Puntata speciale di fine anno della rassegna a cura di Lorenzo Lamperti sui rapporti politici, commerciali e culturali tra Italia e Cina. Una panoramica di tutto quanto accaduto sull’asse Roma-Pechino nel 2021.
Così come era stato il 2020 (qui il resoconto Go East dello scorso anno), anche il 2021 è stato politicamente e pandemicamente movimentato in Italia. Il cambio di governo e l’arrivo di Mario Draghi a Palazzo Chigi hanno avuto effetto anche sulle relazioni con la Cina. Ripercorriamo attraverso le varie edizioni di Go East i dodici mesi appena trascorsi sull’asse Roma-Pechino.
Gennaio – La crisi di governo e la Cina nell’armadio
Relazioni politiche
Nei due discorsi a Camera e Senato, Giuseppe Conte cita direttamente il ruolo “di raccordo” tra le due potenze svolto dal suo governo. Nel primo discorso il presidente del consiglio pone praticamente sullo stesso livello Washington e Pechino, attirandosi tra l’altro varie critiche dall’opposizione e dai media di centrodestra. “Possiamo offrire contributo di raccordo fra i principali attori internazionali, a partire dagli Usa – principale alleato e partner strategico – e dalla Cina, il cui innegabile rilievo sul piano globale ed economico va associato a rapporti coerenti con un ancoraggio al nostro sistema di valori e principi”, dice alla Camera.
La Lega chiede a Conte di scusarsi con gli italiani “e i morti del virus di Wuhan” (come i leghisti continuano a definire il coronavirus). “La Cina approfitta della nostra debolezza per aggredire l’economia italiana e non solo. Lei viene qui a esaltarla e si deve vergognare per questo”, ha dichiarato Giorgia Meloni. Anche Forza Italia, con Antonio Tajani, si è detta “preoccupata per le attenzioni di Conte verso la Cina”. Più in generale, nota Giulia Pompili, “Conte continua a rivendersi un’amicizia con la Cina che in realtà non esiste”.
Ma, evidentemente, ci sono delle rimostranze anche all’interno della maggioranza. Tanto che al Senato il discorso di Conte è pressoché identico a quello della Camera in tutte le sue parti tranne quella sulla politica estera. Stavolta è posto un maggiore accento sulla partnership con gli Stati Uniti di Joe Biden, mettendo più chiaramente la Cina su un piano diverso.
D’altronde, tra gli argomenti da tenere presenti sulla crisi di governo e sulla sorte di Conte c’è anche quello del rapporto con la Casa Bianca. Non a caso, Matteo Renzi ha colpito il premier proprio su quel tema nel suo discorso al Senato. “Ci risparmi la frase ‘l’agenda Biden è la mia agenda’ dopo aver detto ‘l’agenda Trump è la mia agenda’. Presidente, lei rappresenta l’Italia. Non cerchi di avere un atteggiamento provinciale per cui a seconda del capo lo accontenta dicendo che la nostra agenda è la sua azienda. Signor Presidente, non può cambiare le idee per avere una poltrona”.
L’assedio a Capitol Hill ha creato qualche imbarazzo a Conte e al M5s, scrive il Foglio, che avevano sempre decantato rapporti privilegiati col tycoon. Luigi Di Maio è stato forse più rapido nel rendersi disponibile a Biden dopo lo scorso 6 gennaio, mentre in molti hanno notato un intervento poco risoluto di Conte dopo il tentato colpo di Stato (tra l’altro, fra i trumpiani circola un’assurda teoria del complotto che tira in ballo l’Italia).
Sull’assedio di Capitol Hill, l’ex premier non è stato l’unico a essere criticato per la sua “timidezza” nel criticare Trump. Matteo Salvini, per esempio, ha sì condannato le violenze di Washington citando però nello stesso frangente anche le “violenze di Pechino”.
Giorgia Meloni ha augurato buon lavoro a Biden, ma qualche giorno fa Fratelli d’Italia ha criticato la decisione dei social di oscurare Trump. Federico Mollicone ha definito Facebook e Twitter “potenze totalitarie come la Cina”.
L’accordo sugli investimenti Ue-Cina raggiunto all’alba del 2021 e poi congelato al parlamento europeo (qui un’utile scheda ISPI sull’argomento) ha visto un ruolo marginale dell’Italia. Nonostante il governo Conte I avesse firmato il MoU sulla Belt and Road, infatti, l’ex premier non è stato consultato e non “ha mai preso palla” sul negoziato condotto da Angela Merkel, soprattutto, ed Emmanuel Macron.
Relazioni commerciali
Significativa operazione di Poste Italiane che, nella prima mossa all’estero del Gruppo, scommette sull’e-commerce cinese. Insieme a Cloud Seven Holding Limited, Poste ha siglato un accordo quadro vincolante per il rafforzamento della partnership nel mercato dell’e-commerce tra l’Italia e la Cina. Poste Italiane acquisisce il 51% del capitale votante di Sengi Express Limited.
Dalla collaborazione tra Huawei e Politecnico di Milano (a proposito di Politecnico, ma di Torino, sempre da seguire quello che fa la China Room) è nato Joint Lab, un laboratorio congiunto dove il Politecnico e Huawei sviluppano ricerca avanzata per le tecnologie wireless. In tale campo sono state istituite nuove borse di studio.
Per rileggere nel dettaglio il gennaio 2021 delle relazioni Italia-Cina
Febbraio – Draghi e dragoni
Diciamoci la verità, non è che a “Giuseppi” il passaggio di consegne avvenuto negli Stati Uniti sia convenuto molto. Non è un mistero che le opinioni del corrente leader di Oltreoceano contano sulle composizioni del governo italiano, nonostante Vie della Seta e flirt cinesi. Prendiamo che cosa era accaduto col primo governo Conte, quello gialloverde, quello che aveva firmato il memorandum of understanding sulla Belt and Road. L’accordo con la Cina era stato un campanello d’allarme. Non solo, e non tanto, per il mercantilista Donald Trump, ma per l’apparato statunitense che riteneva quell’accordo non solo un segnale di cooperazione commerciale e infrastrutturale ma la possibile spia di uno shift geopolitico dell’Italia verso il gigante asiatico.
