Fluctuat nec mergitur, a pochi giorni dal Congresso Xi Jinping sembra nel mezzo di un mare in tempesta ma a quanto pare non affonda, nonostante sia bersaglio di eventi a lui contrari, come pure circondato da una ridda di voci e fake news
Nel Partito lo hanno chiamato nucleo e gira voce che potrebbe essere nominato timoniere. La macchina della propaganda cinese spinge per il presidente cinese Xi Jinping alla vigilia del Congresso del PCC previsto il 16 ottobre prossimo, quando 2.296 delegati, tra cui oltre 600 donne, si riuniranno per nominare il Comitato Centrale e i due organi decisionali più importanti: il Politburo e il Comitato Permanente. L’obiettivo principale dell’imperatore rosso Xi, ormai è noto, è quello di ottenere il mandato per la terza volta possibilmente con tutte le sue cariche: presidente della Repubblica Popolare Cinese, Segretario del Partito, capo della Commissione Militare Centrale. Un vero e proprio imperatore, e dunque con un potere senza limiti, un uomo che senza ombra di dubbio vuole passare alla storia, e che ora più che mai non può sbagliare una sola mossa, se non fosse che le lusinghe del potere assoluto lo stanno spingendo a pericolosi eccessi nel tentativo di rilanciare il suo potere, messo a dura prova in questo periodo dalle problematiche dentro e fuori dal suo paese.
Ossessionato dall’impossibilità di abbassare la guardia anche solo per un attimo, oppresso dalla crisi economica interna con un PIL che dovrebbe attestarsi quest’anno intorno al 2,8%, mai così basso negli ultimi 30 anni, consapevole delle sue ambizioni, forse superiori di questi tempi alle sue reali possibilità, con alcuni quadri del Partito che gli remano contro, Xi Jinping non fa che aumentare la dose, catapultato dagli eventi in un vortice apparentemente senza ritorno, in cui si innesca quell’escalation che lo spinge continuamente ad alzare il tiro. La politica Covid tolleranza zero ne ha dato ampia dimostrazione: una serie di misure draconiane che hanno messo in ginocchio nella primavera scorsa una metropoli da quasi 25 milioni di abitanti come Shanghai, e che ora si accanisce in altre regioni in tutta la Cina, ovunque siano individuati anche solo una manciata di casi: il Quotidiano del Popolo, l’organo di stampa del PCC, richiama all’osservanza della rigida linea antipandemica voluta dal governo cinese. “La politica zero Covid è sostenibile e va rispettata” si legge in un editoriale del più importante quotidiano cinese
Un rigido controllo del virus che tra l’altro permette l’estensione della sorveglianza anche ad altre sfere della vita privata dei cittadini cinesi, diventando via via pervasiva e aprendo la strada a una serie di normative sempre più soffocanti nei confronti della popolazione: l’ultimo provvedimento di Pechino riguarda proprio Hong Kong, la città che fino all’approvazione della legge sulla Sicurezza Nazionale nel 2020, godeva di un margine molto più ampio di libertà: qualche settimana fa Pechino ha chiesto le planimetrie degli edifici della diplomazia, ambasciate e consolati dove risiedono entità straniere, quelle ritenute responsabili di “infiltrazioni” durante le proteste del 2019.
Incalzato dalla morsa che Washington non accenna ad allentare, anzi spinto a difendersi e a recuperare la sua immagine, soprattutto da quando Nancy Pelosi ha messo piede a Taiwan, il presidente cinese si trova ad affrontare il Congresso con un peso di piombo sulle spalle come mai prima durante i suoi precedenti mandati. Per questo il core leader, il nucleo non solo sta mettendo in campo innumerevoli contromosse per portare avanti il principio di “Una Sola Cina”, di recente messo a dura prova dalla questione Taiwan, ma rilancia ancora una volta un sistema di pensiero totalmente contrapposto a quello americano e occidentale, forse l’unico modo per rialzare la testa dopo un anno così difficile, tra guerre, siccità e l’insidia pandemica.
Fluctuat nec mergitur, Xi Jinping sembra nel mezzo di un mare in tempesta ma a quanto pare non affonda, nonostante sia bersaglio di eventi a lui contrari, come pure circondato da una ridda di voci e fake news, a cominciare dall’ipotesi di colpo di stato circolata giorni fa avvalorata dal fatto che nessuno lo avrebbe più visto da quando è rientrato dal suo viaggio in Uzbekistan. Rumors abbiamo detto infondati che comunque hanno indotto alcuni osservatori ad avanzare la congettura che questa volta il leader assoluto dell’ex celeste impero potrebbe addirittura saltare, viste le lotte di potere all’interno del Partito. Ma il gioco di Xi sul tavolo dei suoi scacchi cinesi in ogni caso per sembra mantenere la sua forza, attraverso una pianificazione strategica che viene da lontano.
