La relazione politica di Xi Jinping. L’emendamento allo statuto del Partito. Le nomine nel Comitato permanente e nella Commissione militare centrale. Le reazioni di Taipei, degli Usa e dell’Ue. Diplomazia e semiconduttori. Tutto quello che c’è da sapere sul XX Congresso e Taiwan. Con analisi e interviste. La rassegna settimanale di Lorenzo Lamperti con notizie e analisi da Taipei (e dintorni)
Il XX Congresso del Partito comunista cinese ha consegnato, come previsto, un terzo mandato da segretario generale a Xi Jinping. La settimana di lavori è stata seguita con attenzione anche da Taiwan. La relazione politica ma soprattutto gli emendamenti allo statuto del partito e alcune nomine dimostrano che Taipei sarà una delle priorità del terzo mandato di Xi. Ecco un focus sulle novità emerse dal Congresso, reazioni, analisi e interviste ad analisti.
La relazione politica di Xi
Nonostante l’alta tensione degli ultimi mesi, il discorso di Xi su Taiwan è in linea coi precedenti. Reiterato l’obiettivo storico della “riunificazione”, da perseguire se possibile in modo pacifico ma “senza mai rinunciare all’uso della forza”. In passato Xi ha pronunciato discorsi più duri. Niente road map o timeline per arrivare all’obiettivo, ma la soluzione della questione Taiwan è strettamente legata al “ringiovanimento nazionale” da completare entro il centenario della Repubblica Popolare nel 2049. “Le ruote della storia stanno girando verso la riunificazione”, ha detto Xi alzando la voce per stimolare l’applauso più lungo della platea. Il focus maggiore è stato senza dubbio sulle “interferenze esterne”, dopo quanto accaduto ad agosto con la visita di Nancy Pelosi (qui un mega recap) ma anche quanto accaduto negli ultimi 6 anni dall’elezione di Tsai Ing-wen e di Donald Trump in poi.
Xi non ha menzionato il “consenso del 1992” e il “principio di una sola Cina” nel suo discorso, ma nel rapporto di lavoro completo appaiono entrambi insieme al modello “un paese, due sistemi”. La versione integrale del rapporto sottolinea anche l’accordo spirituale, l’indipendenza da Taiwan e dalle forze esterne e la non rinuncia all’uso della forza. Esperti come Joseph Torigian, Bonnie Glaser e Zichen Wang hanno sottolineato dopo il discorso di Xi che non era presente nessun nuovo elemento di “urgenza” sulla questione taiwanese, nonostante un focus maggiore rispetto al passato sulle “interferenze esterne”. Lev Nachman della National Chengchi University di Taipei: “I commenti di Xi su Taiwan erano prevedibili e in linea con gli stessi punti retorici che siamo abituati a sentire da lui. Niente di nuovo, piacevolmente anticlimatico. Per chi fosse curioso di fare un rapido confronto, il grande discorso di Xi su Taiwan del 2019 conteneva gli stessi concetti ma con parole più pesanti di quelle che abbiamo sentito in apertura del Congresso, fa sembrare la sezione su Taiwan relativamente calma”.
L’emendamento allo statuto del Partito
Dopo una relazione che si è concentrata soprattutto sulle “interferenze esterne” ma ponendosi in sostanziale continuità con il lessico utilizzato negli ultimi anni, Xi ha fatto approvare un emendamento allo statuto in cui si legge che il Partito è chiamato a “opporsi con determinazione e scoraggiare i separatisti che cercano di ottenere l’indipendenza”. Secondo Lev Nachman della National Chenghi University di Taipei, “sarà la base legale della futura legge per la riunificazione”, che amplierà lo spettro di azione dell’attuale legge anti-secessione. Con un obiettivo (non semplice) politico: recidere il legame tra mondo imprenditoriale e partito di maggioranza taiwanese. Della possibile nuova misura normativa di Pechino su Taiwan ho parlato tante volte. La prima nel marzo scorso durante le “due sessioni”, una delle ultime qui.
“Si tratta di un cambio significativo di tono per lo statuto del Partito”, ammette Wen Ti-sung dell’Australian National University. “Pechino sta rispondendo all’internazionalizzazione della questione taiwanese operata dagli Usa, una delle sue linee rosse. Ma la guerra resta l’ultima opzione per Xi”, aggiunge. La stessa frase era peraltro contenuta anche nel comunicato finale del VII Plenum che ha anticipato il via del Congresso.