La nascita del governo giallorosso viene comunque guardata con favore da Trump, grazie al buon rapporto sviluppato dal tycoon con “Giuseppi”, e alle rassicurazioni dei ministri atlantisti targati Pd, in primis Vincenzo Amendola e Lorenzo Guerini. Senza contare che il possibile governo di centrodestra, che Matteo Salvini era convinto di formare su spinta trumpiana, era stato pregiudicato dal caso Savoini che aveva improvvisamente reso la Lega inutilizzabile dai Repubblicani.
Veniamo alla cronaca recente. Il rapporto di Conte con Trump (di cui avevamo parlato anche nell’ultimo Go East) ha creato qualche perplessità tra i Democratici di Biden. In particolare per due motivi: il famigerato doppio viaggio romano dell’ex procuratore generale William Barr, durante il quale incontrò i vertici dei servizi segreti italiani per indagare sul contro-dossier legato al Russiagate, e i tentennamenti dell’ormai ex premier nel citare Trump in riferimento all’assalto di Capitol Hill.
Ecco che allora l’arrivo di Draghi viene visto con favore dalla Casa Bianca. L’ex ambasciatore di Obama all’Ue tra 2014 e 2017 (e figlio di ex ambasciatore Usa in Italia) definisce Draghi “la scelta perfetta”, nota su Twitter Gabriele Carrer. E d’altronde il rapporto tra l’ex presidente di Bankitalia e della Bce era molto positivo con l’amministrazione Obama, nel frattempo diventata in buona parte amministrazione Biden. Non è un mistero che Draghi sia apprezzato (a dir poco) anche in Europa, in particolare in Germania. Il rapporto con Angela Merkel è sempre stato ottimo. Con lui a Palazzo Chigi l’Italia (almeno a livello di immagine) potrebbe uscirne più forte, considerando anche che la stessa cancelliera lascerà a breve la guida della Germania e che Emmanuel Macron tra un anno sarà in campagna elettorale.
E la Cina? Intanto è da segnalare che i media di Pechino si sono occupati di Super Mario in questi giorni. In particolare il China Daily, con una serie di articoli dove si definisce Draghi “il salvatore dell’Eurozona“. Draghi è la “persona di alto livello” designata per un nuovo governo da formare “il prima possibile per rispondere a vari compiti urgenti”, riporta il Global Times. Secondo la CGTN l’entrata in carica di Draghi “rafforza la posizione internazionale dell’Italia in un momento in cui ha la presidenza del G20“.
Di Maio riesce a ottenere la conferma alla Farnesina. Resta lui il ministro degli Esteri anche con Draghi presidente del consiglio. Nei giorni scorsi era sembrato un risultato quasi scontato per due motivi: la richiesta di continuità su alcuni ministeri chiave da parte di Sergio Mattarella (anche Difesa, Interni e Salute mantengono lo stesso inquilino) e la lottizzazione politica degli incarichi. Di Maio, da frontman politico del M5s nonché fautore della linea “morbida” su Draghi, non poteva non ottenere un riconoscimento. E lui aveva fatto sapere di voler restare al suo posto alla Farnesina, da dove dirige non solo le relazioni diplomatiche ma anche l’export, suo antico cavallo di battaglia.
Eppure, se ci proiettiamo a qualche anno o anche solo a qualche mese fa, sarebbe apparso impronosticabile un Di Maio ministro degli Esteri di un ipotetico governo Draghi. Lui, tra i deus ex machina dell’accordo sulla Belt and Road con Pechino. Lui, frequentatore di gilet gialli insieme ad Alessandro Di Battista. Lui, protagonista di dirette Facebook per accogliere il materiale sanitario in arrivo dalla Cina durante le prime fasi della pandemia. Ma quello è il passato. Al di là di alcune gaffe, per restare alla Cina la più celebre è ovviamente quella del “presidente Ping”, Di Maio ha dimostrato di essere un abile trasformista sia sul piano della politica interna sia sul piano diplomatico. Era stato descritto come un “equilibrista”, per esempio durante la visita dell’ex segretario di Stato Usa Mike Pompeo a Roma di fine settembre.
Non è un mistero che, all’arrivo al governo, il M5s volesse avvicinarsi alla Cina. I viaggi a Pechino e Shanghai di Di Maio, Conte e Di Stefano erano stati numerosi, prima e dopo la firma del memorandum of understanding del marzo 2019. Con il passaggio al Conte bis, Di Maio aveva comunque mantenuto un occhio di riguardo per Pechino, con Conte “costretto” invece a ripiegare sull’atlantismo anche per i rapporti con Donald Trump (e William Barr). Sappiamo il peso che ha, anche indiretto, la Casa Bianca nelle dinamiche politiche italiane. Ne abbiamo parlato diffusamente la settimana scorsa, tra fine del Conte I, l’illusione di Salvini e il caso Savoini, la nascita del Conte II e infine la caduta di “Giuseppi” dopo l’avvento di Joe Biden.
Di Maio è stato in grado di fiutare l’aria. Lasciando aperto il dialogo con Pechino, ha comunque operato una progressiva svolta atlantista ed europeista, a partire dal tema del 5G. E allo stesso tempo è stato abile a sganciarsi dal destino di Conte, appoggiandosi ai suggerimenti di Beppe Grillo e di Rousseau. Di Maio, insomma, è diventato un politico. Ed è riuscito a conservare il posto in un governo che accoglierà al suo interno anche un’anima anti cinese e trumpiana.
Tratti che la Lega ha già cominciato ad attenuare, visto che il nuovo obiettivo è fare l’ingresso nel Ppe post Merkel in Europa e rendersi potabile per un nuovo governo di centrodestra anche all’America democratica di Biden. Percorso di redenzione nel quale comunque la linea ostile alla Cina rimarrà, e che potrebbe per assurdo rendere più facile la vita a Di Maio, che nell’ipotetico rendere conto a Pechino potrà scaricare la responsabilità sui vecchi alleati di governo tornati attuali compagni di viaggio.
Persino insieme alla truppa di Silvio Berlusconi, anche lui molto duro con la Cina “comunista” da diverso tempo, nonostante Mediaset faccia affari con aziende cinesi, a partire da Huawei. Nelle concitate ore prima che Draghi salisse al Quirinale, complice anche il fatto che i partiti sono stati informati delle scelte solo all’ultimo, si era anche diffusa la voce di un possibile arrivo di Antonio Tajani alla Farnesina. Sarebbe stato un segnale davvero nefasto sui rapporti bilaterali con la Cina viste le sue numerose esternazioni anti Pechino degli scorsi mesi.
