Non solo Pechino, anche Seul è impegnata in una serie di azioni regolatorie volte a limitare il potere dei colossi tecnologici nazionali e a imporre norme più stringenti. E il tema è anche tra quelli presenti nella campagna elettorale sudcoreana
Nell’ultimo anno Cina e Corea del Sud si sono impegnate in una serie di azioni regolatorie nei confronti dei colossi tecnologici al fine di limitare il loro dominio sul mercato e riportare ordine nella economia digitale. Pechino allinea i suoi tentativi al multi sfaccettato obiettivo nazionale di “prosperità comune”, puntando il dito contro giganti dell’e-commerce, aziende dell’insegnamento online, società attive nella logistica o nel ride-hailing, colpevoli di aver promosso una “espansione disordinata del capitale” e indotti dal governo a migliorare i “meccanismi di ridistribuzione del reddito”. In Corea del Sud, invece, il partito di maggioranza da una parte e la Fair Trade Commission dall’altra hanno cavalcato il malcontento pubblico, promulgando legge uniche nel suo genere nel panorama internazionale.
A settembre, durante le cinque settimane di udienze dell’Assemblea Nazionale, il parlamento monocamerale della , i membri del Partito Democratico di Corea hanno accusato i giganti tecnologici di aver preso le stesse abitudini delle chaebol, i conglomerati industriali a conduzione familiare. In un paese dove i lavoratori autonomi ammontano al 25% del totale, dieci punti percentuali in più rispetto alla media internazionale, le multinazionali private sono ritenute colpevoli di essere cresciute esponenzialmente durante la pandemia abusando della propria posizione e allargando il divario socio-economico del paese. Secondo un numero crescente di elettori, spiegano Lee Jeong-Ho e Kim Sohee su Bloomberg, “tali aziende stanno violando il decennale patto sociale del paese di non danneggiare i proprietari di negozi a conduzione familiare”.
Kakao Corp, proprietaria della popolare app di messaggistica, è stata definita dal leader del Partito Democratico Song Young-gil “un simbolo di avidità”, una dichiarazione che ha determinato un crollo del suo valore di mercato di 16 miliardi di dollari. Gli affari della società sono stati intaccati anche dalle misure introdotte il 7 settembre dalle autorità di regolamentazione sudcoreane nei confronti del settore dei prodotti finanziari, che richiede una licenza ufficiale alle piattaforme che rivendono prodotti finanziari come assicurazioni o investimenti. PER CONTINUARE A LEGGERE OTTIENI IL MINI EBOOK IN CINA E ASIA 2022
Marchigiana, si è laureata con lode a “l’Orientale” di Napoli con una tesi di storia contemporanea sul caso Jasic. Ha collaborato con Il Manifesto, Valigia Blu e altre testate occupandosi di gig economy, mobilitazione dal basso e attivismo politico. Per China Files cura la rubrica “Gig-ology”, che racconta della precarizzazione del lavoro nel contesto asiatico.