In Nepal sono sempre più numerose le forze politiche e civili che manifestano la volontà di voler abbandonare la repubblica per accogliere nuovamente la monarchia, eleggendo il paese a Stato hindu.
Da agosto 2021 in Nepal sono sempre più numerose le forze politiche e civili che manifestano la volontà di voler abbandonare la repubblica per accogliere nuovamente la monarchia, eleggendo il paese a Stato hindu. Il maggior sostenitore della campagna che mira a riportare il Nepal sulla strada della monarchia induista è Rookmangud Katawal, capo dell’esercito nepalese dal 2006 al 2009. L’ex leader viene supportato da circa 20 organizzazioni nepalesi pro-hindu che, creando una sorta di “fronte comune” a Deughat, nel distretto di Tanahun, chiedono di modificare la costituzione del 2015, che da allora fa del Paese una repubblica secolare.
“Non abbiamo intenzione di riportare il fondamentalismo, o di isolare le minoranze religiose come i musulmani ed i cristiani. Vogliamo solo che il Nepal si ricordi della sua identità e si riacquisti consapevolezza riguardo la religione e la pratica induista”. Con queste parole, prominenti figure pro-hindu tengono riunioni e comizi in pubblico cercando supporto tra la popolazione nepalese di cui, secondo il censimento del 2011, l’81.3% è di religione hindu: Il 9% si dichiara buddhista, il 4.4 % musulmana, mentre il 3.1% appartiene al kirant, una religione indigena. Solo l’1.4% è di religione cristiana.
In un sondaggio del 2014, il 94% dei nepalesi ha affermato che la religione ha un ruolo molto importante nella propria vita quotidiana. Dal 2015, anno in cui il Nepal ha iniziato la nuova vita come stato secolare, i gruppi estremisti hindu non hanno mai smesso di far sentire la loro voce, mobilitandosi a più riprese in violente proteste. Questa forza però tende a scontrarsi con chi crede nel nuovo Nepal, dove valori come la democrazia e secolarismo costituiscono il cuore del Paese. Per gli stessi, l’ideologia hindutva, che pone al centro la storia, la religione e le pratiche induiste, rappresenta una vera e propria minaccia alla società nepalese dove l’identità secolare è necessaria per unificare un paese così ricco e diversificato, che accoglie più di 101 gruppi etnici e 91 lingue. Secondo Dev Gurung, membro del Partito Comunista nepalese, con questa decisione si tornerebbe indietro. “Il Nepal ha bisogno di andare avanti e di investire e rafforzare la realtà che abbiamo costruito in questi anni”, ha spiegato.
Quel che è certo è che rispetto a qualche anno fa la situazione è cambiata e, ad oggi, la conversione del Nepal in uno stato hindu non è più così irrealizzabile. Infatti, inizialmente la proposta era avanzata dal partito conservatore e sovranista Rashtriya Prajantantra Party-Nepal (RPP-Nepal), con il supporto soprattutto economico dei maggiori gruppi hindu presenti nel paese (più di 100, tra cui il Vishwa Hindu Panshad, Vishwa Hindu Mahasangh e il Nepal Hindu Jagaran Samaj). Al giorno d’oggi, invece, la transizione da repubblica secolare a monarchia costituzionale è appoggiata anche da forze politiche una volta considerate le colonne portanti del sistema attuale. Sembra infatti che alcuni partiti, cruciali nell’aver accompagnato il Paese verso la repubblica secolare, vogliano tornare indietro. Non solo il RPP, ma anche il Nepal Communist Party (recentemente diviso in Communist Party of Nepal di matrice marxista e marxista-leninista) ed il Nepal Congress, di cui esattamente 734 su 1,400 membri si sono dichiarati favorevoli al ripristino dello stato induista, intendono indire un referendum per affrontare la questione una volta per tutte.
Anche se il premier Sharma Oli non ha ancora dichiarato pubblicamente il suo appoggio inserendo la proposta all’interno della sua campagna elettorale, le sue azioni sembrano comunque suggerire quale futuro egli abbia in mente per il Paese. Nonostante l’immagine di “leader comunista”, Sharma Oli ha visitato più volte il tempio hindu di Pashupatinath, regalando alla struttura 2.5 milioni di dollari provenienti da fondi governativi. ll primo ministro ha inoltre ribadito che il luogo di nascita del dio Rama non è Ayodhya in India, ma Madi in Nepal, legittimando e riaccendendo il sentimento nazionalista hindu all’interno del Paese.
Il ruolo e il coinvolgimento del Bharatiya Janata Party (BJP) in questo dibattito non sono del tutto chiari. D’altro canto la conversione del Nepal in uno Stato sovranista hindu andrebbe sicuramente a fortificare l’ideologia Hindutva e il governo Modi, consolidando l’alleanza Nepal-India. Inoltre, alcuni politici indiani hanno dichiarato di essere a favore, come Yogi Aditya Nath, Primo Ministro dell’Uttar Pradesh dal 2017.
Recandosi in Nepal nel 2018, il premier indiano Narendra Modi ha intrapreso una visita di due giorni nelle più importanti mete di pellegrinaggio nepalesi, Janakpur, Muktinath, Pashupatinath. I rapporti tra India e Nepal sono diventati ancora più stretti ed intensi con l’accordo sull’Indian Energy Exchange (IEX), firmato nel 2014. Lo scorso novembre, proprio sotto l’IEX, l’India ha cominciato ad acquistare energia idroelettrica dal Nepal, primo paese vicino che parteciperà all’accordo. Questa alleanza gioverà ad entrambi i Paesi da molti punti di vista, compreso quello ambientale. Da un lato, il Nepal potrà finalmente puntare alla crescita e allo sviluppo “sostenibile” realizzando il sogno di una vita e, dall’altro, l’India riceverà un aiuto per ridurre le emissioni di carbone in vista dell’obiettivo “0 emissioni” da raggiungere entro il 2070.
Di Maria Casadei
Laureata Magistrale in Lingue e Culture Orientali con specializzazione hindi e urdu. Attualmente è dottoranda in sociolinguistica a Cracovia, in Polonia. Appassionata di Asia, lingue, cinema e letteratura, scrive per myindia e VeNews, per il quale si occupa delle recensioni di film indiani/dell’Asia meridionale in concorso alla Biennale di Venezia.