Vi andrebbe di essere l’imperatore della Cina? Vediamo un po’ se conviene…
L’imperatore cinese era, per mandato celeste, padrone e signore di un territorio immenso e di tutti gli esseri che su questo territorio vivevano, e per esteso anche di tutti i Paesi del mondo conosciuto che considerava “tributari”. Al pari di un biblico dio creatore donava vita e morte, e viene descritto come uomo potentissimo e privilegiato, circondato da un harem affollato, protetto da una impenetrabile guardia personale, servito e riverito da una pletora di eunuchi che come tali potevano vivere a palazzo perché si pensava non avessero la possibilità di compromettere le sue mogli e concubine, ingurgitatore dei cibi più raffinati, curato dai migliori medici che le accademie potessero formare, abbigliato con le sete più pregiate, possessore di collezioni artistiche da sogno, etc. Insomma, detta così, ai nostri occhi sembrerebbe una vita invidiabile.
Invece, la sua belle vie ne aveva di lati negativi. I più evidenti erano i protocolli che regolavano ogni istante della sua vita, e il peso massacrante del cerimoniale di Corte. Dal punto di vista del lavoro pratico, c’erano, poi, la complicata gestione di un impero gigantesco con una macchina amministrativa elefantiaca, lo stress per i ricorrenti tentativi di colpo di Stato con annesso assassinio perpetrati o da figli, oppure da parenti vari, da generali o da governatori intraprendenti; e non mancavano guerre contro gli invasori “barbari” e quelle di espansione, senza contare le terribili siccità, carestie e inondazioni che decretavano che il Cielo non era più a lui propizio e che quindi poteva essere spodestato. Questo imperiale cahier de doléance, è largamente documentabile dall’unificazione del Primo Imperatore (221 a. C.) fino alla dissoluzione dell’impero (1911).
Se andiamo più indietro nel tempo, la vita da imperatore cinese si fa ancora meno ambita. Sulle prime dinastie reali, dalla fine del Neolitico (3000 a. C.) al Primo Imperatore, ci raccontano come stavano le cose i reperti archeologici e alcuni documenti, in genere brandelli di testi perché molti di essi sono andati perduti.
Durante le epoche Xia (sec. XXI-XVII a. C.), Shang (sec. XVII-XI a. C.) e Zhou (1100-256 a. C.) la figura del governante non ha nulla di godereccio, egli è una maschera tragica, prigioniero di rituali continui, rigidi, faticosi e imposti senza deroghe: culti al Cielo, agli antenati, riti agrari, celebrazioni stagionali, offerte alle entità della Natura, nessuno di essi era risparmiato a colui che aveva il mandato celeste e che doveva decretarli, presiederli, officiarli nella sua funzione di re-sciamano e, in definitiva, vivere prevalentemente per svolgere questi compiti.
Facciamo un esempio concreto soffermandoci su quello che succedeva nel Ming Tang 明堂 (Palazzo della Luce) dove si celebravano i riti astronomici. Questo edificio simboleggiava lo Spazio e il Tempo, e in esso l’imperatore-sacerdote si muoveva secondo un percorso rituale che rappresentava gli spostamenti del Sole in cielo. Ogni mese il sovrano occupava una sala del Ming Tang e celebrava sacrifici. L’imponente cerimoniale ci viene svelato dalle Yue Ling 月令 (Ordinanze Mensili), un testo di autori ignoti la cui compilazione risale tra i secoli VII e III a. C.; esse costituiscono una sezione del libro classico Li Ji 禮記 (Registrazione dei Riti) compilato tra il II e il I secolo a. C. (epoca Han), e contengono l’etichetta dell’aristocrazia Zhou per gli avvenimenti privati e pubblici.
La struttura del Ming Tang deriva da una leggenda che si perde nella notte dei tempi la quale narra del fiume Luo, tributario del fiume Giallo nella regione che fu culla della civiltà cinese; a causa delle piogge, il fiume straripò e le acque inondarono campi e villaggi portando distruzione e morte; per calmare la collera del dio del fiume, i contadini accumularono sulle rive offerte come riso, uova, fagioli; una tartaruga emerse dal fiume, gironzolò attorno a esse e si rituffò; la cosa si ripeté per diversi giorni mentre l’acqua continuava a crescere e a creare drammatici problemi. Un bambino, che aveva capito cosa stava succedendo, si rivolse ai contadini disperati e consigliò di aumentare le offerte perché a suo avviso, per placare la collera del dio ne erano necessarie quindici. Difatti, dopo che i paesani ebbero messo quindici doni sulle rive, ecco che arrivò la tartaruga, prese tutto e si rituffò. Immediatamente il livello delle acque calò e tutto ritornò velocemente in ordine.
Questa benedetta tartaruga, va detto, non era una tartaruga normale perché sul suo carapace c’era disegnato un diagramma numerico (a sinistra nella figura) che ha il nome di Luo Shu 洛書 (semplificato 洛书, Diagramma del fiume Luo ) che, interpretato, dà vita a un quadrato magico (a destra) che per tradizione è orientato secondo i punti cardinali con il nord in basso, come in figura:
Il quadrato è chiamato in matematica “magico” perché ha la seguente proprietà: addizionando i numeri su ogni riga, su ogni colonna, e sulle due diagonali il risultato è sempre 15. Di quadrati magici ne esistono di diverso tipo anche nella storia della matematica occidentale, ma il Luo Shu è il più antico che si conosca. Il diagramma è suddiviso in nove caselle, tante quante erano le province cinesi.
