Da una delle province più povere della Cina alla conquista di Pechino con Didi. Dagli inizi in una compagnia di massaggi ai piedi a una delle principali IPO del 2021. Che forse, però, non avverrà mai. Quella di Cheng Wei è una storia simbolo del sogno cinese, quello implicitamente avviato da Deng Xiaoping a inizio anni Ottanta e poi esplicitato in tutta la sua forza dal presidente Xi Jinping nell’ultimo decennio. Una storia di un self made man che ha costruito le sue fortune attraverso l’innovazione che ha reso Didi Chuxing ben più di una “Uber cinese”, come viene spesso definita in maniera riduttiva.
Indagine antitrust su Didi Chuxing
Eppure, ora Cheng potrebbe ricevere lo stesso trattamento riservato negli scorsi a Jack Ma, il celeberrimo fondatore di Alibaba. Così come era stata bloccata l’IPO di Ant Group, ora sembra poter essere in bilico quella (appena annunciata) da Didi Chuxing a Wall Street. Già, perché le autorità cinesi hanno avviato un’indagine antitrust sulla società. L’ipotesi è quella che Didi abbia volato le leggi anti monopolio e abbia utilizzato pratiche competitive volte a escludere le aziende rivali dal mercato.
Così Didi ha conquistato Uber in Cina
La creatura di Cheng, fondata nel 2012, ha progressivamente conquistato il fiorente mercato cinese dei trasporti urbani. Nel 2016 ha acquistato Uber China, che aveva iniziando a perdere circa un miliardo di dollari all’anno per la concorrenza spietata e la diffusione capillare di Didi nelle immense megalopoli cinesi. Nello stesso anno, dopo essersi sbarazzata del principale competitor internazionale, Didi ha chiuso un round di investimenti da 4,5 miliardi e l’anno successivo un ulteriore round da 5,5 miliardi. Tra gli investitori anche pesi massimi come Apple e il fondo giapponese Softbank, che oggi ne detiene il 21,5%.
Didi è più di una “Uber cinese”: tecnologia e diversificazione
Proprio la partnership con Softbank ha dato una spinta alla ricerca e sviluppo nel campo tecnologico e dell’intelligenza artificiale. Il tutto mentre è stato portato avanti un forte processo di diversificazione che dalle classiche auto nere (di fascia diversa a seconda del programma Didi a cui si è iscritti tra Express, Premier, Luxe) si sono affiancati i bus, il bike sharing, il food delivery ma anche servizi assicurativi e finanziari.
Lo sbarco all’estero: 600 milioni di utenti in 400 città
I conti in costante miglioramento hanno anche portato Didi a investire all’estero, dove la sua presenza è sempre più radicata. In particolare in Asia, Australia e America Latina, ma anche in Russia, da ultimo, in Sudafrica. Per capire la sua diffusione in Cina e all’estero basti sapere qualche numero: alle app Didi sono iscritti circa 600 milioni di utenti in oltre 400 città del mondo, con decine di milioni di autisti registrati.
I numeri di Didi e dell’IPO a Wall Street
Nel 2020 ha registrato un fatturato di 21,6 miliardi di dollari e nel primo trimestre 2021 ha comunicato ricavi per 6,4 miliardi. Lo scorso anno ha avuto una perdita di 1,6 miliardi ma ha iniziato il 2021 con un utile netto di 800 milioni di dollari. Meglio di qualsiasi altro competitor a livello globale. Numeri spaziali, che hanno (o avrebbero) portato all’ultimo passo, quello che sarebbe (o sarebbe stata) la definitiva consacrazione: l’IPO a Wall Street, una delle principali se non la principale del 2021 nel comparto tecnologico con un valore previsto tra i 70 e i 100 miliardi di dollari.
Di Lorenzo Lamperti
Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.