Nessun grande annuncio, solo qualche frase ad effetto e vecchie promesse. La partecipazione di Xi Jinping al vertice americano sui cambiamenti climatici è servita a rimarcare quanto ormai noto: la Cina azzererà le emissioni entro il 2060, con il picco previsto per il 2030. Come raggiungere il traguardo resta ancora un mistero. Il leader cinese si è limitato a dire che “la Cina controllerà rigorosamente i progetti di generazione di energia alimentata a carbone e limiterà rigorosamente l’aumento del consumo di carbone nel quattordicesimo piano quinquennale e lo ridurrà gradualmente nel quindicesimo piano quinquennale”, quindi tra il 2026 e il 2030″. Salutando il ritorno di Washington nell’accordo di Parigi, Xi ha poi aggiunto che “di fronte a difficoltà senza precedenti nella governance ambientale globale, la comunità internazionale deve compiere azioni senza precedenti, assumersi coraggiosamente nuove responsabilità e lavorare insieme per costruire una comunità per l’uomo e la natura” sulla base del “diritto internazionale e del principio di equità e giustizia”. Dopo l’incontro positivo tra John Kerry e l’inviato speciale cinese per il clima Xie Zhenhua, era circolata la voce di una possibile anticipazione della data prevista per il picco delle emissioni cinesi. Secondo gli analisti a preoccupare è soprattutto la dipendenza dal carbone “pulito”, che la National Energy Administration ha confermato proprio ieri, pur ventilando la possibilità quest’anno di ridurre l’utilizzo del combustibile fossile a meno del 56% del consumo di energia totale rispetto all’attuale 56,8%. Non molto, certo. Ma i policymaker cinesi stanno lavorando a un piano quinquennale verde che prossimamente dovrebbe svelare qualcosa di più [fonte Caixin, Reuters,]
L’Università Tsinghua inaugura la prima scuola dei chip
La prestigiosa Università Tsinghua di Pechino ha inaugurato la prima scuola nazionale dedicata allo studio dei semiconduttori. L’istituto, che organizzerà anche master e dottorati di ricerca, si pone l’obiettivo di formare tecnici esperti di circuiti integrati e promuovere la ricerca in alcuni settori chiave, come la produzione di chip di memoria e processori così come l’automazione della progettazione elettronica. I corsi sono rivolti agli studenti laureati in materie affini, dalla microelettronica all’ingegneria del software. Raggiungere piena autonomia nella realizzazione di componenti elettronici è diventato un chiodo fisso per Pechino da quando le sanzioni americane si sono abbattute sulle aziende tecnologiche cinesi. Il terremoto che ha investito la supply chain globale durante la pandemia ha contribuito a rafforzare le aspirazioni “autarchiche” della leadership comunista. [fonte GT]
Una nuova tecnologia per la censura cinese
Un team di ricerca composto da ricercatori della Shenyang Ligong University dell’Accademia cinese delle scienze ha sviluppato una tecnologia che permette di censurare i contenuti in rete con una precisione superiore al 91%. Il nuovo sistema, particolarmente utile per “identificare e filtrare informazioni sensibili dai media online”, punta a superare gli ostacoli causati dalla complessità della lingua cinese. Riuscendo ad analizzare il contesto in cui vengono utilizzate le parole così da smarcherare l’utilizzo di omofoni o termini simili per occultare significati sensibili, il nuovo sistema ha un’efficacia superiore alle tecniche censorie basate sulle key words e l’intelligenza artificiale, che oltre a richiedere il supporto umano hanno un grado di esattezza rispettivamente di appena il 70 e l’80%. Il team cinese ha affermato di essersi parzialmente avvalso di un modello di linguaggio open source sviluppato da Google in grado di leggere una parola in contesti diversi. [fonte SCMP]
La cinese Tecno Mobile primo fornitore di smartphone in Africa
La cinese Tecno Mobile ha scavalcato Samsung diventando per la prima volta il brand di smartphone più venduto in Africa. Lo rivelano dati del Market Monitor di Counterpoint Research, secondo il quale il traguardo è stato raggiunto lo scorso anno grazie al lancio costante di nuovi dispositivi a prezzi convenienti e supportati da un’agguerrita campagna di marketing, Un successo per nulla scontato, considerando che nel 2020 le spedizioni di smartphone africani sono complessivamente diminuite del 6,7% rispetto al 2019. Ma Tecno non è l’unico marchio cinese ha guadagnare terreno. Nella top 10, sette degli smartphone più venduti sono “made in China”, con il gruppo Transsion (Tecno, iTel e Infinix) a rappresentare da solo il 37% dell’intero mercato africano. Bene anche Xiaomi che ha visto aumentare le vendite del 126% su base annua. [fonte China in Africa Project]
Ordos, l’ex “ghost town” si anima
Vi ricordate Ordos, l’imponente progetto urbanistico avviato in Mongolia Interna all’inizio del nuovo millennio dal governo cinese? Doveva ospitare una nuova area residenziale – Kangbashihe- in grado di attirare almeno 300mila nuovi abitanti. Ma intorno al 2010 parve chiaro che qualcosa non andava. Un’inchiesta del NYT ne descrisse le spropositate dimensioni delle piazze, l’inutile ampiezza delle strade, l’ altezza esagerata dei palazzi. Ordos divenne il simbolo di un modello di sviluppo urbano insostenibile: una vera e propria “ghost town”. Passati dieci anni le cose sono cambiate. Secondo il Nikkei Asia Review, le vecchie case sono state riempite e oggi si ricomincia a costruire per sopperire alla crescente domanda. Sì perché da quando il governo locale ha pensato bene di spostare alcune delle migliori scuole della città nel distretto disabitato il valore delle case è schizzato a 15.000 yuan per metro quadrato rispetto ai 3000-5000 yuan degli anni bui della bolla. Problema risolto? Non fino a quando il vecchio paradigma di sviluppo continuerà a trainare l’economia cinese. Secondo Haitong Securities, oltre il 30% della crescita economica del 2020 va attribuito agli investimenti immobiliari, più di quanto contribuito mediamente dal settore nell’ultimo decennio. La fortuna riscossa dall’ex “ghost town” potrebbe durare meno di quanto sperato. [fonte NIKKEI]
[photo credit @onlyyoontv]Classe ’84, romana doc. Direttrice editoriale di China Files. Nel 2010 si laurea con lode in lingua e cultura cinese presso la facoltà di Studi Orientali (La Sapienza). Appena terminati gli studi tra Roma e Pechino, comincia a muovere i primi passi nel giornalismo presso le redazioni di Agi e Xinhua. Oggi scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra le quali Il Fatto Quotidiano, Milano Finanza e il Messaggero. Ha realizzato diversi reportage dall’Asia Centrale, dove ha effettuato ricerche sul progetto Belt and Road Initiative. È autrice di Africa rossa: il modello cinese e il continente del futuro.