Non è passato neanche un mese dal ritorno del virus a Shanghai, ed alla luce di un picco senza precedenti di casi Omicron, la metropoli sta rivivendo il ricordo della Wuhan di due anni fa. Il lockdown che doveva durare solamente pochi giorni, ad oggi sta ancora tenendo in reclusione 26 milioni di persone. La disinformazione, ed il generale stato di caos che sta vivendo la città si riversa online, dove immagini e video di ogni tipo raccontano quello che accade fuori e dentro gli appartamenti di una città spettrale.
Isolare anche i casi più lievi e asintomatici per prevenire la trasmissione è un aspetto essenziale della strategia cinese degli zero casi. Con le strutture sanitarie della città stremate dall’ondata dei contagi, il governo si è trovato a convertire alcuni edifici pubblici in “ospedali rifugio” temporanei: immense camerate con migliaia di letti pronte ad accogliere chiunque risulti positivo ad un tampone. Online non mancano i commenti alla gestione e all’utilità di tali strutture, come quella ricavata all’interno dell’immenso spazio dell’Expo di Shanghai, sprovvista di servizi igienici adeguati ad accogliere un elevato numero di persone.
Tra le storie di chi si trova costretto da un giorno a un altro ad essere trasferito in uno di questi spazi per la quarantena centralizzata, emerge anche la narrazione quotidiana di chi sta vivendo un lockdown che sembra non avere una fine. Da quando la chiusura della città si estesa fino a data da definirsi, sui social sono emerse le storie di cittadini che non riescono a ricevere le cure mediche di cui hanno bisogno o di chi non ha più scorte di cibo ed acqua. Ci sono anche le storie di bambini e di anziani lasciati soli a casa, e di animali abbandonati senza cibo in appartamenti deserti.
Davanti ai video diventati virali su Weibo dei bambini positivi al Covid-19 separati dalle proprie famiglie o di animali domestici uccisi brutalmente perché di proprietari infetti, l’opinione pubblica si è aperta in un dibattito sulla crudeltà di tali misure, che spesso non vedono eccezioni neppure nei casi più particolari.
Non mancano storie come quella dell’infermiera morta a Shanghai per un attacco d’asma perché le restrizioni Covid-19 nell’ospedale per cui lavorava le hanno impedito di ricevere cure, o come quella di una persona affetta da una malattia renale che ha chiesto aiuto su Weibo dopo non aver ricevuto il trattamento quotidiano di dialisi per dieci giorni.
Tra testimonianze dirette, fake news e video che mostrano la difficile situazione che sta vivendo la città di Shanghai, l’opinione si spacca in due, tra chi è favorevole all’azione del governo e chi no.
Ho raccolto per China Files le testimonianze di chi sta vivendo in prima persona il lockdown più drastico dopo quello di Wuhan, per comprendere meglio l’opinione pubblica sull’attuale gestione governativa della pandemia.
La prima cosa che emerge è che la maggioranza delle persone intervistate è molto preoccupata della disinformazione generale “Dal 13 Marzo sono uscita solamente due volte, ma sono riuscita a prendere lo stesso il virus. Sto guarendo, ma ho paura di essere portata da un giorno all’altro all’Expo di Shanghai per la quarantena,” racconta Zhanna, expat a Shanghai, commentando lo stato insalubre dei centri per la quarantena centralizzata, ma anche una situazione di totale incertezza.
Non tutti i positivi vengono portati negli spazi di quarantena centralizzata, perché con i casi in aumento le risorse mediche ed il personale sono molto limitati e questo grava pesantemente sugli operatori sanitari della città. In questo caso, le restrizioni colpiscono principalmente chi ha bisogno di cure giornaliere. “Alcuni ospedali sono stati chiusi a causa della pandemia, ma in generale è difficile per le persone oggi recarsi nelle strutture sanitarie locali per controlli di routine o, per esempio, per fare una regolare emodialisi” racconta Michelle, studentessa della Shanghai International Studies University (SISU).
Per chi, come lei, si trova in un dormitorio universitario la situazione sembra essere gestita in modo migliore rispetto a chi abita fuori. Con tamponi e pasti assicurati ogni giorno, Alexa, un’altra studentessa della SISU, dice di non essere preoccupata dalla situazione: “ Sto meglio di chi si trova in appartamento. L’università mi fa avere tre pasti al giorno e non faccio la fame come le altre persone a Shanghai.” Alexa mi racconta che il governo aveva inizialmente istituito una quarantena di soli quattro giorni, e l’estensione delle chiusure ha trovato impreparate migliaia di persone nella città.