Di politica estera e governo Draghi abbiamo parlato anche in una diretta Instagram con Lia Quartapelle, deputata Pd in Commissione esteri. La si può rivedere qui.
Per rileggere nel dettaglio il febbraio 2021 delle relazioni Italia-Cina – parte I
Per rileggere nel dettaglio il febbraio 2021 delle relazioni Italia-Cina – parte II
Marzo – Atlantismo a Cinque Stelle
Relazioni politiche
Non solo Luigi Di Maio, alla fine resta alla Farnesina anche Manlio Di Stefano. Confermato anche lui nel ruolo di sottosegretario agli Esteri nonostante, solo poche settimane fa, aveva pubblicamente dichiarato di non voler votare a favore del governo Draghi. Con lui ci saranno anche la confermata Marina Sereni (Pd) e il nuovo ingresso Benedetto Della Vedova (+Europa), che prende il posto di Ivan Scalfarotto (Italia Viva). La delega agli Affari europei riservata direttamente dal premier all’ex ministro Vincenzo Amendola (Pd) e l’arrivo dell’ambasciatore Luigi Mattiolo nel ruolo di consigliere diplomatico di Palazzo Chigi fanno capire le intenzioni di Mario Draghi, peraltro già esplicitate durante i suoi interventi per la fiducia in Senato e alla Camera: la bussola è nettamente atlantista.
Nelle parole di Draghi si percepisce un cambio rispetto a quelle di Giuseppe Conte, che nel suo recente primo intervento per la fiducia in parlamento aveva quasi equiparato Usa e Cina proponendo l’Italia come ponte tra occidente e oriente. Draghi dice invece di seguire “con preoccupazione l’aumento delle tensioni in Asia intorno alla Cina”, dopo aver chiarito che il “governo sarà convintamente europeista e atlantista, in linea con gli ancoraggi storici dell’Italia: Ue, Alleanza Atlantica, Onu. Ancoraggi che abbiamo scelto fin dal dopoguerra in un percorso che ha portato benessere, sicurezza e prestigio internazionali”. La sensazione è che il governo Draghi possa allontanarsi da Pechino, quantomeno a livello retorico.
Secondo il Manifesto restano dei “non detti” nelle dichiarazioni di Draghi sulla politica estera, mentre Simone Pieranni sottolinea come sia impossibile non avere a che fare con la Cina. “Si tratta di un tema che bene o male dovrà affrontare anche il nuovo governo italiano di Mario Draghi: rimanere ancorati a un passato che non c’è più e che non ritornerà, o provare a fare qualche passo nel futuro”, scrive Pieranni. “Eventualità che non significa affidarsi mani e piedi ai cinesi, ma tutelare i propri interessi e non quelli di uno sceriffo senza più stella sul petto, da tempo”.
Le telecomunicazioni e, dunque, anche il tema del 5G, passeranno per il leghista Giancarlo Giorgetti, convinto atlantista. Fu lui, poco prima della firma del memorandum of understanding del governo Conte I sulla Belt and Road, a viaggiare a Washington per raccogliere le istanze e le perplessità degli statunitensi.
Relazioni commerciali
Via libera dal governo per Satispay, la popolare app italiana di pagamenti digitali, che aprirà a nuovi capitali esteri. Il Consiglio dei Ministri ha autorizzato, con alcune condizioni, l’ingresso della cinese Tencent e della statunitense Square, nata dal fondatore di Twitter, Jack Dorsey. Ognuno investirà 15 milioni di euro, e saranno affiancati da Tim Ventures, ovvero il gruppo Telecom Italia, e LGT Lightstone, con 20 milioni ciascuno.
Dopo la storica gaffe di due anni fa, Dolce & Gabbana punta sull’Asia al di là della Cina. “I mercati che danno prospettiva sono prima di tutto il mercato asiatico, non solo Cina, la Corea e il Giappone ma anche Sudest Asia Noi su questo stiamo lavorando molto”, dicono gli stilisti.
Per rileggere nel dettaglio il marzo 2021 delle relazioni Italia-Cina
Aprile – Le parole sono importanti
Relazioni politiche
A gennaio Europa e Cina sembravano avviate a una luna di miele, dopo la firma del CAI (l’accordo bilaterale sugli investimenti cercato per anni e alla fine di un tremendo 2020 finalmente trovato). Ora appare già vicino il divorzio. L’Unione europea ha comminato le prime sanzioni contro la Cina dai tempi di piazza Tiananmen, in riferimento alla repressione degli uiguri nello Xinjiang. La reazione di Pechino è stata tanto istantanea quanto potente: sanzionati cinque deputati europei, tre parlamentari nazionali, il Comitato politico e di sicurezza dell’Ue, la sottocommissione diritti umani del Parlamento europeo, i ricercatori Adrian Zenz e Björn Jerdén, il think tank Merics (sede a Berlino ma con alcuni ricercatori italiani in squadra) e la Alliance of Democracies Foundation.
La politica italiana si è ribellata (più o meno) in massa contro le sanzioni cinesi. Sono arrivate note e dichiarazioni in materia dalla Lega, da Filippo Sensi e Brando Benifei del Pd, dal presidente del Parlamento europeo David Sassoli e dall’europarlamentare del Movimento 5 Stelle e vicepresidente del Parlamento europeo Fabio Massimo Castaldo.
Enrico Letta è diventato il nuovo segretario del Partito Democratico. Il che assicura una certa attenzione e competenza per i temi della politica estera e in particolare per l’Asia, visto che Letta è anche presidente dell’Associazione Italia-ASEAN.
Il 23 marzo 2019 Luigi Di Maio firmava l’adesione italiana alla Belt and Road, alla presenza del presidente cinese Xi Jinping. Il 23 marzo 2021 lo stesso Luigi Di Maio convocava l’ambasciatore di Pechino in Italia, Li Junhua, per le contro sanzioni cinesi in risposta a quelle dell’Unione europea sul Xinjiang. In due anni è cambiato il mondo.