Le nomine
Secondo i legislatori taiwanesi, l’insediamento di fedelissimi di Xi Jinping nel massimo organo di governo cinese significa che Pechino probabilmente adotterà politiche più dure su Taiwan, con un maggiore coinvolgimento personale dello stesso Xi. Interessante thread di Paul Huang che racconta la visita taiwanese del 2012 di Cai Qi, anche lui promosso nel Comitato permanente dopo aver guidato il Partito a Pechino.
Anche dalle altre nomine arrivano segnali che Taiwan sarà una delle priorità del terzo mandato di Xi. La conferma nel Comitato centrale del ministro degli Esteri uscente, Wang Yi, segnala che potrebbe succedere a Yang Jiechi come capo della diplomazia. Sarebbe una nomina che non dispiacerebbe all’altra sponda dello Stretto, che conosce bene Wang dai tempi in cui dirigeva l’Ufficio degli Affari di Taiwan tra il 2008 e il 2013. Vale a dire la fase di maggiore distensione tra Pechino e Taipei. Da vedere chi sostituirà Liu Jieyi, successore di Wang all’Ufficio per gli Affari di Taiwan.
Un piccolo conforto in mezzo a tanti segnali preoccupanti. Il generale Zhang Youxia resta primo vicepresidente della Commissione militare centrale (diretta sempre da Xi) nonostante i suoi 72 anni. Zhang ha supervisionato il Dipartimento generale degli armamenti, che comprende i progetti di esplorazione lunare, ed è stato un forte sostenitore della riforma militare di Xi. Il rapporto tra i due va indietro fino alla collaborazione tra i rispettivi padri. Zhang sarà affiancato da He Weidong, da 3 anni capo del teatro orientale dell’esercito, quello che ha in carico il dossier Taiwan. La guida di He ha coinciso con un grande aumento delle pressioni militari sullo Stretto e ha guidato i test militari di agosto in risposta alla visita di Nancy Pelosi. Anche un altro promosso, l’ammiraglio Miao Hua, è originario di Fuzhou: esattamente di fronte alle isole Matsu. Liu Shulei, un teorico già ribattezzato come “nuovo Wang Huning”, è stato capo dell’ufficio di propaganda del Fujian, la provincia che si affaccia sullo Stretto.
“Taiwan dovrà fare i conti con un Esercito Popolare di Liberazione più duro e modernizzato dopo il rimpasto dei vertici militari della Cina continentale”, ha dichiarato il ministro della Difesa di Taipei, Chiu Kuo-cheng. “Non solo i membri della nuova Commissione militare centrale di Pechino sono più giovani rispetto alle precedenti commissioni, ma alcuni di loro hanno una maggiore familiarità con Taiwan e hanno un background tecnologico e un’esperienza di combattimento.
Questo significa che in futuro l’esercito popolare di liberazione adotterà una strategia più dura nei confronti di Taiwan”, ha detto Chiu, il quale ha aggiunto che Taiwan è pronta ad apportare modifiche al proprio personale militare per far fronte al nuovo team di Xi.
Il potenziale di invasione, anche attraverso l’utilizzo di navi civili, è già aumentato, scrive War on the Rocks.
Le interviste
Jean Pierre-Cabestan (senior researcher dell’Asia Centre di Parigi e celebre sinologo di base a Hong Kong) – Intervista completa pubblicata su La Stampa del 17.10.22
“Xi ha usato un lessico attento, in linea con quello del passato e del libro bianco di agosto. Ha ribadito che la priorità è la “riunificazione pacifica” senza ovviamente escludere l’utilizzo della forza. Pechino aumenta le intimidazioni per rovesciare a suo favore l’equilibrio sullo Stretto e convincere gli Usa a non intervenire. Ma non credo Xi pensi a imbarcarsi nel breve termine in un’avventura militare. Anche nella reazione alla visita di Nancy Pelosi c’è stato molto rumore volto soprattutto a far felici i nazionalisti interni”.
Kuo Yu-jen (direttore esecutivo Institute for National Policy Research di Taipei) – Intervista completa pubblicata su La Stampa il 18.10.22
Quale parola chiave userebbe per descrivere il report di Xi su Taiwan?
Limitato, sia per spazio che per contenuti.
Più duro o più morbido?