La distribuzione dei viveri cambia a seconda del distretto e anche del condominio in cui si abita. Ogni complesso residenziale ha un proprio comitato governativo che si prende cura di organizzare i tamponi e la distribuzione dei viveri negli appartamenti: lo stesso sistema decentralizzato che aveva permesso inizialmente al governo di tenere sotto controllo la pandemia anche nelle zone più rurali. “Abito a Changning District e io ed altri miei amici nello stesso distretto abbiamo avuto provvigioni totalmente diverse. Nel mio caso vivo in una Lane House e ci è stato detto che siamo troppo pochi per fare ordini di gruppo (…) Ci hanno dato una busta con del cibo al secondo giorno di quarantena e da allora nient’altro, nel mio vicinato si è ufficialmente istituito il baratto” mi racconta Alessia, una ragazza italiana che vive a Shanghai.
“Non mi preoccupa la pandemia, ma ho paura di morire di fame! – si lamenta invece Long, studente che abita fuori dal campus universitario, “senza fattorini o personale negli alimentari, è diventato sempre più difficile procurarsi cibo e acqua. Il distretto ci fa avere qualcosa da mangiare, ma sono solo verdure e niente acqua!” Ordinare cibo da asporto o fare la spesa online è impossibile: data l’elevata richiesta bisogna essere veloci ed avere una buona tempistica per ordinare qualcosa da mangiare prima che tutto vada sold out.
Per quanto riguarda le foto e i video di bambini e neonati positivi in isolamento senza genitori le opinioni sono contrastanti: c’è chi è convinto siano fake news e chi invece considera tali misure brutali. “Queste regole sono state fatte da delle persone. Come possono essere così disumane tali decisioni? Sono disgustata,” afferma Alexa riferendosi ai bambini separati dalle proprie famiglie. Secondo Michelle, invece, ci sono troppe notizie, tutte diverse: “Ci sono troppe versioni della stessa storia (…) L’opinione delle persone è varia, alcuni dicono che i bambini vengono separati solo temporaneamente.”
Il Consolato Italiano a Shanghai ha rilasciato dichiarazioni contrarie alla separazione dei bambini dai genitori, avvalorando molte delle petizioni ed accuse sulla questione che sono circolate in questi giorni su Wechat prima di essere oscurate dalla piattaforma.
Tina, un’altra studentessa della SISU critica le misure del governo: “Non credo che siano effettive. Molte persone malate hanno lasciato la città infettando altre province. Il virus a Shanghai si è diffuso a causa dei troppi voli internazionali”.
Lina, da Shenzhen parla della sua esperienza con il Covid: “Sono stata positiva in quarantena per due mesi. Ad inizio marzo la situazione a Shenzhen con la pandemia era seria, ma è difficile che diventi peggiore di quello che adesso sta succedendo a Shanghai. Non credo che il Governo di Shanghai sia pronto ad affrontare la situazione.” “La città doveva entrare in lockdown prima, adesso è troppo tardi!” sono invece le parole di Michelle.
Jasmine, studentessa alla SISU invece è convinta del contrario: “Nel complesso, penso che le chiusure siano efficaci nel controllare l’epidemia. Proprio come Wuhan, anche Shanghai supererà questo focolaio.”
“Più pericoloso dell’epidemia è il panico che la circonda” il titolo di un articolo molto popolare pubblicato su Wechat il primo Aprile e poi oscurato dalla piattaforma: dopo due anni passati a vivere una vita apparentemente normale grazie alla politica degli zero casi, oggi si vede una prima frattura nell’opinione pubblica che all’unisono domanda che cosa è andato storto.
*Per la stesura di questo articolo China Files è stato intervistato un gruppo di residenti a Shanghai, qui citati con degli pseudonimi per salvaguardarne la sicurezza personale.
Di Camilla Fatticcioni*
**Laureata in lingua Cinese all’università Ca’ Foscari di Venezia, Camilla vive in Cina dal 2016. Nel 2017 inizia un master in Storia dell’Arte alla China Academy of Art di Hanghzou interessandosi di archeologia ed iconografia buddhista cinese medievale. Sinologa ed autrice del blog perquelchenesoio.com, scrive di Asia e Cina specialmente trattando temi legati all’arte e alla cultura. Collabora con diverse riviste tra cui REDSTAR magazine della città di Hangzhou e scrive per il blog di Bridging China Group. Appassionata di fotografia, trasmette la sua innata voglia di raccontare storie ed esperienze attraverso diversi punti di vista.