Ora, anche in Italia, si utilizza apertamente la parola “genocidio” per descrivere la repressione in corso in Xinjiang contro la minoranza uigura. Genocidio, ergo sistematica distruzione. Sterminio di massa. Le parole sono importanti, diceva qualcuno. Mantenendo fermo il punto sulla condanna del mancato rispetto dei diritti umani, siamo sicuri che utilizzare la parola “genocidio” sia la cosa più corretta da fare? Se lo è chiesto per esempio il The Economist, dando risposta negativa, qualche settimana fa. Da una parte c’è chi cela l’etichetta made in Xinjiang sui prodotti col cotone proveniente da quella regione autonoma (non Ovs, che ha bloccato le importazioni), dall’altra c’è chi ostenta l’etichetta del “genocidio”. Azione utile a migliorare la sorte degli uiguri? Oppure frutto di un consapevole calcolo politico? O ancora, inconsapevole adeguamento a fini altrui? Il dubbio esiste, e lo ha espresso benissimo anche Giulia Pompili nella sua ultima Katane: “Bisogna tracciare una linea tra le questioni pretestuose e di propaganda politica, che ci fanno somigliare alla Cina, come il ‘genocidio’ nel Xinjiang, e i reali problemi che la Cina pone. Se si confondono i due piani, allora la battaglia è persa”. Cosa possibile da fare, anche chiedendo conto (a tutti i livelli, anche durante gli incontri diplomatici e non solo a favore di telecamera o titolo a effetto) dei circa 1,5 milioni di uiguri internati nei campi di rieducazione (dato di Amnesty).
Eppure, sembra ormai di uso comune proprio quella parola terribile che rischia di essere normalizzata se non maneggiata con cura e utilizzata con cognizione di causa. E non è di uso comune solo negli Stati Uniti, prima con l’amministrazione Trump accortasi in zona Cesarini di una situazione ignorata a lungo e poi anche con l’amministrazione Biden, impegnata a rilanciare la presenza Usa a livello globale puntando sul lato morale (si potrebbe dire ideologico). Quel termine è ormai pienamente sdoganato anche in Italia. Lega e Fratelli d’Italia hanno presentato una risoluzione per chiedere che il parlamento italiano definisca ufficialmente “genocidio” quanto sta accadendo in Xinjiang. Azione che secondo Politico potrebbe creare crepe nel governo Draghi. Movimento Cinque Stelle e Partito Democratico non sono d’accordo, con sfumature diverse. Sul blog di Beppe Grillo è apparso un nuovo articolo piuttosto in linea con quanto pubblicato sui media cinesi sull’argomento. Il Pd denuncia invece la repressione dei diritti umani in atto ma prima di utilizzare quel termine vorrebbe vederci più chiaro.
Sui nostri media c’è chi ha tradotto tutto ciò con “il Pd sta con Grillo, non con Biden”. Su che cosa? Sul “genocidio” degli uiguri appunto. Termine che ritorna nuovamente in articoli successivi (per esempio in questo, in cui campeggia anche una foto che accomuna la Cina al regime nazista colpevole dell’Olocausto) in cui appunto si dà ormai per scontato l’utilizzo di questa definizione.
L’ex ministro degli esteri Giulio Terzi dà la colpa alla Farnesina per l’arresto di quattro uiguri “respinti dal consolato di Shanghai”. Laura Harth puntualizza che l’utilizzo del termine “genocidio” non è un pretesto. Anche di Xinjiang parla in questa intervista (rilanciata anche dai media cinesi) l’ex ambasciatore italiano a Pechino Alberto Bradanini.
Tra i residenti stranieri in Cina (o ex residenti) c’è chi si è speso per parlare a difesa dell’operato di Pechino nel Xinjiang in una (molto sponsorizzata dai media cinesi) dichiarazione pubblica. Tra loro anche degli italiani.
Il governo Draghi intanto ha piazzato alcuni colpi alla presenza cinese in Italia. Con un decreto del presidente del Consiglio dei ministri datato 25 marzo sono stati esercitati i poteri speciali su un contratto di fornitura 5G alla società Linkem da parte di Huawei e Zte. E’ stato poi utilizzato il golden power sull’acquisto del 70% di Lpe, una piccola fonderia italiana di semiconduttori con sede a Baranzate (provincia di Milano), da parte della cinese Shenzen Invenland Holdings.
Nelle scorse settimane l’ipotesi di una vendita di Iveco ai cinesi, da parte di Cnh industrial, si è rafforzata. Sull’onda di queste voci il titolo ha guadagnato il 4,3%. La stessa Cnh aveva confermato di aver riaperto le trattative con Faw Jiefang, parlando di “discussioni preliminari” in corso. Anche qui c’è aria di golden power.
Intanto, Giancarlo Giorgetti ha assegnato le deleghe al Mise. “Quelle alle telecomunicazioni se le prende Anna Ascani, del Pd, che ha una posizione a dir poco chiara sulla Cina (forse pure… come dire, troppo!)”, segnala Giulia Pompili.
Relazioni commerciali
Il 20 marzo un treno merci Cina-Europa ha lasciato Wuhan alla volta di Milano, segnando il lancio di una nuova rotta prolungata per il servizio. Secondo Wuhan Asia-Europe Logistics, il treno X8015 con un carico di prodotti elettronici, componenti di auto e forniture per la prevenzione dell’epidemia, passerà per il passo di Alataw in Cina e Duisburg in Germania, arrivando a Milano entro 21 o 22 giorni.
Huawei Italia ha inaugurato a Roma il suo Cyber Security Transparency Centre, il quarto del colosso informatico cinese dopo quelli già operativi a Banbury (Regno Unito), Bonn, Dubai, Toronto, Dongguan e Bruxelles. Doveva esserci il ministro Gelmini, ma al suo posto è andato il pentastellato Bugani, braccio destro di Raggi, scrive Gabriele Carrer.
Per rileggere nel dettaglio l’aprile 2021 delle relazioni Italia-Cina
Maggio – Seta stropicciata
Relazioni politiche
“La democrazia e il rispetto della persona sono valori che non si possono barattare con nulla”. Ma “con la Cina è giusto mantenere un canale di dialogo aperto sul clima e la sostenibilità ambientale”. D’altronde, “la Cina è oggi è il modello industriale che più impatta sull’ambiente vi è bisogno di coinvolgerla” nell’ambito della transizione ecologica. E occhio all’Artico. Con lo scioglimento dei ghiacci si sono aperti nuovi passaggi a nordovest, già sfruttati da Cina e Russia. “Primi passaggi di un nuovo canale commerciale e militare che preoccupa la Nato”, ha commentato il ministro degli Esteri italiano. Sì, sono tutte dichiarazioni delle ultime settimane di Luigi Di Maio. Quanto sono cambiate le cose nel giro di un anno.
