Incontro virtuale durato oltre tre ore. Pechino insiste sugli affari, Washington su Taiwan e diritti. Accordo su relazione «cordiale»
Tre ore e un quarto di faccia a faccia virtuale tra Biden e Xi Jinping (il primo con la cravatta rossa, il secondo con quella blu in un simbolismo letto come rispetto reciproco): il tono cordiale del dialogo riporta alla normalità il confronto tra Cina e Usa, dopo le parole grosse volate nei precedenti incontri svoltisi alla presenza dei delegati dei due paesi.
XI JINPING ha chiamato Biden «vecchio amico» – i media cinesi hanno sottolineato durante la settimana l’incontro tra i due avvenuto nel 2011 in Cina – e, secondo quanto riportato dal comunicato cinese post summit, ha soprattutto sottolineato la necessità di un dialogo aperto e in grado di portare a cooperazioni, specie economiche. «Nei prossimi 50 anni – ha detto Xi Jinping – la cosa più importante nelle relazioni internazionali sarà che Cina e Stati uniti trovino il modo giusto per andare d’accordo».
Gli ha fatto eco Biden, secondo il quale «le nostre responsabilità come leader di Cina e Stati uniti è quella di garantire che la concorrenza tra i nostri paesi non si trasformi in un conflitto, intenzionale o meno».
La prima sessione del loro incontro è durata due ore, mezz’ora in più di quanto previsto. Questo summit aveva come scopo primario quello di ristabilire le relazioni, senza risse, tra i due leader dei rispettivi paesi. Ritrovare un clima cordiale sul quale innestare poi gli scontri sui temi senza grande possibilità di compromessi e le potenziali aree di cooperazione.
Anche il Global Times – solitamente spigoloso – ha offerto una lettura accomodante del summit: «L’atmosfera dell’incontro – hanno scritto – rifletteva un rapporto personale piuttosto buono tra i due leader» ricordando che «il presidente cinese ha definito tre principi e quattro aree prioritarie per le relazioni Cina-Usa. In termini di principi, i due paesi devono in primo luogo rispettare i reciproci sistemi sociali e percorsi di sviluppo, rispettare gli interessi fondamentali e le preoccupazioni principali dell’altro e rispettare il diritto allo sviluppo dell’altro».
DIETRO QUESTA FACCIATA di cordialità e amicizia – sulla quale in realtà l’amministrazione Biden era apparsa molto più fredda nei giorni che hanno preceduto l’incontro – in realtà rimangono questioni spinose che difficilmente potranno arrivare a un compromesso. Questioni che emergono nei rispettivi comunicati post-vertice, attraverso i quali leader hanno comunicato alle proprie opinioni pubbliche quanto discusso.
La Cina ha sottolineato gli aspetti più pratici e commerciali, ricordando anche la possibilità di rivedere la politica dei visti per permettere ai businessmen americani un più facile ingresso nel paese. A questo proposito Xi ha affermato che una relazione stabile tra Usa e Cina è un fattore cruciale per lo sviluppo e la pace globali. Pechino collaborerà con l’amministrazione Biden su vari fronti, tra cui le urgenti sfide poste dalla crisi climatica e sanitaria, ha poi aggiunto il presidente cinese; la Casa bianca ha sottolineato di più i contorni relativi a Taiwan e diritti umani.
E PROPRIO L’ISOLA costituisce uno degli aspetti più complicati. Xi ha chiarito che la Cina è «paziente e disposta a lottare per la riunificazione pacifica con la massima sincerità»; tuttavia, «se le forze indipendentiste oltrepassano il limite, il Paese si vedrà costretto ad adottare misure decisive». Allo stesso modo Biden ha ribadito il rispetto della «One China policy» avvertendo però che gli Usa non ammetteranno decisioni unilaterali di Pechino.
All’incontro non hanno partecipato solo i leader: Biden – come segnalato da Nikkei Asia Review – «era accompagnato dal segretario di Stato Antony Blinken, dal segretario al Tesoro Janet Yellen, dal consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan, dal coordinatore indo-pacifico Kurt Campbell, dalla direttrice senior del Consiglio di sicurezza nazionale per la Cina Laura Rosenberger e dal direttore per la Cina Jon Czin. Xi era accompagnato dal direttore dell’Ufficio generale del Pcc Ding Xuexiang, dal vice premier Liu He, dal diplomatico di punta Yang Jiechi, dal ministro degli Esteri Wang Yi e dal vice degli esteri Xie Feng».
Di Simone Pieranni
[Pubblicato su il manifesto]Fondatore di China Files, dopo una decade passata in Cina ora lavora a Il Manifesto. Ha pubblicato “Il nuovo sogno cinese” (manifestolibri, 2013), “Cina globale” (manifestolibri 2017) e Red Mirror: Il nostro futuro si scrive in Cina (Laterza, 2020). Con Giada Messetti è co-autore di Risciò, un podcast sulla Cina contemporanea. Vive a Roma.