Nata con il boom di internet e delle start up del settore tech, la cultura degli straordinari in Cina sembra essersi ancora più estremizzata negli ultimi anni a causa del rallentamento della crescita economica che ha investito anche i settori più fiorenti del paese. Uno scenario ulteriormente aggravato dalla crisi pandemica, caratterizzato da un mercato del lavoro sempre più competitivo, licenziamenti diffusi e una maggiore mole di lavoro per i “colletti bianchi”.
Ma da mesi Pechino sta prendendo misure per “disciplinare i giganti tecnologici”, le quali si traducono in indagini da parte delle autorità regolatrici, multe e obblighi di auto-rettifica, volte a distribuire la ricchezza accumulata dalle multinazionali del paese e, allo stesso tempo, a regolarne le condizioni di lavoro interne. Nelle scorse settimane ha dichiarato “illegale” il celebre “996”, l’orario comune degli ambienti specializzati – ma anche più in generale delle nuove professioni della gig-economy – che impegna i lavoratori 12 ore al giorno per 6 giorni alla settimana. Un documento emesso a fine agosto dalla Corte suprema del popolo cinese e dal Ministero delle risorse umane, infatti, ha dichiarato che i contratti che impongono turni di lavoro così impegnativi “sono da considerarsi non validi” (应认定为无效).
Il primo tra i dieci casi di controversie sul lavoro preso in analisi risale a giugno 2020: il signor Zhang viene assunto da una società di consegna espressa per un periodo di prova della durata di tre mesi. Dopo aver comunicato all’azienda di non essere disposto a sottostare alle norme che prevedono un turno dalle 9 di mattina alle 9 di sera con un solo giorno di riposo a settimana, viene licenziato in tronco, decidendo di conseguenza di rivolgersi alla Commissione arbitrale. La disputa si risolve con un risarcimento per Zhang del valore di uno stipendio mensile – 8.000 RMB – per la cessazione illegale del contratto di lavoro: il documento dichiara che l’orario imposto “supera di molto il limite massimo previsto dalla legge” (以工作时间严重超过法律规定上限).
L’articolo 41 della legislazione sul lavoro, infatti, consente al datore di lavoro di chiedere ai dipendenti un’ora di straordinari al giorno in caso di “necessità della produzione” (生产经营需要), fino a un massimo di tre ore in presenza di “ragioni speciali” (特殊原因). Sebbene non si possano superare le 36 ore mensili, le aziende trovano espedienti sempre più creativi per aggirare le norme, dichiarando, ad esempio, che sono gli stessi dipendenti a scegliere volontariamente di allungare il turno di lavoro.
Ma negli ultimi mesi l’opinione pubblica si è mostrata critica nei confronti dello standard non scritto che prevede orari di lavoro lunghi e forte competitività, soprattutto in seguito alle due morti premature che tra dicembre e gennaio hanno interessato il colosso dell’e-commerce Pinduoduo: una giovane dipendente della società era collassata dopo una notte di straordinari, e un ingegnere si era tolto la vita buttandosi dalla finestra pochi giorni dopo aver chiesto un congedo dalla sede di Shanghai. Già nel 2016, poi, dopo circa un anno dalla morte per un malore improvviso di uno sviluppatore della Tencent, casa madre di WeChat, il 34enne vice caporedattore del forum online Tianya, Jin Bo, era deceduto per arresto cardiaco.
Per veicolare le proteste di sviluppatori e altra “manovalanza” dell’industria tech cinese, nel 2019 era nato un nuovo dominio su Github – il servizio di hosting per progetti software della Microsoft – dall’eloquente nome 996.ICU (Intensive Care Unit). I membri si erano anche premuniti di stilare una lista nera di aziende con orari proibitivi, colpevoli di condurre al burnout entro i trent’anni. La discussione era diventata in breve tempo argomento di tendenza sui social cinesi, al punto da spingere personalità celebri del mondo imprenditoriale cinese ad intervenire in difesa del 996.
Primo tra tutti il miliardario fondatore del colosso Alibaba Jack Ma, che circa un mese dopo, ad aprile, aveva elogiato il turno di 12 ore al giorno per essere una “grande benedizione” di cui non tutti i lavoratori potevano beneficiare, e indispensabile per perseguire il successo in ambito lavorativo. “È una benedizione per lui, non per i suoi dipendenti”, recitava uno degli innumerevoli commenti critici emersi in seguito alle dichiarazioni del tycoon, che si era poi affrettato a precisare che quella di dedicare la propria vita al lavoro era una decisione del tutto personale e le aziende che cercano di forzare tali pratiche “sono destinate a fallire”.
L’attenzione da parte del cosiddetto “grande pubblico” e gli interventi del partito hanno condotto a una serie di cambiamenti, anche in relazione al venir meno della convinzione che orari più lunghi comportino una maggiore produttività. Complici studi come quello pubblicato recentemente dall’American Journal of Epidemiology, che riporta che la memoria a breve termine degli individui di mezza età che lavorano circa 55 ore è fortemente ridotta rispetto a quella di chi lavora 10 o 15 ore in meno.
Le aziende hanno iniziato a adeguarsi: a giugno un game studio di proprietà di Tencent ha obbligato i dipendenti a staccare alle 6 di sera e a non lavorare nel weekend. E nelle settimane successive Meituan, leader nella consegna espressa, ByteDance, società del social network Douyin, e Kaishou, altra app di video brevi, hanno annunciato la fine della pratica diffusa di alternare settimane lavorative di sei giorni e settimane di cinque giorni.
Marchigiana, si è laureata con lode a “l’Orientale” di Napoli con una tesi di storia contemporanea sul caso Jasic. Ha collaborato con Il Manifesto, Valigia Blu e altre testate occupandosi di gig economy, mobilitazione dal basso e attivismo politico. Per China Files cura la rubrica “Gig-ology”, che racconta della precarizzazione del lavoro nel contesto asiatico.