Oltre che al G7, Di Maio è stato anche a Washington (qui l’agenda del viaggio). Tra le altre cose, ha detto che Italia e Stati Uniti “non sono mai stati così vicini”. Senza risparmiare pure una frecciatina a Trump-Pompeo, che aveva ricevuto a Roma lo scorso settembre. “Questa amministrazione Usa non è certo isolazionista, siamo perfettamente allineati su questioni fondamentali, come la difesa dei diritti umani o dell’ambiente””, ha detto Di Maio, il quale ha incontrato anche la rappresentante al commercio Katherine Tai.
In materia di golden power, Di Maio ha detto che “è importante trovare il giusto equilibrio, adoperando gli strumenti di screening per verificare le effettive finalità delle operazioni di acquisizione, valutandone i piani industriali e le prospettive di rilancio per le imprese italiane coinvolte”.
In anticipo sull’imposizione del golden power, è saltato l’accordo tra Cnh Industrial e la società cinese Faw Jiefang (protagonista nel 2020 di un maxi investimento nella Motor Valley emiliana) per la vendita di Iveco. La conferma è arrivata direttamente da Cnh Industrial: in una nota, il gruppo industriale controllato da Exor (holding della famiglia Agnelli) ha confermato di aver “terminato le discussioni con Faw Jiefang relative al business On-Highway dell’azienda e che continua a perseguire i piani esistenti in vista della separazione di queste attività nella prima parte del 2022”.
Gabriele Carrer racconta su Formiche la vicenda di un ufficiale italiano della Difesa che sarebbe stato avvicinato su LinkedIn da un ricercatore cinese che avrebbe cercato di “arruolarlo” in cambio di informazioni.
Relazioni commerciali
Le case automobilistiche di lusso italiane Lamborghini e Maserati mostrano ottimismo verso il mercato cinese, facendo debuttare diversi modelli in pubblico in occasione del Salone dell’Auto di Shanghai 2021.
L’Inter di Antonio Conte e di Suning ha vinto il campionato italiano. Primo trionfo nerazzurro dopo 11 anni, arrivato dopo cinque anni dall’inizio della gestione Zhang. Qui una lettera del patron Zhang Jindong. Il figlio Steven, però, è tornato a Milano e deve operare un taglio ai costi.
Relazioni culturali
Dopo il caso Giunti editore (con una lettera indirizzata dalla chat Dialogo alla casa editrice definita “diversamente sensibile”), stavolta tocca alla polemica su Striscia la Notizia. Michelle Hunziker e Gerry Scotti (che si sono poi in parte scusati) hanno scimmiottato la pronuncia cinese usando la “l” al posto della “r” e mimando gli occhi a mandorla. Tanti si sono sentiti (legittimamente) offesi per la presa in giro di una minoranza, ma altrettanti hanno difeso i due conduttori. Non solo Libero Quotidiano, come prevedibile, ma anche giornalisti di quotidiani mainstream come Corriere della Sera e Repubblica. E non sempre in modo particolarmente elegante.
D’altronde, il dibattito italiano sulla Cina appare sempre più polarizzato. E ogni occasione è buona per qualche uscita a effetto. Per esempio la vicenda del razzo cinese, di cui si è parlato molto (ahinoi) negli scorsi giorni e di cui i detriti sono infine caduti nell’oceano Indiano (non proprio a pochi passi da Roma). Roberto Burioni ne aveva approfittato per parlare della provenienza cinese del virus e del “vaccino ciofeca” prodotto in Cina. Poi ha rimosso il suo tweet.
E’ tornata a occuparsi di Cina anche Milena Gabanelli, dopo le critiche sulle sue precedenti pubblicazioni in merito. L’ambasciata cinese in Italia non ha reagito bene. Su HuffPost si fa riferimento alla vicenda del debito del Montenegro per avvertire l’Italia che la Cina “può comprarsi pezzi di stati d’Europa”.
Il problema, però, è anche che non è mai stato così difficile fare il corrispondente dalla Cina. Lo racconta bene Giulia Pompili. Intanto, dopo lunghi mesi di latitanza, è tornata a Pechino Giovanna Botteri, la corrispondente dalla Cina della Rai. Capitanio della Lega si intesta la riapertura della sede cinese della tv pubblica.
Per rileggere nel dettaglio il maggio 2021 delle relazioni Italia-Cina
Giugno/settembre – Draghi, Xi e il telefono senza fili
Relazioni politiche
Beppe Grillo si reca all’ambasciata cinese. Doveva andarci con Conte, neo leader in pectore del M5s, ma alla fine ci va da solo. E lo fa lo stesso giorno in cui si svolge il G7 di Cornovaglia, in cui Draghi ricostruisce il rapporto con gli Stati Uniti del neo presidente Biden e utilizza toni molto duri nei confronti della Cina (ne ho scritto qui e sono poi intervenuto sull’argomento durante una puntata di Asiatica, il programma di Radio Radicale condotto da Valeria Manieri e Francesco Radicioni).
Tra le altre cose, Draghi parla di unione sul “risentimento verso la Cina e le autocrazie”. Non solo. A proposito dei rapporti dell’Italia con Pechino, ai giornalisti che chiedono che fine farà il memorandum sulla Nuova Via della Seta firmato dall’Italia con la Cina, l’intesa andrà verificata, precisa il presidente del Consiglio. Il memorandum “non è stato mai menzionato” durante il G7. “Per quanto riguarda l’atto specifico, lo esamineremo con attenzione”.
Anche post G7, sul blog di Beppe Grillo appaiono interventi molto critici nei confronti della linea euroatlantica. Tipo questo. Il ministro Di Maio, che da tempo ha però assunto una linea più cauta ed euroatlantica, ci ha tenuto a chiarire che quelle espresse dal blog di Grillo sono “posizioni personali” e non riflettono la linea del M5s nella sua totalità. Forse non a caso, nella trattativa Grillo-Conte, il primo voleva il controllo della politica estera del M5s.
Ma Vito Petrocelli, presidente della Commissione Esteri del Senato, propone che l’Italia possa assurgere al ruolo di punto di riferimento nel dialogo con Cina, Russia e Iran.