Al quadrato magico Luo Shu è ispirata la più antica forma del Ming Tang: con nove sale orientate secondo la numerologia tradizionale: il 3 rappresenta l’est, la primavera e il legno; il 9 il sud, l’estate e il fuoco; il 7 l’ovest, l’autunno e il metallo; l’1 il nord, l’inverno e l’acqua; il 5 è il centro. Le misure del Ming Tang dovevano rispecchiare i rapporti numerici dell’Universo: secondo l’antica teoria cosmologica Gai Tian 盖天 (cielo coperto) la sua base era quadrangolare (come la Terra) e il tetto circolare (come il cielo), le sue dimensioni variabili tra 80×65 piedi in epoca Xia, 72×56 piedi in epoca Shang, 81×63 piedi dinastia Zhou Occidentali; l’altezza di 81 piedi; il tetto, anticamente di paglia, aveva la circonferenza di 216 piedi. Il piede, chi 尺, corrispondeva al passo di un uomo.
Durante tutto l’anno, l’imperatore doveva percorrere le sale del Ming Tang seguendo un rigido protocollo e, anche se non vi sono evidenze che egli vivesse permanentemente in questo edificio, sicuramente vi trascorreva la maggior parte del tempo per potere officiare la liturgia delle Ordinanze Mensili. All’inizio della primavera, egli prendeva posto nella sala posta a N-E, corrispondente al primo mese di questa stagione; nel secondo mese di primavera, nel quale si verificava l’equinozio, passava nella sala centrale; nel terzo mese occupava la sala a S-E; durante i mesi di primavera doveva officiare i riti sempre con il viso rivolto verso est. Nel primo mese d’estate, egli rimaneva nella sala a S-E ma volgeva il viso verso sud (direzione dell’estate); nel secondo mese estivo passava nella sala in pieno sud (sala 9), e così via continuando la deambulazione durante l’anno, e avendo cura di rivolgere il viso sempre verso la direzione corrispondente alla stagione in cui doveva officiare.
Nel Ming Tang, l’imperatore celebrava riti propiziatori, proclamava le previsioni astronomiche, e dava disposizioni per le attività agricole. Durante i mesi intercalari, quelli aggiunti al calendario per fare concordare la durata dell’anno lunare con quella dell’anno solare, l’imperatore doveva risiedere sotto la porta di comunicazione fra le due sale dedicate ai due mesi ordinari che si succedevano. Siccome ad ogni stagione era attribuito un colore (primavera= verde; estate = rosso; autunno = bianco; inverno = nero), l’imperatore doveva indossare abiti del colore stagionale, e a inizio della stagione usciva dal recinto su cui era edificato il Ming Tang e, su di un carro del colore adatto, andava ad accogliere con il suo corteo la nuova stagione dirigendosi verso il punto cardinale ad essa consacrato, e compiendo i sacrifici rituali. Accanto a lui, l’Annalista di Corte con il seguito degli scrivani annotavano e certificavano le azioni e le parole del sovrano.
Dalla unificazione della Cina con il Primo Imperatore in poi, lo spazio politico e religioso rappresentato dal Ming Tang si frantumò in una serie di palazzi, templi e altari – tra cui il Tempio del Sole, il Tempio della Terra, il Tempio della Luna, il Tempio del Cielo – dislocati nei quattro punti cardinali della capitale imperiale; in questo modo, l’imperatore viveva tra i suoi agi nel Palazzo imperiale che rappresentava il centro, e si spostava lungo gli assi viari cittadini per raggiungere gli edifici rituali nelle date dei solstizi e degli equinozi, e sostarvi per la durata dei riti; si riduceva, così, di molto il carico di “lavoro” e stress che rappresentava il vivere perennemente o quasi, prigioniero del protocollo, in un unico edificio in cui erano concentrati gli altari dei sacrifici.
Ma anche così, vi andrebbe di essere l’imperatore della Cina?
Di Isaia Iannaccone°
***Isaia Iannaccone, nato a Napoli, chimico e sinologo, vive a Bruxelles. Membro dell’International Academy of History of Science, è specialista di storia della scienza e della tecnica in Cina, e dei rapporti Europa-Cina tra i secoli XVI e XIX. È autore di numerosi articoli scientifici, di trattati accademici (“Misurare il cielo: l’antica astronomia cinese”, 1991; “Johann Schreck Terrentius: la scienza rinascimentale e lo spirito dell’Accademia dei Lincei nella Cina dei Ming”, 1998; “Storia e Civiltà della Cina: cinque lezioni”,1999), di due guide della Cina per il Touring Club Italiano e di lavori per il teatro e l’opera. Ha esordito nella narrativa con il romanzo storico “L’amico di Galileo” (2006), best seller internazionale assieme al successivo “Il sipario di giada” (2007, 2018), seguiti da “Lo studente e l’ambasciatore” (2015), “Il dio dell’I-Ching” (2017) e “Il quaderno di Verbiest” (2019)