Regole, standard e governance: dopo lo sforzo normativo del 2021 per produrre un perimetro di regole per gran parte del comparto tecnologico, la Cina si avvia a vederne l’applicazione. Poiché in alcuni casi si tratta di norme stringenti, come quelle sui dati o – più di recente – su prodotti finanziari, livestreamer e influencer, sarà necessario andare a osservare in che modo l’apparato legislativo finirà per influenzare o meno l’intero settore.
SULLO SFONDO C’È LA CONSUETA ricerca cinese della next big thing, incuranti di eventuali «bolle» e di alcuni disguidi che si sono registrati nel 2021 (ad esempio la difficoltà a ricapitalizzare da parte di alcune aziende, specie quelle impegnate nei sistemi di riconoscimento facciale).
Uno dei settori che registrano la più alta attenzione di media e investitori è un classico della letteratura e cinematografia fantascientifica, ovvero quello delle auto a guida autonome volanti, un settore nel quale stanno finendo molti soldi anche in Occidente: da una ricerca della casa automobilistica Porsche è emerso che «entro il 2035 il business dei veicoli volanti avrà un giro d’affari di 32 miliardi di dollari».
E INFATTI PORSCHE LANCERÀ, si dice, un suo modello. Nelle ultime settimane dell’anno scorso la startup cinese HT Aero ha raccolto 500 milioni di dollari di finanziamenti per un progetto che si basa su veicoli sia in grado di stare su strada sia di volare, ovviamente. A luglio HT Aero ha lanciato un drone per passeggeri che può rimanere in volo 35 minuti alla velocità di 130 km/h (ma pare che non lo commercializzerà).
La Cina sembra prepararsi a questo nuovo business a passi svelti: la Civil Aviation Administration of China (Caac) a dicembre si è detta in procinto di accelerare il processo di certificazione dell’aeronavigabilità delle auto volanti a guida autonoma, poiché il settore attende il via libera per commercializzare i suoi prodotti.
In particolare, in attesa c’è il primo prodotto della startup EHang Holdings Ltd, quotata negli Stati uniti con sede a Guangdong, sebbene una delle aziende cinesi più avanti sia Xpeng (ma il resto del mondo, Italia compresa, non sta a guardare: Volocopter, ad esempio, ha già presentato un progetto di taxi elettrico, volante e a guida autonoma o il Giappone dove sono già in vendita delle moto volanti dal prezzo proibitivo, per ora, ovvero 600mila euro). Un altro settore da osservare in Cina sarà quello del software open source e a sostenerlo è un grande esperto del settore (nonché investitore) come Kevin Xu; nella sua newsletter Interconnected ha scritto che «Di recente, il Ministero dell’Industria e dell’Information Technology ha pubblicato una nuova serie di linee guida nelle quali l’espressione open source è citata 27 volte».
SI LAVORA ALLA PRIMA fondazione open source cinese, la OpenAtom che avrebbe «esplicitamente l’obiettivo di costruire 2-3 comunità open source con influenza globale entro il 2025». Ad oggi la Cina vanta la seconda comunità di sviluppatori più grande al mondo, con un ecosistema open source fiorente. Secondo Xu i tre progetti da tenere d’occhio sono «Apollo di Baidu (guida autonoma), OpenHarmony di Huawei (sistema operativo) e OpenXuantie di Alibaba (progettazione di semiconduttori)».
SARÀ INOLTRE UN ANNO cruciale per lo yuan virtuale, la moneta digitale cinese già in avanzata fase di sperimentazione e che ha portato all’annientamento delle criptovalute e delle attività di mining all’interno del paese. Lo scopo cinese è internazionalizzare l’e-yuan, inserirsi nel business dei pagamenti digitali (per ora controllato solo da Alipay e WeChat) e gestire in modo centralizzato una sorta di blockchain con caratteristiche cinesi, all’interno della quale cominciano a fiorire gli Nft (non fungibile token).
Nel mezzo di questo consueto fervore cinese (al quale non sfugge la nuova mania del metaverso che, qualsiasi cosa sarà, non ha lasciato indifferenti le aziende cinesi più attive nel digitale), il 2022 porterà a verifica anche l’ampio armamentario normativo sviluppatosi nel 2021: la legge sulla privacy, quella sulla sicurezza dei dati e quella – ancora in fase di draft – sul controllo degli algoritmi. Leggi che in un primo momento sembravano impattare per lo più sulle aziende straniere (specie per quanto riguarda l’obbligo di lasciare in Cina i dati, in nome della sovranità digitale) e sulle società private messe a dura prova da un 2021 terribile, concretizzatosi in multe, Ipo mancate, crolli in borsa e fuoriuscita di parecchi lavoratori.
NINA XIANG SU «NIKKEI ASIA», ad esempio, ritiene giustamente che un altro elemento da tenere in considerazione sia l’indirizzo politico deciso dal governo, ovvero richiamare all’ordine le società private affinché le loro attività rientrino nelle più generali esigenze di tutto il paese. Ma, scrive Nina Xiang, «Se gli imprenditori e gli investitori si concentrano solo sui settori incoraggiati dal governo, inizieranno a indebolire la vitalità complessiva della macchina dell’innovazione tecnologica cinese. L’innovazione non va bene se incatenata all’interno di una gabbia. Per riassumere, il prossimo anno vedrà l’inizio di una nuova era della China Tech 3.0. Il boom di Internet negli anni ’90 e all’inizio degli anni 2000 e il conseguente boom di smartphone e dell’intelligenza artificiale hanno rappresentato una sorta di corsa all’oro. In futuro, possiamo aspettarci una crescita contenuta e maggiori difficoltà operative».
Vero, ma proprio quei boom dei decenni scorsi furono ampiamente «spinti» dal governo: semplicemente in quella fase le attività imprenditoriali private combaciavano con i desiderata governativi.
OGGI, DOPO UNA EVIDENTE divaricazione degli interessi, Pechino richiede a queste società qualcosa indietro: dopo averle aiutate a crescere, ora devono contribuire alla «prosperità comune», lanciata da Xi Jinping in un discorso dello scorso 17 agosto.
Per questo motivo il settore dei semiconduttori dovrà essere seguito con grande attenzione, considerando che si tratta di un settore strategico messo a repentaglio dallo scontro commerciale con la Cina, altro convitato di pietra nel 2022 futuristico di Pechino.
Di Simone Pieranni
[Pubblicato su il manifesto]Fondatore di China Files, dopo una decade passata in Cina ora lavora a Il Manifesto. Ha pubblicato “Il nuovo sogno cinese” (manifestolibri, 2013), “Cina globale” (manifestolibri 2017) e Red Mirror: Il nostro futuro si scrive in Cina (Laterza, 2020). Con Giada Messetti è co-autore di Risciò, un podcast sulla Cina contemporanea. Vive a Roma.