Ancora Di Maio, in occasione di una conferenza stampa congiunta con il segretario di Stato Usa Antony Blinken, ha minimizzato i rapporti con la Cina: “L’Italia è un forte partner commerciale della Cina, con la quale abbiamo relazioni storiche, ma questo legame non è paragonabile né interferisce con l’alleanza di valori che abbiamo con gli Stati Uniti”.
Da una parte della cornetta si pronunciava la parola “Afghanistan”. Ma dall’altra si rispondeva con “Belt and Road”. La telefonata tra Mario Draghi e Xi Jinping c’è stata. Ma prima ancora del contenuto del loro colloquio, parso dai resoconti almeno a tratti “senza fili”, conta quello che c’è stato prima. Vale a dire circa tre settimane di attesa, durante le quali Palazzo Chigi ha spinto per avere un colloquio con il presidente cinese, che da par suo ha costretto a una piuttosto lunga anticamera il capo del governo italiano. Per avere l’opportunità di dialogare, il governo Draghi si è mosso su più fronti.
Su quello diplomatico, il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha avuto un colloquio con l’omologo Wang Yi. Sembrava che il passaggio al livello superiore potesse essere a quel punto pressoché subitaneo, e invece c’è stata prima anche l’inattesa visita di Matteo Salvini presso l’ambasciata cinese a Roma. Con tanto di classica foto con l’ambasciatore Li Junhua. Sì, proprio lui, quello che negli ultimi due anni aveva assunto una posizione anti cinese in tutto e per tutto, come e più di quella di Donald Trump. Secondo quanto ha riferito la Lega, si è trattato “dell’ennesimo colloquio” organizzato da Salvini per discutere della crisi in Afghanistan. “Si è discusso inoltre della collaborazione tra Roma e Pechino, della partecipazione della Cina al G20 e della telefonata tra il presidente del Consiglio Italiano e il presidente cinese”, concludeva la nota.
Come ha sottolineato Simone Pieranni, è proprio nelle diverse ricostruzioni della telefonata che si rintracciano le differenti priorità tra Italia e Cina. “Alla fine della telefonata tra Draghi e Xi Jinping rimane ben poco. Quello che interessava di più al premier italiano, tirare dentro la Cina per un G20 con vista sull’Afghanistan, non pare avere raccolto entusiasmi, quanto meno pubblici, a Pechino”, scrive Pieranni. “Parliamo di affari, sembra aver detto Xi, sottintendendo che per la questione afghana, di cui in Cina si stanno valutando tutte le possibilità, tanto più alla luce del nuovo governo presentato dai talebani, Pechino ha altri interlocutori e non stanno a Roma”.
Quanta differenza tra le due ricostruzioni (italiana e cinese) della telefonata. E non si riconduce tutto solo ai diversi metodi di comunicazione, una prassi in queste occasioni per la risposta a diverse esigenze di messaggio verso l’interno e verso l’esterno. La sensazione è che, come già accaduto più o meno inconsapevolmente (per i nostri governi) in passato, la Cina utilizzi l’Italia per ribadire il proprio ruolo all’interno dell’architettura globale. Nella quale occupa una posizione da protagonista, come si deduce dall’ultima frase in cui Draghi avrebbe detto di apprezzare “molto il ruolo importante della Cina nella questione dell’Afghanistan”. La questione afghana sembra dunque relegata al riconoscimento da parte italiana dell’ineluttabilità di confrontarsi con Pechino sulla vicenda di Kabul, senza però dare esplicito spazio a un’effettiva cooperazione bilaterale sulla gestione della crisi.
La prima parte della ricostruzione, dedicata alle parole di Xi, hanno talvolta il tono di un’esortazione. Il presidente cinese “ha detto che la Cina e l’Italia dovrebbero assicurare congiuntamente il successo dell’Anno della Cultura e del Turismo Cina-Italia”. O ancora ha auspicato che “le due parti dovrebbero promuovere la cooperazione in vari campi”. Anno del Cultura e del Turismo 2022 (nonostante i confini restino ancora chiusi e tantissimi italiani attendono la possibilità di tornare in Cina dove studiavano o lavoravano), Olimpiadi Invernali di Pechino (e di Cortina 2026), partenariato strategico globale, Belt and Road: questi sono i temi che il governo cinese tiene ad affrontare.
L’Italia, d’altronde, viene spesso utilizzata dai media cinesi per sottolineare che anche in occidente può esistere una predisposizione positiva verso l’operato e i progetti della Repubblica Popolare. Succede dall’adesione del governo Conte I alla Nuova Via della Seta. Una firma apposta da Di Maio, sì, ma che nonostante i successivi dinieghi e tentativi di ridimensionamento era voluta anche da una buona parte della Lega (chi segue Go East da tempo già lo sa). Episodio significativo, in tal senso, quello avvenuto lo scorso giugno in occasione del G7 di Cornovaglia, che aveva assunto forti toni anticinesi. In quei giorni era diventata virale una vignetta sul G7 che rappresentava i diversi invitati (compresi gli esterni come l’India e Taiwan) come degli animali. L’Italia era raffigurata come un lupo grigio, seduto di fianco all’aquila americana, che protende le mani con un senso a metà tra spavento e diniego, venendo dunque percepita come riluttante a seguire la crociata anti cinese lanciata dagli Stati Uniti di Joe Biden. D’altronde, ricordava appunto il tabloid di Stato Global Times, l’Italia è l’unico paese del G7 a essere entrato nella Belt and Road Initiative. Ne avevo scritto qui.
Giorgia Meloni continua a chiedere al governo di rimettere in discussione l’adesione alla Belt and Road.
Dopo le rivelazioni dei mesi precedenti, anche le testate internazionali si occupano della vicenda dei droni italiani venduti a entità cinesi.
Relazioni commerciali
Secondo il “Rapporto annuale 2021 sulla Cina”, pubblicato recentemente dal Centro Studi per l’Impresa (CeSIF) della Fondazione Italia Cina, nel 2020 e nei primi mesi del 2021 le esportazioni italiane in Cina e gli investimenti delle aziende italiane in Cina sono entrambi aumentati. L’interscambio ha raggiunto i 55,1 miliardi di dollari l’anno, compresi 22,2 miliardi di dollari di esportazioni italiane in Cina e una riduzione del deficit commerciale pari a 10,7 miliardi di dollari dagli 11,9 miliardi del 2019.
