Nuovo sistema elettorale con caratteristiche di Hong Kong. Così viene definita, con una punta di ironia amara, la riforma del sistema delle consultazioni dell’ex colonia britannica, che ieri ha ricevuto il semaforo verde dal Comitato permanente dell’Assemblea nazionale del popolo. Con 167 voti favorevoli e zero contrari, l’organo del Partito comunista cinese ha approvato all’unanimità gli emendamenti all’allegato 1 e all’allegato 2 della Basic Law, la carta costituzionale di Hong Kong.
Il piano di riforma, secondo quanto presentato dai media statali cinesi, ha l’esplicito obiettivo di prevenire l’ingresso degli «elementi antipatriottici», ma soprattutto mira ad assicurare l’assenza delle forze secessioniste nell’apparato amministrativo regolamentato dal modello politico «un paese, due sistemi».
Ma cosa prevede la nuova riforma? Innanzitutto, si verifica una ristrutturazione del Consiglio legislativo (LegCo) con un incremento dei parlamentari, che passano dagli attuali 70 a 90. Di questi, solo 20 saranno eletti direttamente dai cittadini – rispetto agli attuali 35 – mentre 40 legislatori saranno scelti da una commissione controllata dal governo cinese e i restanti 30 saranno selezionati da «collegi funzionali», che rappresentano il cuore industriale e imprenditoriale dell’ex colonia britannica con interessi vicini a quelli cinesi.
Per accedere alle cariche pubbliche, ciascun candidato sarà valutato dalla Commissione per la Sicurezza nazionale e dall’ufficio della polizia per la difesa della Sicurezza nazionale. Si tratta di un primo passaggio, perché il suo curriculum politico sarà poi esaminato da un «Comitato di revisione dell’eleggibilità dei candidati», composto interamente dai principali funzionari del governo di Hong Kong. Qualora il candidato sarà ritenuto inidoneo alla carica pubblica, sarà squalificato e la decisione non può essere impugnata. Anche perché significherebbe andare contro al governo locale e contro l’art. 17 della legge sulla sicurezza nazionale. Infatti, nella Commissione per la Sicurezza nazionale farà parte anche il Chief Executive, che, conseguentemente, potrà esaminare i candidati che vogliono governare la città. Una misura che aprirebbe le strade a un conflitto di interesse, ma l’attuale governatrice Carrie Lam, in conferenza stampa, ha allontanato tale ipotesi: secondo la numero uno di Hong Kong, gli abitanti dell’ex colonia britannica avranno modo di far sentire il loro giudizio. Lam, infatti, sostiene che la città può ancora guardare al suffragio universale – come previsto dal progetto «un paese, due sistemi» – ma la riforma elettorale è divenuta necessaria dopo le proteste del 2019.
Il piano di riforma modifica anche l’impianto della Commissione elettorale, a cui spetta la nomina del Chief Executive. Con l’aggiunta di 300 delegati provenienti dalla Conferenza consultiva del popolo, quindi lealisti di Pechino, la Commissione sarà formata da 1500 membri, rispetto agli attuali 1200. Il colpo però viene inflitto alla rappresentanza dell’opposizione democratica a livello locale: i 117 seggi riservati ai consiglieri distrettuali, attualmente controllati dall’opposizione, saranno eliminati.
Ma la governatrice Lam ha minimizzato le preoccupazioni secondo cui i cambiamenti al sistema elettorale impediranno a persone di diversi schieramenti politici di candidarsi, poiché non sarà precluso l’accesso ai seggi a coloro che «che mantengono la fedeltà e sostengono la Legge fondamentale» di Hong Kong. Ora non resta che attendere per comprendere i reali cambiamenti apportati dalla riforma elettorale. Le selezioni per i membri del Comitato elettorale sono previste a settembre, mentre le elezioni del Legco, originariamente programmate per lo scorso settembre e posticipate di un anno a causa della pandemia di Covid-19, sono nuovamente rinviate a dicembre 2021. Il prossimo marzo, invece, si terranno le elezioni del prossimo Chief Executive.
Discusso e approvato dalla sessione plenaria a inizio mese, il progetto di riforma riduce drasticamente la rappresentanza democratica ad Hong Kong, assicurando a Pechino la presenza di «patrioti» alla guida della città e un maggiore controllo sull’ex colonia britannica.
[Pubblicato su il manifesto]Sanseverese, classe 1989. Giornalista e videomaker. Si è laureata in Lingua e Cultura orientale (cinese e giapponese) all’Orientale di Napoli e poi si è avvicinata al giornalismo. Attualmente collabora con diverse testate italiane.