I titoli di oggi:
- Mentre Xi incontra Carrie Lam, Hong Kong smantella il “pilastro della vergogna”
- Intel chiede scusa per aver escluso il Xinjiang dalla supply chain
- Il divorzio del cantante Wang Leehom accende il dibattito sui diritti delle mogli
- Tencent e Alibaba fuori dalla top 10 mondiale per valore di mercato
- Gli espropri dietro le Olimpiadi invernali di Pechino
- Cina: la stretta sul mattone fa volare le vendite di orologi
Per Xi Jinping, la chief executive di Hong Kong ha riportato l’ex colonia britannica “dal caos all’ordine”. Nella giornata di ieri, il presidentissimo ha elogiato l’operato di Carrie Lam, giunta a Pechino lunedì per aggiornare la leadership sulle legislative “patriottiche” che domenica hanno visto trionfare a mani basse i candidati pro-establishment. La situazione sta “cambiando continuamente in meglio”, ha dichiarato Xi aggiungendo che il voto si è “tenuto con successo” grazie alle modifiche apportate dalle autorità centrali al sistema elettorale di Hong Kong. Ovvero con l’estromissione dell’opposizione democratica. Per il leader cinese, l’amministrazione Lam ha adottato “passi fermi per portare avanti lo sviluppo democratico di Hong Kong in conformità con la situazione attuale”. La chiave del successo sta nella “risoluta attuazione” della legge sulla sicurezza nazionale, che “fermando il caos e il disordine in modo legale, ha ripristinato ciò che è giusto e protetto l’autorità e la dignità dello stato di diritto”. Nonostante l’affluenza ai minimi storici – appena il 30% degli aventi diritto al voto – le elezioni sono state presentate come una pietra miliare della democrazia hongkonghese, nonché un primo passo verso il “suffragio universale” come ribadito in un recente libro bianco seppur senza specifiche riguardo tempi e modalità. L’importanza simbolica degli ultimi sviluppi emerge da un altro elemento: quello con Lam è il primo incontro in presenza di Xi con un alto funzionario proveniente da fuori della Cina continentale. Un riconoscimento importante che però potrebbe non bastare ad assicurare alla leader un altro mandato quinquennale. Intanto sempre ieri la University of Hong Kong ha approfittato delle tenebre e delle vacanze natalizie per smantellare il “pilastro della vergogna”. La scultura, realizzata dall’artista danese Jens Galschiøt, era uno degli ultimi monumenti commemorativi del massacro di Tiananmen ancora esposto al pubblico nella regione amministrativa speciale. L’area è stata transennata nella tarda serata per proteggere da occhi indiscreti le operazioni di rimozione. Galschiøt si è detto scioccato. In tutta risposta, l’ateneo ha chiarito di aver preso la decisione su consiglio di esperti legali, aggiungendo che la scultura era stata collocata all’interno del campus senza alcuna approvazione.
Intel chiede scusa per aver escluso il Xinjiang dalle forniture
Anche Intel ha chiesto scusa. La multinazionale americana ha fatto mea culpa dopo essere stata bersagliata dalle critiche dei netizen cinesi per aver postato una lettera indirizzata ai fornitori in cui spiegava come fosse necessario garantire che la catena di approvvigionamento non utilizzasse manodopera, beni o servizi dalla regione dello Xinjiang”. Il messaggio giustificava la richiesta citando le restrizioni imposte da “più governi”, chiara allusione alle misure introdotte recentemente dagli States. Apriti cielo. La reazione indignata del web cinese non si è fatta attendere, mentre il ministero degli Esteri cinese ha definito le accuse di lavoro forzato nella regione uigura una menzogna. Coem accaduto in casi analoghi si presto passati dagli ammonimenti alle ritorsioni: stamattina il brand ambassador Wang Junkai ha annunciato la sospensione della collaborazione con l’azienda. Immediato il dietrofront di Intel che in una dichiarazione sul suo account WeChat ufficiale, ha affermato di essersi semplicemente adeguata alle leggi americane. Letteralmente: “Ci scusiamo per i problemi causati ai nostri rispettati clienti, partner e pubblico cinesi.” Sono sempre di più le società straniere a fare inversione a U pur di non perdere il mercato cinese. Nel 2018 erano state Zara, Marriott e Delta Air Lines a domandare perdono dopo aver rubricato Hong Kong e Taiwan come Paesi.
Il divorzio del cantante Wang Leehom accende il dibattito sui diritti delle mogli
Da giorni sul web cinese non si parla d’altro: il divorzio del popolare cantante taiwanese Wang Leehom dopo che l’ex moglie lo ha accusato di aver trascurato i figli e mantenuto relazioni extraconiugali oltre ad avere un debole per il sesso mercenario. Non è solo un pettegolezzo da parrucchiere. In Cina il caso ha innescato un acceso dibattito sui diritti delle donne all’interno del matrimonio. Molti ritengono che le mogli si trovino in una posizione svantaggiata: devono sostenere i costi della gravidanza, dedicano buona parte del loro tempo alla famiglia e, in caso di divorzio, non vedono adeguatamente riconosciuto il proprio diritto alla proprietà coniugale. Il primo codice civile della Cina comunista disciplina alcune di queste questioni, ma molto resta ancora da fare. Gli esperti ritengono sia imperativo soprattutto fare chiarezza sulle modalità di compensazione per il lavoro svolto tra le mura di casa.
