China tech 2022. Quindici secoli dopo le prime banconote dell’epoca Tang, Pechino allarga la sperimentazione della propria moneta virtuale in 12 città
Secondo i principali siti cinesi di tecnologia è semplice, intuitiva e consente registrazione e pagamenti in forma anonima. L’oggetto di cui si discute è un’app, si chiama «e-Yuan», è disponibile in Cina sugli store Android e Apple e sarà utilizzabile in 12 città (tra cui Pechino, Shanghai, Chengdu, Shenzhen, Suzhou).
Quindici secoli dopo la nascita delle prime banconote in Cina, più simili a cambiali e utilizzate nel periodo della dinastia Tang (618-907), il paese allarga il campo della sperimentazione inserendo la sua moneta virtuale all’interno delle sue politiche finanziarie.
L’app prevede quattro profili diversi di utenza e quattro possibilità differenti di utilizzare la moneta digitale: attraverso diverse fasi di registrazione e dettagli dei dati inseriti sull’app, aumenteranno il massimale e le operazioni consentite.
Si potrà utilizzare per passare soldi da una persona all’altra e per pagare on line e off line come già avviene per le rodate app di Ant e WeChat, che ad oggi da sole gestiscono oltre il 90 per cento del mercato cinese dei pagamenti on line (e che nei desiderata delle autorità cinesi dovrebbero perdere rilevanza nel corso del tempo).
Durante la registrazione, inoltre, gli utenti possono scegliere una delle nove banche partner (non è necessario avere già un conto aperto in uno degli istituti) da collegare al proprio portafoglio digitale. Tra le banche che partecipano al progetto ci sono i colossi statali Bank of China e China Construction Bank Corp, due banche online – WeBank, di Tencent e MYbank, gestita da Ant e China Merchants Bank.
Da tempo la Cina ragiona sulla propria moneta virtuale (in alcune città gli stipendi vengono già pagati con lo e-yuan, così come è già possibile acquistare beni o servizi con la moneta virtuale), centralizzata e creata apparentemente dopo l’allora annuncio di Facebook di voler lanciare Libra, a dimostrare come una delle motivazioni dell’operazione risieda nel tentativo di difendersi da criptovalute esterne.
In realtà Pechino già da prima era intenta a studiare i modi affinché lo Stato possa entrare nel rigoglioso business dei pagamenti on line, per placare il rischio di speculazioni finanziarie su strumenti alternativi e per muovere i passi più rilevanti per l’internazionalizzazione dello yuan, la cui infrastruttura di prova potrebbe essere la nuova via della seta, di cui lo yuan digitale potrebbe divenire la moneta standard.
Come sottolineato da molti report che negli ultimi anni si sono occupati del tema la moneta virtuale cinese affonda la sua origine nel rinnovato ambito monetario cinese, caratterizzato da una società che si avvia da tempo a essere cashless. Da un lato c’è il tentativo di riportare all’interno del sistema bancario molti cittadini sprovvisti di conto corrente, dall’altro c’è il tentativo di ridurre il business delle big tech e infine c’è la volontà di allargare – presumibilmente – l’uso dello e-yuan anche a turisti e imprese straniere.
Secondo un documento della banca centrale cinese (la Pboc) del 2019, la crescita del volume delle transazioni senza contanti rispetto all’anno precedente era aumentato del 50 per cento, passando da circa 220 miliardi di transazioni a circa 331 miliardi. Secondo molti osservatori tra gli scopi della Pboc c’era anche quello di di rimuovere monete e banconote dalla circolazione pubblica e promuovere l’efficienza monetaria.
Nel 2016, l’allora governatore della Pboc Zhou Xiaochuan aveva già annunciato la volontà di sostituire il denaro in fisico con lo yuan digitale in quanto più economico da gestire per il governo. Sempre nel 2016 il vice governatore della Pboc Fan Yifei aveva sostenuto che una valuta digitale gestita dallo Stato avrebbe potuto beneficiare di molte delle caratteristiche tecniche delle criptovalute indipendenti come Bitcoin senza provocare rischi collaterali (non è un caso che contemporaneamente alla spinta per lo yuan digitale, la Cinac abbia dichiarato illegali le criptovalute e le attività di mining connesse).
Lo yuan digitale si presenta come una specie di strumento ideale nelle mani di una banca centrale: può rendere più semplici i meccanismi di calibrazione della politica monetaria, aiuta le autorità a gestire le operazioni di anti riciclaggio e contro le truffe. Come da media e think tank americani ( i più preoccupati da questa svolta), inoltre, tutto l’apparato dello yuan digitale consentirà una ulteriore forma di controllo, specie se associata (in futuro) al progetto dei crediti sociali (benché al momento questo sistema stia progredendo più sul lato aziende che non per quanto riguarda i singoli cittadini).
Come detto, uno degli aspetti salienti dello yuan digitale è la volontà della dirigenza cinese di internazionalizzare la sua moneta. Come riportato dall’ex analista Maximilian Kärnfelt su Merics, «I funzionari di Pechino sanno che l’Iran è l’esempio di ciò che può accadere ai paesi dipendenti dal dollaro non graditi agli Stati Uniti. Nel 2012, il paese è stato sottoposto a varie sanzioni finanziarie statunitensi, incluso il blocco delle banche iraniane dal sistema Swift (Society for Worldwide Interbank Financial Telecommunication, ndr). Il paese fu rapidamente sottoposto a una grave pressione economica, con stagflazione, crescita in calo e deprezzamento. Per sostenere l’occupazione e ammortizzare il suo settore delle esportazioni, l’Iran è stato costretto a svalutare la sua valuta. Successivamente, la crescita economica è tornata, ma il potere d’acquisto esterno dell’Iran è stato notevolmente ridotto».
È uno dei tanti esempi che circolano sui cinesi nei quali si discute di moneta digitale. Anche per questo motivo secondo Kärnfelt «Internazionalizzare lo yuan è una mossa logica. La Cina è vulnerabile alle sanzioni finanziarie perché il suo commercio estero dipende dai dollari. La maggior parte delle sue transazioni transfrontaliere sono regolate in dollari – o euro, sterline e yen. Solo circa il due percento delle transazioni internazionali nel sistema Swift sono regolate con lo yuan».
Benché Kärnfelt ritenga che la moneta digitale sarà un passo avanti, benché non clamoroso o definitivo, gli americani sono preoccupati. In un report del 2021 del Center for New American Security, si legge che «Pechino probabilmente perseguirà una serie di misure per promuovere l’adozione internazionale dello yuan digitale. Può incoraggiare turisti stranieri a utilizzare gli e-wallet nel paese e potrebbe anche essere in grado di costringere gli studenti cinesi e turisti all’estero a pagare beni e servizi cinesi con i portafogli digitali in renminbi».
Si tratta di qualcosa che avverrà già alle Olimpiadi invernali, come specificato da un documento della banca centrale nel quale si annunciava la possibilità per i turisti di utilizzare la moneta virtuale.
Tuttavia, al momento l’effetto non sarà a valanga, ma questo obiettivo è quello più rilevante per comprendere le motivazioni della autorità finanziarie ed economiche del paese.
Fondatore di China Files, dopo una decade passata in Cina ora lavora a Il Manifesto. Ha pubblicato “Il nuovo sogno cinese” (manifestolibri, 2013), “Cina globale” (manifestolibri 2017) e Red Mirror: Il nostro futuro si scrive in Cina (Laterza, 2020). Con Giada Messetti è co-autore di Risciò, un podcast sulla Cina contemporanea. Vive a Roma.