Come dimostra l’eredità di Samarcanda, città simbolo delle antiche vie della seta, dove si è tenuto qualche settimana fa il vertice SCO (Organizzazione per la cooperazione di Shanghai) volto ad accrescere gli scambi economici nell’emisfero euroasiatico. Nel corso di questo primo viaggio di Xi Jinping fuori dalla Cina dopo la pandemia, è avvenuto l’incontro fra il presidente cinese e quello russo Vladimir Putin, un colloquio che ha dimostrato come i rapporti di forza tra le due potenze per la prima volta siano nettamente sbilanciati a favore di Xi: sulle rotte delle Nuove Vie della Seta, il leader cinese ha chiarito ancora una volta che l’amicizia senza limiti della Cina nei confronti di Mosca è unicamente di natura commerciale, facendo intendere senza mezzi termini che Pechino non ha alcuna intenzione di sostenere Putin con le armi per la guerra in Ucraina.
Del resto il PCC svolge da tempo un lavoro finissimo di strategia per compattare un asse alternativo di paesi emergenti a guida cinese, dall’Iran, all’India, al Brasile, al Sudafrica e più in generale rafforzando i suoi rapporti con il continente africano, dove la Cina è presente da decenni.
Lo scenario dunque si complica: da una parte la Russia, le cui sorti devono ancora configurarsi in base all’epilogo che avrà la guerra, dall’altra l’Eurasia continentale che si estende dal Pacifico fino ai confini della Polonia, opponendosi come blocco terrestre a quello marittimo su cui domina la flotta statunitense. Secondo la rivista francese Reseau International, il blocco dell’Eurasia, ancora lontano dall’essere unito, come dimostrano il risorgere dei conflitti di frontiera (Tajikistan-Kirghizistan, Cina-India), assomiglia oggi all’impero mongolo nella sua fase di massima estensione. Un vastissimo territorio in cui sono state individuate immense risorse energetiche e minerarie, un mondo che dal punto di vista cinese potrebbe unirsi più compatto muovendosi su altre sintonie rispetto a quelle atlantiste degli USA e dell’UE. Come ha scritto il Global Times , il tabloid quotidiano in lingua inglese prodotto dal Quotidiano del Popolo del PCC , “ l’Occidente è incapace di percepire il mondo al di là del suo prisma paranoico e competitivo. Tutto è visto come rivalità, competizione e guerra”.
Ma al di là di risorse commerci e geopolitica l’asso nella manica che Xi Jingping ora mette sul tavolo è soprattutto culturale: avvalersi sulla scena internazionale della sua propria peculiare visione che attinge alle radici filosofiche della Grande Cina, nutrendosi di un patrimonio di pensiero millenario, il Tian Xia (Tutto ciò che sta sotto il Cielo) un’idea del mondo che appartiene unicamente al celeste impero, l’abbraccio del sovrano cinese che ingloba nella propria superiore civiltà tutti i paesi geograficamente limitrofi, e anche più lontani, purché subordinati alla Cina, Zhonguo, in cinese, il Paese di Centro, un sistema valoriale che dai recessi dell’antichità sembra confluire direttamente nel Socialismo con Caratteristiche Cinesi della Nuova Era. E così il presidente cinese che vuole il potere a vita, con la tensione
Washington- Pechino sempre più pressante, con i paesi emergenti che potrebbero guardare al modello economico cinese, a quel Partito/Stato che bene o male ha tirato fuori dalla povertà 700 milioni di persone in meno di quarant’anni, si affaccia al resto del mondo rilanciando le radici della propria cultura, del proprio pensiero e più di recente ancora, della propria ideologia. Come quella marxista, ampiamente cavalcata dall’attuale presidente cinese e da quella parte della nomenklatura che è ancora dalla sua parte. L’elevato numero di disoccupati in Cina non riguarda i laureati in ideologia marxista, per i quali si aprono innumerevoli possibilità nel mondo del lavoro.
Da quando Xi Jinping è salito al potere, le iscrizioni al Partito sono cresciute rapidamente e la matrice marxista dell’ideologia viene continuamente sottolineata. I corsi sul marxismo sono sempre più richiesti, scrive SunYu del Financial Times, e mentre alla fine del 2012, prima dell’ascesa al potere di Xi Jinping, questi corsi faticavano ad attirare studenti, ora fanno gola a molti giovani visto che tutte le aziende e le istituzioni in Cina sono invitate ad assumere esperti di marxismo che hanno il compito principale di controllare la fedeltà alla linea del Partito.
Di Maria Novella Rossi
*Maria Novella Rossi, sinologa e giornalista RAI tg2, redazione esteri. Laureata in Lingua e Cultura Cinese, Dottore di Ricerca su “Gesuiti in Cina”, è stata in Cina la prima volta con una borsa di studio del Ministero degli Esteri dal 1984 al 1986; quindi è tornata molte volte in Cina per studio e per lavoro; è autrice di servizi e reportage sulla vita e la cultura in Cina trasmessi da Tg2 Dossier e da Rai Storia. Autrice anche di reportage sulle comunità cinesi in Italia. Corrispondente temporanea nella sede di Pechino per le testate RAI in sostituzione di Claudio Pagliara, attualmente continua a occuparsi di esteri con particolare attenzione alla Cina e all’Asia.