La corsa all’ASEAN da parte del QUAD non è ingiustificata, e per una volta i possibili ritorni economici non fanno da traino. Per quanto il commercio di armi sia un introito imprescindibile, i veri vantaggi di un rapporto di fiducia con l’ASEAN sono ben altri.
È il 19 febbraio 2022, e Marise Ann Payne, ministra degli Esteri dell’Australia, dichiara la centralità dell’Associazione delle Nazioni del Sud-Est asiatico nella nuova strategia indo-pacifica. Sono i giorni della Conferenza sulla Sicurezza di Monaco, che si tiene a poco più di una settimana dall’ultima dichiarazione congiunta del QUAD, piattafoam che riunisce Australia, Giappone, India e Stati Uniti con lo scopo implicito di contenere la Cina. Nel comunicato si evidenzia animosamente il ruolo primario dei paesi della regione che fanno parte dell’associazione, e della loro relativa prospettiva nel frenare le ambizioni di Pechino nella regione.
Sono passati 55 anni dall’inizio dei rapporti USA-ASEAN, e dopo il parziale divorzio dal Sud-Est asiatico dell’era Donald Trump, Joe Biden sembra riscoprire l’antico affetto. Ma perché il QUAD possa dare prova al mondo di essere tornato in scena in maniera convincente, una dichiarazione non basta. Le armi però, quelle forse sì. Del resto, quando si parla di sicurezza il motto sembra essere: scripta volant, armi manent. Non è passato neanche un mese dall’acquisto, infatti, di un nuovo sistema missilistico antinave di produzione indiana da parte delle Filippine. Il motivo dell’acquisto, dichiarato dal Segretario alla Difesa Delfin Lorenzana, è di difendere la sovranità nazionale sulle isole contese del Mar Cinese Meridionale. L’altro contendente, la Cina, è un rivale particolarmente prestante che sa ignorare, quando vuole, il diritto internazionale. Manila non è l’unica, infatti, a sentire la pressione di un così grande vicino sull’uscio di casa. Anche l’Indonesia si è associata firmando, all’inizio di febbraio, un contratto da 14 miliardi di dollari con gli Stati Uniti, in cambio di decine di jet da combattimento definiti da Washington “una necessità per mantenere la stabilità nel teatro dell’Asia-Pacifico”. Quel che è certo, è che il sud-est asiatico sta chiedendo maggiore sicurezza, e il QUAD risponde. O almeno ci prova.
La corsa all’ASEAN da parte della piattaforma non è ingiustificata, e per una volta i possibili ritorni economici non fanno da traino. Per quanto il commercio di armi sia un introito imprescindibile, i veri vantaggi di un rapporto di fiducia con l’ASEAN sono ben altri. Con il Golfo Persico da un lato e l’Oceano Indiano dall’altro, questo gruppo di stati siede sullo snodo delle principali vie di commercio marittime tra l’occidente e la Cina, e come se la posizione sul continente non bastasse, l’ASEAN detiene anche numerosi avamposti nel Mar Cinese Meridionale che la investono di un ulteriore valore geostrategico. E la posta in gioco si alza. Con una Cina sempre più competitiva questo ritorno di fiamma statunitense non sorprende. In quanto uno dei contendenti per le isole situate in quel mare che la Cina considera il suo “giardino sul retro”, l’ASEAN potrebbe giocare un ruolo fondamentale nel contenimento marittimo di Pechino, portando avanti interessi allineati con quelli del gruppo a guida USA. L’obiettivo: riportare la Cina in Cina.
L’idea di creare un fronte unito sul Mar Cinese Meridionale si fa più attraente una volta inserita Taiwan nell’equazione. E Taiwan nei calcoli statunitensi c’è, eccome. Se gli Stati Uniti riuscissero ad inglobare l’ASEAN nella propria sfera di influenza tramite il QUAD, racchiuderebbero il mare conteso in una costellazione di paesi politicamente vicini. A un estremo, Taiwan con un governo del Partito Progressista Democratico e disposta ad abbassare la conflittualità regionale con un approccio collaborativo sulle questioni del nanhai. All’altro, un’ASEAN ora parzialmente scardinata dal giogo dell’influenza cinese, e gravitante nell’orbita occidentale. Ma quando la posta in gioco si alza, cresce anche il numero dei concorrenti. È chiaro che l’ASEAN potrebbe potenzialmente essere un alleato formidabile, ma non solo per il QUAD. Se da un lato sembra esserci un sentimento comune di inimicizia dato dall’assertività cinese, mantenere una posizione ambigua potrebbe essere la soluzione più attraente per il sud-est asiatico. Da un lato la garanzia di un impianto di sicurezza di matrice filo-USA, dall’altro un massiccio capitale cinese pronto a fronteggiare l’alta domanda interna di investimenti.
Il Sud-Est asiatico si trova in una posizione particolarmente delicata in mezzo alla scacchiera delle grandi potenze. L’ASEAN ha storicamente avuto una tradizione di più o meno amichevole allineamento con la Cina, data sia dalla vicinanza geografica, sia dal giogo della Nuova Via della Seta che ha integrato alcuni paesi dell’area nei meccanismi di debito. La morsa economica che la Cina ha sulla regione, sviluppatasi già prima dell’ufficializzazione della Belt and Road Initiative, potrebbe rivelarsi una spina nel fianco per il QUAD, e fare dell’ASEAN una serpe in seno. Nel calderone ASEAN si trovano amici americani di vecchia data, ma anche paesi come la Cambogia e il Laos che, con un debito nei confronti di Pechino pari al 10% del loro rispettivo PIL, sono particolarmente vulnerabili alle ritorsioni economiche cinesi. C’è il rischio, quindi, di scoprire una falla nella grand strategy capitanata da Washington. Con Phnom Penh alla presidenza di turno 2022 di un’ASEAN virtualmente frammentata a causa della delicata situazione in Myanmar, questo QUAD rivitalizzato non può contare su una futura collaborazione senza intoppi con l’associazione. Quindi animo sì, ma non troppo.
Di Lucia Gragnani*
*Studiosa di geopolitica e indo-pacifico. Studentessa alla National Taiwan University e alla Charles University, si è laureata all’Università di Bologna in Lingue, Mercati e Culture dell’Asia. Al momento collabora con Taiwan NextGen Foundation, think tank con sede a Taipei