Dipende qual è il paragone. Nella relazione del 2017 non era contenuta la non rinuncia all’utilizzo della forza, ma è una formula utilizzata da sempre dai leader e da Xi stesso. Anzi, nel discorso d’inizio anno del 2019 era stato più deciso.
Che cosa significa questo?
Negli anni passati si sentiva più sicuro. All’inizio, si pensava che Trump potesse utilizzare Taiwan come una pedina di scambio e alla fine del 2018 la presidente Tsai Ing-wen era in grande difficoltà dopo la batosta alle elezioni locali. In questi anni è cambiato tutto, Biden ha riaffermato più volte il suo impegno su Taiwan e ora Xi si sente a corto di opzioni. Anche a causa del pessimo andamento generale dei rapporti con Washington.
Dopo le tensioni scaturite da Pelosi si aspettava qualcosa di diverso?
Xi ha introiettato il linguaggio degli ultimi anni e mesi dando grande enfasi alle “interferenze esterne”, di cui parlava Jiang Zemin ai tempi della terza crisi sullo Stretto del 1995. Per questo ha sottolineato che la questione di Taiwan va risolta “solo dai cinesi”. Significativo che non siano state presentate road map o nuove strategie, si tratta di un rapporto più reattivo che propositivo.
Al di là delle parole, che cosa ci si può aspettare dal suo terzo mandato su Taiwan?
Senz’altro nuove azioni unilaterali. A livello internazionale verrò intensificata l’azione per imporre la narrativa di Pechino sullo status di Taiwan e dei taiwanesi stessi, con mosse a livello legale o documentale. Credo che verrà avviata una discussione per una nuova legge per la riunificazione. Pechino proverà poi a orientare in qualche modo le elezioni presidenziali del 2024. Verranno inseriti nuovi politici ma anche imprenditori taiwanesi nella lista nera dei “secessionisti”, per intimidire le aziende che hanno legami col partito di governo (Dpp). Militarmente non ci sono segnali di una possibile escalation, ma Xi cercherà di erodere progressivamente lo status quo all’interno del new normal già avviato dopo la visita di Pelosi con la “cancellazione” della “linea mediana” sullo Stretto.
Victor Shih (Ho Miu Lam Chair in China and Pacific, San Diego University) – Intervistato il 18.10.22
Xi ha detto che lo Stretto è una preoccupazione puramente del popolo cinese, è chiaramente un messaggio agli Stati Uniti. Credo che all’inizio ci sia stato un po’ di accanimento nei confronti di Taiwan. Ma verso la fine, quando Taiwan è stata menzionata di nuovo come politica futura del partito, non c’è stato un grande cambiamento rispetto alla formulazione esistente: la riunificazione sarà raggiunta il più possibile attraverso la pace, ma la Cina non rinuncerà all’opzione armata. È la stessa cosa di prima, ero un po’ preoccupato che la formulazione fosse cambiata su “se dobbiamo usare le armi, allora le useremo”. Ma la pace rimane la prima priorità, il che è positivo. In fin dei conti la decisione di utilizzare un’opzione militare su Taiwan dipende da una persona, Xi Jinping, e la decisione di una persona, come stiamo vedendo nel caso della Russia, può essere altamente imprevedibile.
Kerry Brown (direttore Lau China Institute del King’s College di Londra) – Intervista completa pubblicata su la Stampa il 24.10.22
Il Partito comunista è sempre più una forza globale e tutto quello che fa ha implicazioni globali. Sa di essere nel mirino degli Stati Uniti, per esempio su Taiwan e sui semiconduttori, e si sente sotto attacco. Xi ha voluto rispondere chiarendo che non saranno accettati compromessi. Si perseguirà l’autosufficienza tecnologica e si proverà a risolvere la questione Taiwan, anche se è davvero complicato prevedere come. La guerra sarebbe un inferno per tutti, a partire dalla stessa Cina. Ma diventa sempre più difficile conciliare le diverse percezioni sull’ascesa cinese: per buona parte dell’occidente è un rischio, per il Partito un obiettivo storico.