Tencent e Alibaba fuori dalla top 10 mondiale per valore di mercato
Tencent e Alibaba non sono più tra le prime 10 società per capitalizzazione di mercato. Secondo il database QUICK-FactSet, le due aziende che alla fine del 2020 si classificavano settima e nona a livello mondiale, hanno perso notevolmente terreno. Il nuovo ranking è dominato dai giganti tecnologici statunitensi: Apple, Microsoft e Alphabet, occupano i primi tre posti, Saudi Aramco è quarta, seguita da Amazon.com, Tesla e Meta. Nvidia, il gigante dei chip, si classifica all’ottavo posto, mentre Berkshire Hathaway, l’holding di Warren Buffet, è in nona posizione. Bisogna scendere al decimo posto per trovare un nome asiatico: il colosso taiwanese dei semiconduttori Taiwan Semiconductor Manufacturing Co. La deludente performance cinese va attribuita in parte alla scomposta regolamentazione del settore tecnologico cinese, in parte alle tensioni con gli Stati Uniti e all’avvio di un delicato processo di delisting che vedrà l’Uber cinese, Didi Chuxing, lasciare New York per Hong Kong. Il clima di incertezza ha contribuito a far crollare il valore di mercato di Tencent del 40% dall’inizio dell’anno.
Gli espropri dietro le Olimpiadi invernali di Pechino
Le Olimpiadi invernali di Pechino saranno le prime interamente alimentate con energia eolica e solare. Lo aveva promessi Pechino. Per mantenere la parola data, decine di nuove strutture sono state costruite nel nord della Cina al fine di aumentare la capacità della rete elettrica locale in vista dei Giochi. Ma, secondo quanto raccontato ad AFP da alcuni residenti dei villaggi vicini, la realizzazione dei progetti verdi ha comportato l’esproprio di terreni agricoli con l’uso della forza e senza adeguata compensazione. “Ci hanno promesso solo 1.000 yuan per mu di terra ogni anno quando la compagnia elettrica ha affittato la terra per 25 anni”, spiega un contadino di Huangjiao, aggiungendo che coltivando mais nell’appezzamento ceduto “possiamo guadagnare più del doppio”. Secondo le testimonianze raccolte, gli abitanti del villaggio sono stati costretti a firmare contratti di affitto della propria terra allo State Power Investment Group (SPIC), una delle cinque più grandi società di servizi pubblici del paese, incaricato di realizzare un gigantesco parco solare. Dopo aver inscenato una protesta, uno dei residenti è stato incarcerato per 40 giorni, mentre il contadino consultato da AFP è stato incarcerato per nove mesi con l’accusa di “raduno illegale e disturbo della quiete”. Secondo gli impegni presi da Pechino alla COP26, la Cina dovrà incrementare l’utilizzo delle fonti pulite al 25% del totale entro il 2030. Il governo di Zhangjiakou, la città che ospita i Giochi, ha affermato che da quando nel 2015 è stata scelta per ospitare l’evento, l’area si è “trasformata da zero (nella) più grande base di energia rinnovabile non idroelettrica di tutta la Cina”.
Cina: la stretta sul mattone fa volare le vendite di orologi
Dal mattone agli orologi. La stretta di Pechino sulla proprietà immobiliare sta dirottando i risparmi della classe media cinese in Rolex e Patek Philippe.
Nonostante il rallentamento economico, secondo gli esperti, nei primi dieci mesi dell’anno è assistito a un aumento del 40% delle importazioni cinesi di orologi svizzeri come bene rifugio. Stando a un sondaggio condotto a ottobre dalla società di consulenza con sede a Hong Kong CSG Intage, su 1.500 adulti cinesi con reddito familiare annuo di oltre 500.000 Rmb (78.370 dollari), l’88% ha dichiarato di voler mantenere stabile o aumentare la spesa per gli orologi di lusso (costo medio Rmb76.700), nei successivi 12 mesi. Tra i fattori ad aver inciso sulla nuova tendenza va considerato l’aumento vertiginoso e costante dei prezzi che – quintuplicati rispetto a pochi anni fa – rende gli orologi una lucrosa fonte di investimento. A trainante il boom concorre la loro portabilità dei gadget da polso, che permette ai cinesi facoltosi di trasferire beni all’estero, senza dare troppo nell’occhio. Un rivenditore di Shanghai racconta al FT che alcuni dei suoi clienti hanno speso decine di migliaia di dollari per un orologio in modo da poter eludere i rigidi controlli sui capitali che impongono un limite annuale di $ 50.000 per le rimesse all’estero delle persone.
A cura di Alessandra Colarizi
Classe ’84, romana doc. Direttrice editoriale di China Files. Nel 2010 si laurea con lode in lingua e cultura cinese presso la facoltà di Studi Orientali (La Sapienza). Appena terminati gli studi tra Roma e Pechino, comincia a muovere i primi passi nel giornalismo presso le redazioni di Agi e Xinhua. Oggi scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra le quali Il Fatto Quotidiano, Milano Finanza e il Messaggero. Ha realizzato diversi reportage dall’Asia Centrale, dove ha effettuato ricerche sul progetto Belt and Road Initiative. È autrice di Africa rossa: il modello cinese e il continente del futuro.