bao tong

In Cina e Asia – È morto Bao Tong

In Notizie Brevi by Francesco Mattogno

I titoli di oggi: 

  • È morto Bao Tong
  • La Cina fissa al 2030 il picco di emissioni di per i materiali da costruzione
  • Duisburg non è più la “China city” tedesca
  • Cyberspazio: Xi invita alla “collaborazione internazionale”
  • La Cina si oppone all’ingresso del Giappone nella cyber-alleanza della NATO  
È morto Bao Tong: l’oppositore della repressione di Piazza Tian’anmen aveva 90 anni

Bao Tong, storico dissidente cinese, è morto mercoledì all’età di 90 anni. A riportare la notizia su Twitter è stato suo figlio, Bao Pu. Bao Tong, membro di rilievo del Pcc e fedelissimo dell’ex segretario generale Zhao Ziyang, venne incarcerato per 7 anni a causa della sua opposizione alla repressione delle proteste democratiche di Piazza Tian’anmen del 4 giugno 1989. Da allora ha scritto articoli e rilasciato interviste rivendicando la propria posizione. Ha passato gli ultimi anni della sua vita agli arresti domiciliari.

La Cina fissa al 2030 il picco di emissioni di per i materiali da costruzione

Mentre avanza il programma della COP27 di Sharm el-Sheikh, da Pechino non arriva una bella notizia per il clima. Come riportato da Bloomberg, la Cina ha fissato al 2030 l’anno per il raggiungimento del picco di emissioni di carbonio per le industrie dei materiali da costruzione. Si tratta del terzo settore che inquina di più dopo quelli dell’energia e dell’acciaio. Secondo BP plc (ex British Petroleum), l’industria del cemento cinese, da sola, emetterebbe la stessa quantità di CO2 dell’intera produzione energetica dell’India. Gli esperti ritengono che la Repubblica popolare voglia così darsi del margine per poter stimolare il settore edilizio, in caso di necessità, allo scopo di sostenere il PIL. Si tratta però di un passo indietro importante. Solo a settembre l’industria del cemento aveva proposto di arrivare al proprio picco di emissioni per il 2023, con il settore delle costruzioni nel suo insieme che lo avrebbe raggiunto nel 2025.

Duisburg non è più la “China city” tedesca

Bisognerà cambiare soprannome a Duisburg. La città tedesca di 500.000 abitanti, che sorge sulla confluenza dei fiumi Reno e Ruhr, non ha rinnovato il memorandum che dal 2018 la legava a Huawei. L’accordo, scaduto il mese scorso, avrebbe dovuto trasformare Duisburg in una smart city sul modello cinese ed era maturato più o meno nello stesso periodo in cui stavano iniziando a sorgere i primi grandi dubbi sul ruolo strategico di Huawei nelle infrastrutture 5G europee. Addio alla “China city” tedesca, dunque. A dare la notizia è il South China Morning Post. Dietro il mancato rinnovo c’è sia la necessità di capire che tipo di rapporti il governo Scholz vorrà instaurare con Pechino, sia “le attuali relazioni tra Russia e Cina”, ha dichiarato al quotidiano di Hong Kong il portavoce del sindaco di Duisburg.

I primi collegamenti tra la “China city” e la Repubblica popolare risalgono agli anni ’80, e nel 2013 il suo porto fluviale è stato dichiarato parte ufficiale della Belt and Road (BRI), tanto da aver meritato la visita di Xi Jinping l’anno seguente. Ma qualcosa non ha funzionato. Questo giugno la cinese Cosco – che ha appena acquisito, tra mille polemiche, una frazione del porto di Amburgo – ha venduto senza troppe spiegazioni le proprie azioni nel terminal portuale di Duisburg. La rottura del legame con Huawei (già sospeso causa covid dal 2020) potrebbe quindi chiudere definitivamente quella “porta d’accesso sull’Europa” che Pechino sperava di avere tra il Reno e la Ruhr.

Cyberspazio: Xi Jinping invita alla “collaborazione tecnologica internazionale”

La comunità internazionale “dovrebbe rafforzare la collaborazione per far fronte alle sfide e alle opportunità offerte dalla digitalizzazione (…) per contribuire alla pace e al progresso della civiltà umana”: parola di Xi Jinping. Il segretario generale ha scritto una lettera per inaugurare la World Internet Conference (WIC) di Wuzhen, l’evento a cadenza annuale – organizzato dalla CAC, l’agenzia cinese per il controllo, la regolamentazione e la censura di internet – che dal 2014 riunisce nella città dello Zhejiang alti funzionari e big del cyberspazio mondiale. Ed è proprio un cyberspazio “equo, aperto, sicuro e vivace” quello di cui Xi si è fatto portavoce nella lettera. Presente invece in carne e ossa il nuovo capo della propaganda, Li Shulei, che ha riproposto l’idea di “futuro condiviso nel cyberspazio” espressa da Xi nel 2015. Bei propositi che devono però fare i conti con una realtà che appare ben diversa. La repressione delle big tech cinesi e le restrizioni americane alle esportazioni di chip verso Pechino stanno rendendo sempre più difficile una possibile cooperazione nel settore, sia interna che internazionale. Tanto che lo stesso WIC ha perso di prestigio e non attira più grandi nomi come in passato. Nonostante questo, come riporta il South China Morning Post erano virtualmente presenti all’evento i CEO delle americane Intel, IBM e Cisco, insieme, di persona, agli omologhi cinesi di AliBaba, JD.com e Xiaohongshu.

La Cina si oppone all’ingresso del Giappone nella cyber-alleanza della NATO

Il Ministero della difesa giapponese ha annunciato l’ingresso del paese nel Centro di eccellenza per la difesa informatica cooperativa della NATO: in breve, CCDCOE. Si tratta di una piattaforma di contrasto alla guerra informatica che l’Alleanza atlantica apre anche a stati che non ne sono membri. Per esempio, a maggio vi ha aderito anche la Corea del Sud. Non si è fatta attendere la reazione (verbale) della Cina. “Non è necessario stabilire una versione in Asia-Pacifico della NATO”, ha dichiarato il portavoce del Ministero degli esteri di Pechino, Zhao Lijian. Il grado di cooperazione sempre maggiore tra l’Alleanza atlantica e il Giappone infatti “è preoccupante per la Cina”, ha aggiunto al South China Morning Post un professore dell’Università di Lingnan, Zhang Baohui. A giugno Fumio Kishida è stato il primo premier giapponese a partecipare a un vertice NATO, e questo ulteriore passo potrebbe aprire all’ingresso del Giappone nell’alleanza di intelligence Five Eyes, che comprende USA, Australia, Regno Unito, Canada e Nuova Zelanda. In una bozza dello scorso anno che riguardava la strategia sulla cybersicurezza, il Giappone aveva classificato Cina, Russia e Corea del Nord come “minacce informatiche” per il paese. L’adesione al CCDCOE, ha concluso Zhang Baohui, servirà a “dissuadere la Cina dall’intraprendere politiche o azioni che potrebbero danneggiare gli interessi nazionali del Giappone”.

A cura di Francesco Mattogno