Wen Ti-sung (Australian National University) – Intervistato il 19.10 e 22.10.22
Sulla relazione politica:
Xi ha promesso essenzialmente di fare lo stesso su Taiwan. Xi non ha ancora promesso una tempistica specifica per l’unificazione con Taiwan. Ha promesso che Pechino ha la “determinazione” e la “capacità” di opporsi all’indipendenza di Taiwan. Ciò che non ha promesso è l'”intenzione” di usare la forza contro Taiwan in tempi brevi. Tuttavia, Xi ha anticipato la sua menzione di Taiwan. Nel 19° Congresso del Partito del 2017, Xi non ha approfondito la politica su Taiwan fino a circa l’ultimo quarto del suo discorso di tre ore. Nel 20° Congresso del Partito del 2022, Xi ha discusso a lungo della politica di Taiwan nei primi 10 minuti. Significato: Xi sta segnalando che la politica di Taiwan avrà una priorità maggiore nei prossimi 5 anni e che sarà più urgente fare “progressi” sulla politica di Taiwan, anche se probabilmente attraverso l’integrazione economica e il lavoro del fronte unito, piuttosto che l’uso della forza.
Sulle “interferenze esterne”
Pechino sta segnalando la minaccia di una “crescente internazionalizzazione della questione di Taiwan”, che è una delle sempre sfuggenti linee rosse di Pechino.
In termini di costruzione di forze, ciò significa che Pechino raddoppierà le AA/AD (anti-access and area-denial) per negare agli attori stranieri la capacità militare di intervenire in una contingenza nello Stretto di Taiwan.
Sull’emendamento allo statuto e sul terzo mandato di Xi:
Vedremo la politica di Pechino nei confronti di Taiwan spostarsi verso una maggiore pressione militare per limitare la libertà d’azione dell’esercito taiwanese, in modo da intaccare il morale di quest’ultimo, nella speranza di far capitolare Taiwan. Pechino sta anche modificando le sue tattiche economiche: da incentivi economici prevalentemente positivi a un misto di bastoni e carote, come abbiamo visto dal crescente uso della coercizione economica contro i prodotti agricoli taiwanesi negli ultimi anni. L’emendamento segna certamente un cambio di tono significativo.
Opzione militare inevitabile?
No. Xi ha dichiarato chiaramente che continua a preferire un’unificazione pacifica. Logicamente la guerra è anche il modo più costoso per Pechino di conquistare Taiwan – e dovrebbe essere considerata al massimo come ultima risorsa, se non altro. Il discorso di Xi lega l’unificazione con Taiwan al ringiovanimento nazionale del 2049. Questo indica sia l’urgenza che la pazienza. L’unificazione è una parte indispensabile della visione del Sogno cinese di Xi. Ma la realizzazione del Sogno cinese, definito come grande rinascita della nazione cinese, è fissata per il 2049. Ciò significa che Xi ha un quarto di secolo per provarci, e tra il 2022 e il 2049 può succedere di tutto. L’unificazione è quindi un obiettivo altamente auspicabile per Pechino, ma non è detto che debba avvenire durante il regno di Xi.
Le mosse di Taipei
Il governo di Taipei ha respinto la relazione politica di Xi e l’emendamento allo statuto del Partito. Alcuni media sottolineano gli elementi di novità emersi dal Congresso, altri sottolineano come una Cina economicamente in difficoltà potrebbe diventare più pericolosa.
Si è discusso molto del messaggio di congratulazioni che il Guomindang ha mandato al Partito comunista per l’avvio del XX Congresso e letto dalla tv di stato cinese. “Prassi diplomatica”, spiega il partito di opposizione.
“L’Esercito Popolare di Liberazione ha schierato da quattro a sei navi da guerra nelle acque vicine a Taiwan ogni giorno da agosto”, ha dichiarato il ministro della Difesa di Taipei Chiu Kuo-cheng. I pattugliamenti cinesi più frequenti impongono un “pesante fardello” alle fregate di Taiwan che stanno invecchiando.
La marina militare di Taiwan ha in programma di aggiornare la sua obsoleta flotta di navi da guerra, una mossa volta a contrastare la crescente pressione militare da parte di Pechino. Taiwan intende costruire una nuova fregata antisommergibile e un’imbarcazione simile con capacità antiaeree, secondo quanto dichiarato da funzionari della Difesa.
Le truppe di Taiwan schierate in prima linea potranno decidere una linea d’azione per rispondere alle mosse dell’Esercito Popolare di Liberazione che sono considerate un “primo attacco secondo i protocolli stabiliti dal ministero della Difesa”, ha dichiarato un funzionario militare. Ma in ogni caso emetterà degli avvertimenti prima di abbattere aerei o distruggere navi dell’Esercito Popolare di Liberazione, qualora questi attraversassero le “linee rosse” di Taiwan.
