Laos, dov’è finito Sombath Somphone?

In Uncategorized by Lorenzo Lamperti

Da quasi 10 anni non si sa più niente dell’attivista del Laos, strenuo difensore dei diritti dei contadini. Articolo realizzato in collaborazione con Gariwo – La foresta dei giusti e pubblicato originariamente su Gariwo.net

Salvaguardia del multiculturalismo etnico, parità di genere, libertà religiosa e di parola, oltre che di assemblea. Stando alla carta, il Laos è un paese all’avanguardia sotto il profilo di diritti umani e civili. Così almeno lascia immaginare chi legge la sua costituzione, promulgata nel 1991. La realtà, però, è ben diversa. Lo dimostra la vicenda di Sombath Somphone, tra i più celebri attivisti laotiani per i diritti umani. Più che attraverso le parole, è diventato un simbolo attraverso le sue azioni. Somphone compirà tra poche settimane 70 anni. O compirebbe, visto che è da ormai dieci anni che di lui si sono perse completamente le tracce. Una vicenda oscura, sulla quale il governo continua a negare ogni responsabilità anche se i precedenti e diverse prove fanno pensare il contrario.
Somphone è scomparso il 15 dicembre 2012 dopo essere stato rapito. Alcune immagini catturate da una televisione a circuito chiuso lo riprendono mentre viene fermato e portato via a bordo di un pick-up in una strada trafficata della capitale Vientiane. Le riprese di una telecamera a circuito chiuso hanno mostrato che il veicolo di Sombath è stato fermato a un posto di blocco della polizia e che, in pochi minuti, individui non identificati lo hanno costretto a salire su un altro veicolo e lo hanno portato via in presenza di agenti di polizia. I filmati delle telecamere a circuito chiuso hanno anche mostrato un individuo sconosciuto che guidava il veicolo di Somphone lontano dal centro della città. La presenza di agenti di polizia al rapimento di Somphone e il loro mancato intervento fa intuire la partecipazione di agenti statali alla scomparsa forzata.

Da allora le organizzazioni non governative, gli attivisti per i diritti umani e diverse istituzioni politiche internazionali si sono mobilitate lanciando diversi appelli per conoscere le sue condizioni, esortando il governo del Laos ad assicurarne l’incolumità e il rilascio. Il governo però ha sempre rifiutato di entrare a far parte della vicenda, smentendo ogni accusa di coinvolgimento e non dando di conseguenza nessuna informazione sulla sorte dell’attivista. Nessuna risposta ai vari documenti o richieste, nemmeno a quelle inoltrate dal premio Nobel per la Pace Desmond Tutu, tra l’altro deceduto poche settimane fa, e dell’allora segretario di Stato degli Stati Uniti Hillary Clinton.

Tra gli Stati Uniti e Somphone c’è un legame forte, visto che l’attivista ha studiato nel Wisconsin e alle Hawaii, prima di tornare in Laos al termine della guerra del Vietnam. Dopo il suo ritorno Somphone si è adoperato per mettere a frutto a servizio del suo paese il master degree in Agricoltura conseguito alle Hawaii, diventando un precursore delle metodologie di “valutazione e diagnostica rurale partecipativa”. Ha aperto la strada all’uso delle tecniche di valutazione rurale partecipativa (participatory rural appraisal – PRA) in Laos. Si tratta di un sistema che mira a incorporare le conoscenze e le opinioni della popolazione rurale nella pianificazione e nella gestione dei progetti di sviluppo. È una metodologia che richiede ai responsabili politici di conoscere la vita rurale e l’ambiente dalle persone che vivono nelle aree del progetto. Nel 1996, sulla scorta di questa esperienza, ha fondato il Participatory Development Training Centre, pensato proprio per coinvolgere maggiormente le comunità rurali e le loro istanze nei programmi di sviluppo agricoli e commerciali. Con un’attività concentrata soprattutto sullo sviluppo sostenibile, la gestione dei rifiuti e l’agricoltura biologica. Temi più che mai attuali a oltre due decenni di distanza. I decenni di lavoro a favore degli agricoltori e delle pratiche agricole sostenibili hanno contribuito a fargli vincere il premio delle Nazioni Unite per lo sviluppo delle risorse umane per l’empowerment dei poveri delle zone rurali del Laos, e successivamente il prestigioso premio Ramon Magsaysay per la leadership comunitaria.

Per anni quella di Somphone è stata l’unica organizzazione non governativa operante in Laos. Il Partito rivoluzionario del Popolo Lao (partito unico del paese dal 1975) gli ha lasciato spazio finché non ha compreso che avrebbe potuto diventare una minaccia. Nel 2012, pochi mesi prima della sparizione, ha tenuto il discorso di apertura all’Asia-Europa People’s Forum di Vientiane. “Ci concentriamo troppo sulla crescita economica e ignoriamo il suo impatto negativo. Dobbiamo dare più spazio alla gente comune, soprattutto ai giovani, e permettere loro di essere i motori del cambiamento e della trasformazione”, ha detto in quell’occasione. Un accento sulla “voce del popolo” forse troppo marcato per il governo di Vientiane.

