Il generale golpista Min Aung Hlaing che sei mesi fa ha ripreso il potere in Myanmar suscitando un’ondata di proteste senza precedenti, è ora il premier di un «governo di transizione». Domenica, durante uno dei suoi interventi alla televisione, il generale ha spiegato che ai 12 mesi di stato di emergenza già decisi il 1 febbraio, quando Tatmadaw (l’esercito birmano) mise in atto il golpe, possono esserne aggiunti altri 12, sino all’agosto 2023. Il neo premier di un governo isolato internamente e sul piano internazionale ha anche reiterato la promessa di tenere elezioni nell’arco di quello stesso anno, senza fare una data.
Ha poi ancora lanciato accuse alla Lega nazionale per la democrazia di Aung San Suu Kyi, sostenendo che la sua vittoria alle elezioni del novembre scorso fu il risultato di massicce frodi. Min Aung Hlaing ha fatto anche altre «concessioni»: il Myanmar è disposto a lavorare con l’inviato dell’Asean, l’associazione regionale del Sudest di cui anche i birmani fanno parte. Ma la beffa è che l’Asean non ha ancora nominato nessuno e il suo famoso piano in 5 punti per la riconciliazione nazionale, auspicato mesi fa, non è mai entrato in funzione. Intanto si è formato un governo ombra clandestino, ogni giorno nel Paese si spara e si muore e la resistenza, pur avendo cambiato tattica (non più grandi manifestazioni di piazza ma azioni mirate) continua il suo tentativo di demolire il potere di Tatmadaw.
«In Myanmar – ha scritto ieri il magazine online Irrawaddy in un editoriale – crescono i timori che il Paese stia affrontando un’altra dittatura decennale, poiché il leader del colpo di stato Min Aung Hlaing ha assunto il ruolo di primo ministro nel suo nuovo governo ad interim, seguendo le orme dell’ex dittatore Ne Win, che ha governato per 26 anni».
I passi sembrano in effetti gli stessi, col tentativo di dare un volto legale a un esecutivo di transizione che faccia fare un passo avanti al Consiglio di amministrazione statale (Sac) impostosi col golpe del 1 febbraio: una sigla che ricorda quelle altrettanto sinistre dello Spdc del 1997 (State Peace and Development Council) che rimpiazzò lo Slorc (State Law and Order Restoration Council) del 1988, quando i militari soffocarono nel sangue la ribellione nata nell’agosto dello stesso anno e che verrà ricordata l’8 di questo mese dalla diaspora birmana con manifestazioni in diverse città del mondo.
Intanto non si arresta il cammino della pandemia anche se i dati ufficiali di ieri non segnalavano nessun nuovo contagio su circa 80mila casi attivi e circa 9.700 vittime: numeri del tutto inattendibili a fronte di quanto ha dichiarato Tom Andrews, lo special rapporteur per i diritti umani dell’Onu, secondo cui il Myanmar rischia di diventare uno stato super-diffusore di Covid aumentando i focolai in tutta la regione, anche grazie all’alto numero di sfollati interni molti dei quali cercano di guadagnare il confine. Gli sfollati interni (dati Ocha di luglio) superano quota 200mila e almeno 3 milioni di persone sono in uno stato di grave necessità. Numeri in crescita, come le vittime e gli arresti. Ieri, rispettivamente, 945 e 7.026.
Di Emanuele Giordana
[Pubblicato su il manifesto]