Dal punto di vista commerciale, i rapporti con la Cina sono in ogni caso insopprimibili. Le esportazioni italiane verso Pechino sono in aumento, in particolare nell’ambito della moda. Secondo i dati forniti a Pambianconews da Ice Pechino, e relativi al primo semestre dell’anno (gennaio-giugno 2021), la Cina ha aumentato del 46% le importazioni di articoli di tessile-moda dal mondo, con il made in Italy che ha raggiunto il primo posto sorpassando i prodotti francesi, arrivando a quota 6 miliardi di dollari e conquistando una quota di mercato del 12 per cento.
Si allunga l’elenco dei marchi del lusso italiano che cambia proprietà. Il gruppo cinese Fosuon Fashion Group, già proprietario di Lanvin e Wolford, ha acquistato il 100% di Sergio Rossi, storico marchio di calzature tricolore fondata nel 1951.
Relazioni culturali
Tra marzo e giugno, China Files ha tenuto un corso PCTO di 40 ore con gli studenti della classe 3° del corso scientifico internazionale del Convitto Cicognini di Prato, orientato all’introduzione alla professione giornalistica e al racconto della Cina. Durante il percorso di PCTO avviato con la nostra redazione, è stata realizzata un’indagine sulla sinofobia che è stata per altro l’argomento del mini e-book pubblicato da China Files ad agosto.
Polemica su un servizio sull’insegnamento del pensiero di Xi Jinping nelle scuole cinesi, a firma della corrispondente Rai da Pechino, Giovanna Botteri. Michele Anzaldi parla di “incredibile servizio agiografico”, il direttore del Tg2 Gennaro Sangiuliano, non certo filo cinese, lo difende.
Il 23 settembre esce “La Cina nuova” di Simone Pieranni. Qui una recensione. Tra gli altri libri dedicati alla Cina usciti negli scorsi mesi, si segnala anche “Finanza e potere lungo le Nuove Vie della Seta” di Alessia Amighini e “Attraverso lo specchio” di Silvia Calamandrei.
Per rileggere nel dettaglio il giugno/settembre 2021 delle relazioni Italia-Cina
Ottobre/novembre – Videoconferenze romane
Relazioni politiche
Ci eravamo lasciati a settembre con la telefonata fra Mario Draghi e Xi Jinping. Come previsto, non è bastata quella chiamata per convincere il presidente cinese a presentarsi a Roma per il G20. Il premier italiano si è affrettato a garantire che l’assenza di Xi, così come quella di Vladimir Putin, non era motivata da ragioni politiche. D’altronde Xi non esce dalla Cina da quasi due anni. Qui ho provato a raccontare come mai il presidente cinese non ha partecipato di persona a G20 e Cop26. Al suo posto si è invece presentato il ministro degli Esteri Wang Yi, che ha incontrato l’omologo Luigi Di Maio alla vigilia del summit. Di Maio ha parlato dell’importanza di ripristinare i voli diretti tra Italia e Cina (che il governo Conte bis aveva interrotto per primo dopo i primissimi casi di Covid in Italia) e ha sottolineato i dati positivi sull’interscambio commerciale. Con riferimento alle relazioni Ue-Cina, Di Maio ha ribadito il sostegno italiano alla ripresa nel dialogo di alto livello tra Bruxelles e Pechino, auspicando che esso includa anche un ritorno cinese al dialogo sui diritti umani. La necessità del dialogo con la Cina è stata ribadita anche in riferimento alla Cop26.
Durante gli ultimi mesi, comunque, Di Maio ha proseguito sulla linea atlantista intrapresa da ormai oltre un anno. Il 26 settembre ha dichiarato che l‘Italia “deve migliorare l’interscambio commerciale verso la Cina, ma non può abdicare sul campo dei valori” e subordinare al commercio il tema delle violazioni dei diritti umani. Pochi giorni prima, intervistato da Repubblica, aveva dichiarato in merito ai rapporti con Pechino: “Vale sempre il concetto del ‘selective engagement”: su temi come la lotta al terrorismo, cambiamenti climatici e sulle crisi regionali dovremo portare avanti una linea di collaborazione profonda. Tuttavia per l’Italia non esiste una alleanza alternativa a quella con gli Stati Uniti”.
D’altronde, il G20 di Roma è stato un’ulteriore occasione di riassestamento e riaffermazione del posizionamento euroatlantico dell’Italia, puntellato durante il governo Draghi. Anche se, secondo il Corriere della Sera, Draghi avrebbe “convinto Russia e Cina” al compromesso sul clima. Anche il premier italiano ha incontrato il ministro Wang Yi. Secondo la versione cinese, Wang avrebbe specificato che la Cina è pronta a importare un maggior numero di prodotti di alta qualità dall’Italia e si augura che quest’ultima fornisca un ambiente commerciale aperto, equo e non discriminatorio per le aziende del suo Stato, svolgendo un ruolo positivo per uno sviluppo sano dei legami Cina-Ue”. La versione di Palazzo Chigi pone invece l’accento su altri aspetti, in un comunicato come sempre più scarno rispetto a quello di Pechino: “Il colloquio si è concentrato sulle prospettive della collaborazione bilaterale, sui rapporti tra UE e Cina, sull’opportunità di riavviare il dialogo in materia di diritti umani. Sono state affrontate anche le principali questioni multilaterali e regionali, in particolare la stabilità e la sicurezza nell’area dell’Indo-Pacifico e la crisi in Afghanistan”, si legge nella nota.
Giulia Pompili racconta su Il Foglio che la stampa cinese non ha apprezzato la mancata possibilità per i giornalisti asiatici di porre domande a Draghi durante la conferenza stampa finale. Sempre Pompili ha partecipato all’evento organizzato dall’Alleanza Interparlamentare sulla Cina alla vigilia del G20, intervistando il parlamentare inglese Duncan Smith. A tal proposito, per giorni si è diffusa con insistenza la voce che Wu sarebbe arrivato a Roma per l’incontro organizzato dall’Alleanza Interparlamentare sulla Cina. L’ipotesi è stata sostenuta da Politico e a seguire anche da altri media, taiwanesi compresi. Gli stessi che fino a qualche giorno prima avevano sempre chiarito che Wu si sarebbe collegato solo in videoconferenza con l’evento organizzato nella capitale italiana alla vigilia del G20. Sentite più fonti, l’opzione in realtà non sarebbe mai esistita, tanto che il ministero non avrebbe fatto nessuna comunicazione o richiesta in tal senso, come solitamente fa per prassi in casi simili. Anche Finbarr Bermingham del South China Morning Post si era mostrato sorpreso della possibilità che Wu arrivasse fisicamente a Roma, anche perché tra le altre cose nello stesso giorno era presente nella stessa città il ministro degli Esteri cinese Wang Yi. E alla fine, in effetti, Wu ha parlato in videoconferenza (qui il video dell’evento).