Proprio da lì qualcosa potrebbe essersi rotto. Nonostante Somphone abbia sempre evitato qualsiasi coinvolgimento politico, non rendendosi mai protagonista di azioni che avrebbero potuto metterli in contrasto col governo. Forse, però, la sua azione concreta a fianco delle comunità rurali e il suo tentativo di dargli una voce può aver creato timori in chi non condivide con piacere la possibilità di presentare istanze politico-sociali. Prima del suo rapimento, aveva infatti sfidato i massicci accordi sulla terra negoziati dal governo, che avevano lasciato migliaia di abitanti delle zone rurali del Laos senza casa e con poche compensazioni. Gli accordi avevano scatenato rare proteste popolari in un paese dove la presa del governo è fortissima.
Ma ricostruire che cosa sia accaduto davvero a Somphone non è semplice. Organizzazioni e associazioni internazionali imputano al governo l’incapacità nel risolvere il mistero. Un mistero sul quale è progressivamente calato il silenzio e sul quale si sono via via spenti i riflettori internazionali. Nei primi anni le richieste e le visite di delegazioni di associazioni o funzionari europei, occidentali o asiatici erano state numerose e ripetute. Con tanto di dimostrazioni organizzate di fronte ad ambasciate laotiane in diversi paesi del mondo e dichiarazioni ufficiali da parte delle Nazioni Unite. Poi le occasioni di discussione sulla storia di Somphone si sono via via rarefatte. L’ultima presa di posizione ufficiale del governo di Vientiane sulla vicenda è datata 28 settembre 2020, quando l’esecutivo ha rigettato le cinque richieste presentate dal Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite per fare luce sulla storia, pur riconoscendo che “la ricerca dei cittadini laotiani scomparsi, incluso Sombath Somphone”, è un dovere del governo del Laos”.

Il 5 febbraio 2021 quattro titolari di mandato per la procedura speciale del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite hanno scritto al governo del Laos per ribadire la loro preoccupazione riguardo alla mancanza di progressi nelle indagini. Nella loro comunicazione, gli esperti delle Nazioni Unite in materia di diritti umani hanno notato una “assenza di prove che indichino che sono stati fatti sforzi per approfondire la ricerca della sua sorte e del luogo in cui si trova”. A oggi, il governo non ha risposto a questa comunicazione, nemmeno in occasione del nono anniversario della scomparsa.

Non solo. Dal dicembre 2017 nessun rappresentante del governo ha più incontrato o comunicato novità sul caso a Shui Meng, moglie di Somphone, nonostante le sue ripetute richieste. Il tentativo appare chiaramente quello di far cadere la vicenda nell’oblio. La donna ha anche scritto un libro sul marito, intitolato “Silencing of a Laotian Son”, presentato a Bangkok il 14 dicembre scorso. “Non posso accettare il tuo rapimento illegale e ingiusto lasciando che il passare del tempo cancelli il ricordo della tua vita e del tuo lavoro di 30 anni in Laos tra le comunità rurali e tra le migliaia di giovani che hai formato”, ha detto Shui Meng alla presentazione del volume. “Voglio che le generazioni future, specialmente quelle del Laos, sappiano di te e di quello che ti è successo. Non voglio che la tua scomparsa neghi la tua vita o il contributo che hai dato alla tua comunità e alla società. Ancora più importante, non voglio che il popolo del Laos dimentichi come sei stato ingiustamente rapito e portato via da me e dalla tua famiglia”.

Quella di Somphone non è l’unica vicenda a destare preoccupazione sulla tutela dei diritti umani in Laos. Diversi report parlano di limitazioni alla libertà di espressione e alla fede religiosa, nonché di omicidi extragiudiziali e di imprigionamenti e torture di dissidenti politici. I processi vengono spesso considerati alla stregua di appuntamenti pro forma dove le sentenze sono già state decise. Nel mirino c’è spesso la minoranza Hmong, di cui alcuni gruppi avevano in passato collaborato con la Cia durante la guerra civile laotiana. Dal 1977 il governo ha aperto la caccia ai “collaborazionisti degli americani” conducendo spesso anche attacchi militari contro civili. Le restrizioni alle libertà di espressione si sono ulteriormente acuite dopo l’inizio della pandemia da Covid-19, che nell’area ha spesso significato un maggiore controllo con la scusa della necessità di contrastare la diffusione di fake news. Alcuni personaggi pubblici sono stati fermati dalle autorità per motivi non del tutto chiariti, a partire dal musicista Ther Una e dal pastore cristiano Sithon Thippavong.
In questo contesto, non sembra così semplice che possano arrivare notizie positive sulla sorte di Somphone prima del decimo anniversario della sua sparizione.

Di Lorenzo Lamperti

[Pubblicato su Gariwo]