Il ministero della Difesa ha proposto un aumento del 13,9% della spesa per la difesa nel 2023 per rafforzare le capacità di difesa di Taiwan, con le quote maggiori destinate al personale e alla logistica. Secondo il piano, il bilancio della difesa per il 2023 salirebbe alla cifra record di 586,3 miliardi di dollari taiwanesi (18,31 miliardi di dollari), pari a circa il 2,4% del prodotto interno lordo (PIL) di Taiwan, con un aumento di 0,2 punti percentuali rispetto al 2022. Circa 181 miliardi di dollari taiwanesi, pari al 30,7% del totale, saranno destinati a stipendi, benefit e pensioni per il personale militare e alla coltivazione e al mantenimento dei talenti nelle Forze Armate.
Il programma di addestramento dei riservisti a doppio binario iniziato nel 2022 continuerà l’anno prossimo, anche se potrebbe essere chiesto a un maggior numero di riservisti di prendere parte al regime di addestramento intensivo, ha dichiarato il ministro della Difesa Chiu Kuo-cheng.
Quattro persone sono rimaste ferite dopo che un’arma anticarro portatile M72 LAW ha sparato accidentalmente durante un’ispezione a fuoco vivo nella contea di Hsinchu.
Taiwan sta lavorando per aumentare le scorte energetiche in modo da aumentare la resistenza dell’isola in caso di crisi, ha dichiarato un vice ministro dell’Economia, tema molto sensibile dopo la simulazione di blocco navale di agosto.
Per la Stampa ho intervistato il ministro degli Esteri di Taiwan, Joseph Wu, prima che iniziasse il Congresso. Tra le altre cose mi ha detto: “La buona volontà e l’impegno del nostro governo nelle relazioni attraverso lo Stretto non sono mai cambiati. Desideriamo mantenere lo status quo e sostenere la risoluzione delle differenze nello Stretto. Siamo disposti a coinvolgere la Cina in colloqui costruttivi sulla base della parità. La nostra posizione chiara e l’atteggiamento aperto rimangono invariati. La chiave per sane interazioni attraverso lo Stretto risiede nella pace, nella parità, nella democrazia e nel dialogo. Rifiutiamo categoricamente di accettare la proposta un paese, due sistemi, che degrada Taiwan“. Qui l’integrale.
Il post Congresso
Dopo la missiva di Xi Jinping al Comitato nazionale per le relazioni Usa-Cina, è arrivato l’annuncio del ministero della Difesa cinese, che si è detto pronto a riprendere le comunicazioni nella sfera militare con Washington. Il dialogo in materia di difesa, così come su altri dossier compreso il clima, era stato interrotto dopo la visita di Nancy Pelosi a Taipei. Proprio Taiwan è il tema su cui le tensioni rischiano di diventare esplosive. Dal XX Congresso è emerso chiaramente come Pechino si senta sotto attacco. La parola “sicurezza” è stata quella più utilizzata nella relazione politica di Xi, che ha insistito molto sui concetti di “rischio”, “sfide” e “lotta”. Dimenticata l’era delle “opportunità strategiche”, la Cina sa di essere nel mirino della superpotenza americana.
Segnali anche dalla prima uscita di Xi dopo l’avvio del terzo mandato. Nel 2012, dopo il XVIII Congresso, la prima visita di Xi Jinping era stato a Shenzhen, simbolo del miracolo economico dei decenni precedenti e meta anche del celebre viaggio di Deng Xiaoping del 1992 con cui venne dato nuovo impulso alle riforme e aperture economiche. Nel 2017, dopo il XIX, aveva scelto Shanghai, simbolo dell’apertura cinese al mondo. Stavolta ha scelto Yan’an, punto di arrivo della lunga marcia di Mao Zedong e base del Partito dal 1935 alla svolta favorevole del 1948 nella guerra civile.
Ad agosto, dopo Beidaihe (e dopo la visita di Pelosi a Taipei e tutto ciò che ne era seguito) Xi era riapparso a Jinzhou (ne avevo scritto qui), dove i nazionalisti di Chiang Kai-shek subirono una sconfitta decisiva durante la campagna di Liaoshen del 1948. Ancora una volta, scegliendo Yan’an, Xi segnala al Partito che bisogna essere pronti a “combattere” o comunque ad affrontare le “sfide” e i “pericoli” che si sovrapporranno sempre di più alle “opportunità strategiche” durante il suo terzo mandato.