A proposito di Taiwan, oltre all’Europa (come raccontato già su Taiwan Files), sembra maggiormente coinvolta anche l’Italia. Durante l’incontro con Wang, Di Maio ha menzionato in maniera piuttosto inedita Taiwan. Nella nota post incontro rilasciata dalla Farnesina, si legge che Di Maio ha espresso a Wang le preoccupazioni italiane per le tensioni nello Stretto di Taiwan, auspicando che “possano prevalere dialogo e distensione”. Tema, quello dei rapporti con Taipei, su cui Xi Jinping è intervenuto anche durante il suo discorso virtuale al G20.
Qualche settimana fa, peraltro, il sottosegretario all’Agricoltura Gian Marco Centinaio ha annunciato in un’intervista a Il Foglio la sua intenzione di ritornare a Taiwan, dove era già stato in una missione 100% leghista nel novembre 2019, che era avvenuta a distanza di pochi mesi dalla firma del memorandum of understanding sulla Belt and Road da parte del governo gialloverde (con Centinaio che aveva accolto Xi a Fiumicino nelle vesti di ministro dell’Agricoltura).
Centinaio è stato però anticipato da Marco Dreosto, europarlamentare della Lega che fa parte delle delegazione del parlamento europeo che si trova a Taipei proprio in questi giorni (ne ho scritto qui). Dreosto è stato intervistato prima da Gabriele Carrer (qui) e poi anche da me (qui). Un’altra europarlamentare della Lega è stata ancora più decisa, entrando in considerazioni diplomatiche e geopolitiche. Si tratta di Anna Cinzia Bonfrisco, che ha chiesto il riconoscimento della Repubblica di Cina-Taiwan da parte dell’Ue.
Relazioni commerciali
Le esportazioni italiane in Cina sono destinate a crescere per il terzo anno consecutivo, scrive Ansa/Xinhua, con i prodotti made in Italy che giocano un ruolo crescente nella partnership commerciale. Il 27 settembre si è tenuta invece la prima tavola rotonda tra la municipalità di Shanghai e le imprese italiane.
Per sostenere ulteriormente l’export italiano, Di Maio ha annunciato l’apertura di un nuovo Ufficio Ice a Chengdu ed ha avviato con il Ministro del Commercio della Repubblica Popolare Cinese, Wang Wentao la costituzione di gruppi di lavoro ad hoc per i prodotti agroalimentari e per la promozione dell’e-commerce. Il tutto durante la XIV sessione della Commissione Economica Mista Italia-Cina. Evento durante il quale Di Maio ha espresso soddisfazione per l’andamento positivo dell’interscambio bilaterale e delle esportazioni italiane verso la Cina, cresciuti nel primo semestre di quest’anno rispettivamente del 20,3 per cento e del 48,3 per cento su base annua (+2,6 miliardi di euro da gennaio a giugno 2021 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente).
Per quanto riguarda le importazioni, invece, Irpimedia ha raccontato che decine di migliaia di tonnellate di pomodori arrivano in Italia dallo Xinjiang.
Interessante l’iniziativa lanciata da Luca Zorloni su Wired Italia, che mappa le startup europee finanziate dalla Cina. Sono almeno 36 le società innovative che hanno ricevuto fondi dal Dragone. L’investitore più attivo è il colosso tech Tencent, fintech e gaming i settori più finanziati. “Nel 2021 il campione cinese del digitale ha premuto il piede sull’acceleratore: quindici investimenti da gennaio ad agosto”, si legge.
«Per noi l’Italia è uno dei mercati più strategici. È anche per questo che nel 2021 inizieremo a commercializzare i nostri smartphone e device». Kun Hu, presidente di Zte Western Europe e ceo di Zte Italia, parla al Sole 24 Ore dell’avvio nel Paese di questo nuovo segmento di attività. E in vari passaggi fa capire che alla base c’è la fiducia nel fatto che l’Italia non cederà al pressing degli Usa contro i vendor cinesi impegnati sulle reti 5G, annunciando investimenti per un miliardo.
Suning non molla l’Inter, almeno per ora.
L’ambasciatore Ferrari sottolinea l’aumento dell’interscambio tra Italia e Cina, nonostante la crisi. Aspetto sottolineato anche dalla sezione “Cinitalia” de Il Giornale.
A proposito di rapporti tra la Cina e i media italiani, qui un interessante report IAI a cura di Francesca Ghiretti e Lorenzo Mariani.
Relazioni culturali
Il ministro della Cultura, Dario Franceschini, ha incontrato nelle scorse settimane in videoconferenza con il ministro della Cultura e del Turismo cinese, Hu Heping. Al centro del colloquio la collaborazione culturale tra Italia e Cina nel post pandemia. Sul piano dei rapporti bilaterali avanza l’organizzazione del 2022 Anno della Cultura e del Turismo Italia – Cina che deve adattarsi alle limitazioni ancora in vigore per contrastare il Covid-19. Il 2022 Anno della cultura e del turismo Italia-Cina includerà l’allestimento della mostra sulle origini della nazione italiana Tota Italia, iniziative di gemellaggio tra i siti Patrimonio dell’Umanità Unesco di Italia e Cina e, quale evento inaugurale, due grandi concerti che verranno eseguiti in contemporanea e in collegamento audio-video nei due paesi. Ad arricchire il programma di iniziative congiunte anche la mostra Spazio Parallelo, dedicata al celebre esercito di terracotta dello Xi’an. Al digitale sarà dedicato un tavolo di lavoro che mira a definire le opportunità per la condivisione e l’accesso a contenuti da entrambe le parti.
Sinosfere ha continuato per tutto l’anno la pubblicazioni di interessanti contributi. Qui si possono trovare i più recenti.
Per rileggere nel dettaglio l’ottobre/dicembre 2021 delle relazioni Italia-Cina
Di Lorenzo Lamperti
Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.