2100. La terra è arida, parzialmente inabitabile e gli esseri umani si sono trasferiti altrove per sopravvivere. Non in un pianeta lontano, come ci si aspetterebbe da tanti racconti di fantascienza. No, in Membrana per sopravvivere hanno colonizzato i fondali degli oceani dove convivono con androidi e dilemmi identitari. Pubblicato e Taiwan nel 1995, e ora in italiano da add (pp. 20, euro 160), il racconto di Chi Ta-wei è un classico cyberpunk della narrazione speculativa cinese con talento predittivo e una declinazione queer che si inserisce in una tradizione aperta da Pai Hsien-yung nel 1983 con Crystal Boys, quando a Taiwan era ancora in vigore la legge marziale imposta da Chiang Kai-shek.
Una madre da cui è separata da oltre 20 anni. Una complicata operazione che le ha fatto cambiare sesso quando era piccola. La perdita di un’amica d’infanzia. E una vita introversa e nostalgica negli abissi sottomarini, mentre in superficie androidi combattono guerre per conto di superpotenze che si sono accaparrate i fondali oceanici ma non mollano le ormai aride terre emerse. È la vita di Momo, protagonista di Membrana di Chi Ta-wei. Professore associato di letteratura taiwanese alla National Chengchi University di Taipei, Chi è considerato uno dei massimi autori della narrativa queer sinofona. Vincitore di numerosi premi letterari, i suoi libri spaziano dalla fantascienza alla saggistica. Membrana è il suo racconto più celebre. Larissa Heindrich, la sua traduttrice in inglese, lo ha definito “romanzo transgender”. Nell’intervista a il Manifesto, Chi ha parlato di un possibile secondo capitolo.
Da dove nasce l’ispirazione per «Membrana»? La storia è ambientata in un futuro immaginario o in un universo parallelo?
Un’ispirazione immediata viene dal mio ragazzo di allora che svolgeva ricerche sul buco dell’ozono e mi parlava spesso di quella crisi. Mi disse che in futuro gli esseri umani avrebbero dovuto trovare il modo di proteggersi dall’eccesso di raggi solari. Così ho pensato di raffigurare una vita alternativa sotto il mare. Ma sono stato ispirato anche da altri eventi. A Taiwan si leggeva tanto di Dolly, la pecora clonata nel Regno Unito. E poi gli androidi erano ovunque nei manga giapponesi che qui hanno influenzato intere generazioni. Il romanzo è incentrato sull’esplorazione di sé da parte di una persona solitaria più che sulla creazione di un futuro distopico in cui proiettare le paure sul cambiamento climatico. Immaginavo un mondo lontano nello spazio più che nel tempo dove gli esseri umani devono fuggire in fondo al mare. Io pensavo di dover fuggire dalla Taiwan omofoba di un tempo verso l’Occidente. Ma sia io nella realtà che Momo nel romanzo non riusciamo mai davvero a fuggire. E alla fine ho scoperto di potermi riconciliare con la società taiwanese che nel frattempo è radicalmente cambiata.
Automazione, catastrofe climatica, guerre per procura: erano questi i timori quando ha scritto il libro?
Negli anni ’90 ero attento all’automazione e alla catastrofe climatica, ma non ne avevo paura. Al contrario, ero affascinato da questi temi. Quando si è giovani spesso non si sa cosa temere, ma ci si è eccitati dall’ignoto. Con l’avanzare dell’età comincio invece ad avere paura di tutte queste cose. Anzi, mi spaventano talmente che ho smesso di usare Facebook e altre applicazioni. Spesso mi sento già nel bel mezzo di una distopia. Il trasferimento degli esseri umani negli abissi comporta atti imperialistici: il mare diventa oggetto di una nuova colonizzazione. Un aspetto del mio racconto che ho compreso più in là, osservando le numerose guerre scoppiate nel frattempo.
Ambientando la storia nel futuro ha voluto evitare temi tabù? A Taiwan i matrimoni tra persone dello stesso sesso sono legali, ma pensa che sui diritti lgbt si possa ancora migliorare?
In realtà, in passato ho anche pubblicato storie esplicitamente gay su giornali o riviste che raccontavano la vita quotidiana di Taiwan. Una ragione molto importante per cui ho scelto di scrivere un romanzo di fantascienza è che non volevo che fosse biografico o autobiografico. La letteratura queer taiwanese tendeva a rivelare segreti personali dei suoi autori o degli amici degli autori. Io invece non volevo che le persone queer intorno a me sospettassero che stavo scrivendo di loro, così ho scelto di trasferire la storia in un universo alternativo. Quanto ai diritti, credo che ci si trovi in una via di mezzo. Quando sono tornato a insegnare a Taipei 10 anni fa, molti studenti avevano paura di partecipare al Gay Pride. Dieci anni dopo, quasi tutti parlano con disinvoltura delle loro sessualità.
Nella storia emergono altri due temi, i dubbi identitari di Momo e la riscoperta o messa in discussione del passato: argomenti legati alla situazione di Taiwan?
Certamente. Credo che negli anni ’90 siano coesistite due narrazioni parallele. La dimensione intima di tante persone non etero che cercavano di capire chi erano e cosa volevano, e quella più ampia della società taiwanese, dove molti hanno scoperto di non essere «cinesi» nel modo in cui gli era stato insegnato dal Guomindang. Perciò, cos’erano, cosa eravamo? Le due dimensioni erano intrecciate l’una all’altra. Negli anni ’90 Taiwan cominciava a voler riscoprire il proprio passato e Membrana ha un legame indissolubile con quel contesto. Del resto, la comprensione del passato è uno dei temi principali del mio studio e ho lavorato anche ad una monografia sulla storia della letteratura queer taiwanese.
Nel romanzo, Taiwan continua ad esistere sott’acqua e svolge un ruolo importante come centro finanziario: guarda al futuro più con timore o con speranza?
Quando ho scritto il libro era comune concepire Taiwan come un’entità isolata e quasi abbandonata dal mondo. Ora ritengo che tale concezione fosse imprecisa, sentimentale e narcisistica. Se concepiamo Taiwan come parte di una mappa regionale e globale in cui scambiare risorse e condividere responsabilità, credo che si possano gestire i timori in modo più pragmatico e regolare le speranze in modo più realistico.
In Membrana viene citato Pier Paolo Pasolini: qual è il tuo legame con lui?
Come Federico Fellini, Pasolini era uno dei miei eroi quando ero al liceo e all’università. A Taiwan potevamo vedere alcuni dei loro film, grazie a copie pirata di film europei su Vhs. All’epoca non avevo amici gay. Non sapevo se ci fossero altri ragazzi gay intorno a me. Guardare i film di Pasolini mi faceva sentire molto meno solo.
Di Lorenzo Lamperti
[Pubblicato su Il Manifesto]
Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.