Le reazioni Usa, le reazioni Ue, Taiwan-Italia, diplomazia
Diversi messaggi provenienti da Washington parlano di una possibile accresciuta urgenza di Pechino sulla questione taiwanese. In occasione di un evento in California, il Segretario di Stato Blinken ha affermato che Pechino è determinata a perseguire la riunificazione in tempi più rapidi. Come ha spiegato Kharis Templeman, la lettura della sua affermazione è più profonda di così e si riferiva agli sviluppi degli ultimi anni. Bill Bishop ha scritto Sinocism: “Anche se non credo che invadere Taiwan sia la scelta preferita di Xi, l’esercito potrebbe pensare che prima sia molto meglio che dopo, prima che Taiwan abbia la possibilità di sistemare le proprie forze armate e che gli Stati Uniti ricostruiscano le proprie scorte di munizioni e inviino armi migliori a Taiwan. Qualunque siano i calcoli, le tensioni su Taiwan sono destinate ad aumentare, poiché non esiste una soluzione politica praticabile in nessuno scenario realistico“. Di certo poi Blinken ha detto che Pechino non sembra più accettare lo status quo sullo Stretto.
Il capo delle operazioni navali, l’ammiraglio Mike Gilday, ha dichiarato: “Quando parliamo della finestra del 2027, nella mia mente deve essere una finestra del 2022 o potenzialmente del 2023. Non posso escluderlo. Non voglio assolutamente essere allarmista dicendo questo, è solo che non possiamo escludere questa eventualità”. A suffragio della sua tesi Gilday sostiene che i leader cinesi solitamente completano gli obiettivi prima delle timeline annunciate, citando appunto il 2027. Che però in molti analisti sottolineano non essere una timeline ufficiale, con nessun documento di Pechino che include questa data come limite per il target. “Molti sostengono che Xi debba prendere Taiwan entro il 2027, con la forza se necessario, per giustificare un quarto mandato senza precedenti. Diranno anche che Xi deve prendere TW entro il 2032 per giustificare un quinto mandato?”, ha scritto su Twitter Wen Ti-sung.
Gli Stati Uniti sarebbero in trattativa con Taiwan per la coproduzione di armi americane, scrive Nikkei Asia. Gli Stati Uniti continueranno a sostenere gli sforzi di Taiwan per sviluppare capacità di difesa asimmetriche coerenti con l’evoluzione della minaccia cinese, ha dichiarato il Dipartimento della Difesa statunitense nella sua nuova strategia di difesa nazionale.
Josep Borrell ha addossato le responsabilità delle tensioni sullo Stretto alla sola Nancy Pelosi, in un discorso rivolto agli ambasciatori Ue. Annunciando il Consiglio Ue, le istituzioni comunitarie hanno detto per la prima volta che “l‘Ue deve prendere in considerazione lo scenario di un attacco cinese a Taiwan e comprendere quali sarebbero le relative conseguenze al suo sistema economico”. Le conseguenze sarebbero pesanti: basta pensare che il 98% dei chip presenti in Europa viene da Taiwan. I paesi Ue sarebbero dunque chiamati a lavorare per ridurre da subito “le dipendenze nei settori critici”.
Una delegazione di Taiwan, produttore mondiale di componenti IT, è in visita questa settimana in Lettonia e Lituania per discutere di cooperazione tecnologica.
News sull’Italia: prima le congratulazioni mai così convinte di Taipei per la nomina a premier di Giorgia Meloni, visto il sostegno a Taiwan mostrato dalla leader di Fratelli d’Italia in campagna elettorale. Poi l’inaugurazione del volo diretto Taipei-Milano operato dalla compagnia taiwanese Eva Air.
Mentre il Giappone continua a potenziare le proprie forze armate, secondo gli analisti le percezioni su come verrebbero utilizzate in un’eventuale guerra tra Taiwan e la Cina continentale differiscono notevolmente tra i messaggi pubblici all’estero e le opinioni interne, scrive Voice of America.
Per la prima volta, la contesa regione africana del Somaliland sarà inclusa tra i 14 paesi e territori che ospiteranno soldati taiwanesi nell’ambito di una direttiva alternativa che consente loro di prestare il servizio militare nazionale all’estero. Il Somaliland ha fatto pressione per ottenere l’indipendenza dalla Somalia, in parte stabilendo relazioni con Taiwan. L’accordo sulle truppe probabilmente rafforzerà le relazioni tra Mogadiscio e la Cina continentale.
