Affinità e divergenze di vedute tra il governo e il potere militare pakistano e i talebani sul tema dei confini
Tra gli attuali Khyber Pakhtunkwa e Balucistan e le aree a Sud del territorio formalmente controllato dai talebani si estende un’area, un confine poroso fra due paesi che non possono nascondere profonde somiglianza culturali fra alcune delle proprie etnie. Quest’area fu uno dei perni nei quali collisero le politiche coloniali dell’Impero britannico e della espansiva difesa dei propri confini di quello zarista nel “Gande gioco”. Nella Storia delle relazioni fra stati occidentale è stata formalmente conosciuta come Linea Durand. Al di là della finzione prima coloniale e poi “costituzionale” quest’area però non è forse mai completamente appartenuta ad sistema governativo o ordinamento giuridico che non fosse quello tribale. Durante la travagliata storia contemporanea l’area, abitata principalmente dall’etnia pashtun (o pathan), è servita come collegamento fra i due paesi, Data l’impenetrabilità per un controllo netto e la volontà politica di attori interni (statali e non statali): pashtun, pakistani e afghani ed esterni come gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e molti paesi e organizzazioni arabi si trattava di un confine labile e poroso. Le Aree tribali (questo è il nome più conosciuto) e i territori circostanti ad esse, appartenenti a varie organizzazioni amministrative nella storia dei due paesi, sono servite come rifugio di combattenti che operavano nell’uno o nell’altro versante. Queste regioni sono state ricettacolo per i mujaheddin che combattevano contro l’occupazione sovietica, culla dei talebani, nascondiglio per movimenti estremisti come al-Qaida, il Tehrik-i-Taliban Pakistan (TTP), il Network di Haqqani e hanno anche ospitato alcune basi e aeroporti della Coalizione occidentale durante.
Con l’evoluzione della guerra in Afghanistan anche a seguito della Conferenza di Bruxelles del 2016, che si lasciava intravedere come un punto sostanziale verso il ritiro delle truppe della occidentali, il Pakistan ha iniziato a erigere, ormai quasi cinque anni fa, sul confine convenzionalmente riconosciuto (ma ancora non ufficialmente dall’Afghanistan) una barriera fisica consistente in un sistema di recinzioni e concertine di filo spinato. La costruzione della barriera, che dovrebbe arrivare a coprire tutti i 2650 km circa del “confine” ha proceduto lentamente ma inesorabilmente fino quasi a completarsi a inizio del 2022. In dicembre 2021 e gennaio di quest’anno alcuni avamposti di frontiera talebani hanno proceduto, durante momenti favorevoli, allo smantellamento di alcuni tratti di barriera, causando anche incidenti con l’esercito pakistano. Nel contempo sono stai perpetrati attacchi isolati da parte del TTP in Balucistan e nel Waziristan del sud (in Pakistan) che sembrano essere legati alla questione dell’invisa barriera e la costruzione è stata fermata. I due governi, per bocca del Ministro degli esteri pakistano Shah Mehmood Qureshi e del portavoce del Ministro degli esteri talebano Abdul Qahar Balkhi hanno cercato ufficialmente di sottostimare gli incidenti ed in gennaio sono stati tenuti a Kabul una serie di colloqui che sembrano essere addivenuti ad una conclusione positiva della crisi. Entrambe le parti sono d’accordo per la costituzione di un Meccanismo di coordinamento a livello nazionale per l’attraversamento del confine che dovrà servire a dirimere le incomprensioni sul campo. I punti grigi sono ancora molti: primo fra tutti come un meccanismo di livello apicale statale possa essere utile e applicabile su un’area amministrata come realtà tribale. La posizione afghana permane nel non riconoscimento ufficiale del confine e gli sforzi pakistani, senza dubbio interessati alla sicurezza delle proprie regioni geografiche di confine, sono destinati a non ottenere risultati facili e immediati.
La posizione di Islamabad, che ha iniziato la costruzione della barriera nel momento in cui ha compreso di non poter per sempre godere della potenza repressiva statunitense e occidentale contro gli scomodi vicini e al contempo di non poter continuare a operare (attraverso il confine) con i propri servizi segreti, non è facile per la necessità di mantenere i buoni rapporti con Kabul. La posizione diplomatica internazionale che il Pakistan, dimostratosi attento agli equilibri regionali e alle politiche umanitarie del post-conflitto, ha acquisito al termine della guerra potrebbe subire un concreto discredito se la costruzione della barriera andasse avanti univocamente e forzosamente.
L’Afghanistan, dal canto proprio, concedendo il completo status quo confinario rinuncerebbe alle sue rivendicazioni non solo e non tanto sull’area in sé, ma anche come paese rappresentante della nazione pashtun e delle organizzazioni tribali e religiose del luogo (al quale appartengono i talebani).
Analisti afferenti alla testata giornalistica Al-Jazeera (tradizionale conoscitrice delle dinamiche dell’area), come il dottor Raza Khan ritengono che la crisi possa portare ad una vera e propria rottura fra i due paesi, causando un’ulteriore escalation di instabilità nell’area, fra l’altro interessata a iniziative economiche fondamentali come il gasdotto Turkmenistan-Afghanistan-Pakistan-India.
Di Francesco Valacchi