No riunificazione, no taiwanizzazione: il Guomindang sceglie Chu

In Asia Orientale by Lorenzo Lamperti

“Menomale, siamo sollevati”. Lo dicono esplicitamente, anche se a microfoni spenti, alcuni membri del Guomindang. Sullo schermo del quartier generale del partito nazionalista cinese sono appena comparsi i dati aggiornati sui voti per i candidati alla presidenza della principale forza d’opposizione di Taiwan. Si va verso la vittoria di Eric Chu, ufficializzata poi poco dopo. Per qualche ora si era temuto che la clamorosa rimonta dell’outsider Chang Ya-chung potesse completarsi davvero.

“Avrebbe spaccato il partito”, si mormora adesso che Chu ha conquistato il 46% dei 188 mila voti (affluenza al 50%). Chang, considerato una sorta di nuova emanazione di Han Kuo-yu (sconfitto da Tsai Ing-wen nel 2020), aveva conquistato lo zoccolo duro più filocinese del partito proponendo un trattato di pace con la Repubblica Popolare. Chang si è presentato come ultima possibile ancora di salvezza del Gmd e di Taiwan. Con una vittoria avrebbe presentato la sfida tra Gmd e Dpp come una scelta tra pace e guerra. Eppure, il partito che fu di Sun Yat-sen e Chiang Kai-shek è convinto che ormai quello che una volta era un suo punto a favore, vale a dire essere considerato l’unico interlocutore politico di Pechino a Formosa, ora sia uno svantaggio. Anche per questo, dopo il tracollo delle elezioni 2020, la presidenza ad interim era stata affidata a Johnny Chiang.

L’intento era quello di avvicinarsi all’elettorato più giovane, generalmente più ostile al dialogo con la Repubblica Popolare, e “taiwanizzare” il Gmd. Respingendo il modello “un paese, due sistemi” prepensionato a Hong Kong, Chiang aveva anche previsto una revisione del “consenso del 1992”, il pilastro su cui si è basato il dialogo intrastretto negli ultimi decenni e che riconosce l’esistenza di un’unica Cina, “ma con diverse interpretazioni”. Non ha funzionato, anche per la percezione del rischio che appiattirsi sulle posizioni Dpp non avrebbe fatto altro che favorire i rivali. Tanto che Chiang, il più esplicito nel dire che non si sarebbe candidato alle presidenziali del 2024, è arrivato persino terzo. Riaffidarsi a otto anni e mezzo di distanza a Chu lancia un segnale chiaro: il Gmd ha scelto di riaffidarsi a un uomo di “establishment”.

Meno filocinese e più presentabile di Chang e più al centro di Chiang, con Chu il Gmd dimostra di non voler rinunciare alla vocazione maggioritaria ma anche di non essere pronto a un vero rinnovamento. “Riapriremo un canale di comunicazione con Pechino”, ha affermato nel suo discorso di vittoria Chu, che nel 2015 incontrò Xi Jinping. Chu dice di mirare a un riequilibrio delle relazioni internazionali taiwanesi tra Stati Uniti e Cina, ora decisamente più sbilanciate verso Washington. Ancora presto per dire se sarà davvero Chu a candidarsi nel 2024.

Si fa per esempio il nome dell’apprezzato sindaco di New Taipei, Hou Yu-ih. “Non riusciamo più a comunicare con una parte dei cittadini”, confidava alla vigilia un membro del partito. Intanto il Gmd ha scelto di tornare a un porto sicuro, seppur non vincente visto il ko di Chu del 2016. In attesa di capire verso che direzione salpare.

Di Lorenzo Lamperti

[Pubblicato su Il Manifesto]