ciò vale sia per gli uomini che per le donne. Rispettivamente solo il 31% e il 41% delle persone intervistate era d’accordo.
La scarsa considerazione delle donne per ruoli apicali e di prestigio, in Giappone, è il sintomo di un fenomeno storico e culturale che ha radici profonde. Ma ciò non significa che la politica non debba prendersi le sue responsabilità. Già l’esecutivo precedente del defunto Shinzo Abe aveva cercato di includere la manodopera femminile nel suo progetto “Abenomics” per la crescita economica del Paese. “Womenomics”, così si chiamava la strategia lanciata quasi dieci anni fa dall’ex primo ministro per la rimozione degli ostacoli all’occupazione femminile.
Il gender mainstreaming e la “pandemia ombra”
L’obiettivo era di avere il 30% di tutte le posizioni dirigenziali occupate da donne entro il 2020. Nel 2019, era evidente che l’obiettivo sarebbe stato mancato (con meno del 15% dei posti di lavoro dirigenziali occupati da donne) così la scadenza era stata spostata al 2030. Un “successo a metà”, secondo Fortune. Ma il gender mainstreaming non riguarda solo il contributo femminile alla crescita economica, ma è da considerarsi un metodo per promuovere l’uguaglianza di genere in ogni aspetto di una società. La prospettiva di genere dovrebbe essere integrata nel processo decisionale per quello che riguarda l’economia, l’ambiente, l’energia, la sicurezza.
Il primo ministro Kishida, nel suo discorso inaugurale ha sottolineato l’importanza di porre la questione in cima all’agenda politica di ciascun Paese. A maggior ragione dal momento che la pandemia da Covid-19 ha prodotto anche una “pandemia ombra”, legata agli abusi e alle violenze di genere che sono drammaticamente peggiorate a livello globale a causa dei continui lockdown. Quest’anno il Giappone si è classificato 116° tra 146 Paesi, con il livello più basso dell’indice di divario di genere tra i Paesi del G7.
Serve un boost alla rappresentanza femminile nei luoghi decisionali
Secondo il Gender Equality Bureau del gabinetto giapponese, il numero di donne dirigenti nelle società quotate in borsa è aumentato di 4,8 volte in 9 anni (2012-2021); anche quello delle donne occupate ha visto un rialzo di circa 3,4 milioni in 9 anni (2012-2021), secondo il Labour force basic survey del Ministero degli Interni. La percentuale di donne nei livelli di direttore di dipartimento, direttore e capo sezione è in costante (anche se lento) aumento. Achilles ha sottolineato, però, che le lavoratrici giapponesi, “molto istruite e in salute”, sono ancora poco considerate per i ruoli dirigenziali. Questa è un’opportunità mancata anche in termini di crescita economica nazionale. Il governo dovrà creare le condizioni per eliminare quel “soffitto di cristallo” che separa sistematicamente le donne dai ruoli decisionali in politica e in economia.
Per raggiungere l’uguaglianza di genere in Giappone è cruciale aumentare anche la rappresentanza femminile nelle posizioni di alto livello in ambito politico, economico e istituzionale. Nonostante la “WAW! 2022” il governo non sembra aver colto appieno questo punto, dal momento che l’attuale gabinetto è composto da due sole ministre. Sanae Takaichi è alla Sicurezza economica e Keiko Nagaoka all’Istruzione. Il ministero che si occupa di questioni di genere, natalità, e women’s empowerment è intestato a un uomo, Masanobu Ogura. La Conferenza ha dato modo al Giappone di confrontarsi con Paesi dell’Europa del nord che godono di virtuose performance legate all’uguaglianza di genere. Ma dovrà impegnarsi di più sulle condizioni materiali delle donne se vorrà porsi come interlocutore credibile su questi temi in vista della presidenza G7 dell’anno prossimo.
A cura di Agnese Ranaldi
Laureata in Relazioni internazionali e poi in China&Global studies, si interessa di ambiente, giustizia sociale e femminismi con un focus su Cina e Sud-est asiatico. Su China Files cura la rubrica “Banbiantian” sulla giustizia di genere in Asia orientale. A volte è anche su La Stampa, il manifesto, Associazione Italia-Asean.