Taiwan sta aiutando Haiti ad acquistare giubbotti antiproiettile e altri dispositivi di protezione personale da produttori taiwanesi, ha dichiarato martedì il ministero degli Esteri dell’isola, mentre la sicurezza nel Paese caraibico peggiora.
Il governo di Taiwan ha detto di rispettare le rassicurazioni fornite in passato dalla Santa Sede, secondo cui l’accordo con la Cina continentale sulle nomine dei vescovi “non tocca questioni diplomatiche o politiche”, dopo l’annuncio che l’accordo provvisorio di compromesso sarà esteso per la seconda volta. La Santa Sede è una delle 14 entità sovrane che mantengono pieni legami diplomatici con Taiwan, ed è l’unico Stato europeo a farlo, ma le sue relazioni con Pechino si sono riscaldate sotto la guida di Papa Francesco negli ultimi anni.
Economia e semiconduttori
L’economia di Taiwan ha registrato un’espansione leggermente più rapida nel terzo trimestre rispetto al trimestre precedente, ma a un ritmo anemico a causa dei crescenti venti contrari dell’economia globale che hanno intaccato la domanda di tecnologia, che rappresenta un’esportazione chiave, secondo un sondaggio Reuters. Il prodotto interno lordo (PIL) è probabilmente cresciuto del 3,2% nel periodo luglio-settembre rispetto all’anno precedente, secondo il sondaggio condotto da 20 economisti, dopo l’espansione del 3,05% su base annua nel secondo trimestre.
Taiwan ha smentito le notizie secondo cui gli Stati Uniti potrebbero evacuare gli ingegneri di chip dell’isola e distruggere gli impianti del suo principale produttore di semiconduttori in caso di guerra, affermando che non esiste alcun “piano” di questo tipo. Citando funzionari statunitensi senza nome, qualche settimana fa Bloomberg ha riferito che Washington avrebbe preso in considerazione la possibilità di evacuare gli ingegneri della Taiwan Semiconductor Manufacturing Company (TSMC) – il più grande produttore di chip a contratto del mondo – nel caso di un attacco su larga scala da parte della Cina continentale.
TSMC ottiene una licenza statunitense di un anno per l’espansione dei chip in Cina continentale dopo le ultime restrizioni di Biden (ne ho scritto qui). Ma intanto ha sospeso la produzione di silicio avanzato per la startup cinese Biren Technology per garantire la conformità alle normative statunitensi.
Le azioni della Taiwan Semiconductor Manufacturing Company (TSMC) sono scese di quasi il 4% lunedì 24 ottobre dopo che un rapporto ha rivelato che il fondatore dell’azienda ha detto alla Presidente della Camera degli Stati Uniti Nancy Pelosi che gli sforzi americani per ricostruire la sua base di produzione di chip finiranno in un fallimento.
Tsai Ing-wen ha nominato il fondatore della Taiwan Semiconductor Manufacturing Co. (TSMC) Morris Chang come rappresentante di Taiwan al prossimo vertice della Cooperazione Economica Asia-Pacifico (APEC), la sesta volta che l’uomo d’affari in pensione assume questo ruolo. Chang parteciperà all’incontro dei leader economici dell’APEC che si terrà a Bangkok dal 18 al 19 novembre. Ho raccontato la storia di Chang in un lungo pezzo per il Venerdì di Repubblica.
Del perseguimento dell’autosufficienza tecnologica di Pechino ho scritto per Wired.
Due notizie in pillole
Il 1° novembre, Wang Ting-yu del DPP annuncerà la creazione di un gruppo parlamentare di amicizia Taiwan-Italia.
L’Honduras sarebbe in trattativa avanzata per avviare le relazioni diplomatiche ufficiali con la Repubblica Popolare Cinese e rompere dunque quelle con la Repubblica di Cina, Taiwan. Mossa che indebolirebbe ulteriormente la truppa di paesi che riconoscono Taipei, proprio nel tradizionale “giardino di casa” degli Usa.
Due pezzi sul XX Congresso:
Perché il presidente cinese Xi Jinping si circonda di tecnocrati – Wired
Stretta sugli esteri fra schiaffi e carezze – il Manifesto
Di Lorenzo Lamperti
Qui per recuperare tutte le puntate di Taiwan Files
Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.