Alla vigilia dell’atteso meeting di Anchorage, l’amministrazione Biden ha annunciato l’imposizione di sanzioni contro 24 funzionari cinesi e hongkonghesi per aver contribuito a limitare l’autonomia di Hong Kong. 14 sono vicepresidenti del comitato permanente dell’Assemblea nazionale del popolo, il parlamento cinese coinvolto nella formulazione tanto della legge sulla sicurezza nazionale quanto della riforma elettorale ancora in attesa di un’approvazione finale. Le misure, introdotte ai sensi dell’Hong Kong Autonomy Act, sono estese anche agli istituti bancari e alle aziende straniere che intrattengono rapporti economici con i soggetti menzionati nella blacklist. Da tempo Pechino lavora a una legge contro le interferenze straniere che minaccia misure punitive contro chi rispetta il regime sanzionatorio imposto dai governi stranieri. Secondo quanto anticipato dalla Casa Bianca, la repressione in corso nell’ex colonia britannica sarà tra i topic al centro del primo faccia a faccia con gli inviati di Pechino, insieme alle violazioni dei diritti umani nel Xinjiang. [fonte FT Reuters, Reuters]
La Cina al centro del viaggio asiatico di Blinken e Austin
Si è parlato invece di libera navigazione nel mar cinese e semiconduttori durante la visita a Tokyo del segretario di Stato Antony Blinken e del capo del Pentagono Lloyd J. Austin. La prima missione asiatica dell’era Biden ha visto la Cina partecipare come convitato di pietra. Senza giri di parole gli sherpa statunitensi hanno accusato Pechino di “coercizione e aggressione”. Un punto su cui il governo nipponico ha convenuto sottoscrivendo un comunicato congiunto dai toni inequivocabili: “il comportamento della Cina, laddove incompatibile con l’ordine internazionale esistente, presenta sfide politiche, economiche, militari e tecnologiche all’alleanza e alla comunità internazionale”. La missione indopacifica di Blinken e Austin prosegue quest’oggi in Corea del Sud, terreno meno permeabile alle accuse anti-cinesi ma indispensabile per riprendere i negoziati con Pyongyang. [fonte NYT Ruters]
Myanmar: richiamati in patria i dipendenti cinesi
Pechino ha cominciato a richiamare in patria i cittadini cinesi ancora in Myanmar. L’appello è stato lanciato a pochi giorni dall’attacco contro le fabbriche cinesi dall’ente che supervisiona le aziende di stato ed è indirizzato ai connazionali impiegati nella realizzazione di progetti al momento interrotti; a chi ha finito il proprio incarico o non è stato ancora vaccinato; ai dipendenti che vivono in siti remoti e a tutti coloro che si trovano ad affrontare situazioni di pericolo. La nota, inviata alle aziende pubbliche operanti nel paese, invita inoltre il personale cinese ad avviare esercitazioni per fronteggiare eventuali situazioni di emergenza e a mantenere tutto quanto necessario per un’eventuale evacuazione. Sono oltre 30 gli impianti cinesi presi di mira nel corso delle proteste. Secondo la stampa statale, le perdite ammontano a 37 milioni di dollari. Ma c’è chi accusa i cinesi di aver provocato volutamente i danni per ottenere il risarcimento dall’assicurazione. I media governativi hanno ventilato l’introduzione di misure più incisive se la giunta militare non sarà in grado di riportare l’ordine.[fonte SCMP]
La legge cinese difende madre licenziata per “assenteismo”
Un tribunale della Cina meridionale dovrà risarcire una dipendente licenziata per aver chiesto il congedo di maternità. La donna, che era stata licenziata per “assenteismo” dopo aver preso tre dei sei mesi di congedo previsti dalla legge cinese, avrà diritto tanto allo stipendio quanto all’indennità risarcitoria. Quello del congedo di maternità è uno dei temi comparsi nell’agenda della recente sessione plenaria del parlamento cinese. Davanti al costante calo delle nascite, le autorità cinesi stanno valutando nuovi provvedimenti per invertire il preoccupante trend demografico. La priorità sta nel creare le condizioni lavorative ed economiche necessarie a spingere le coppie a fare più figli. [fonte SCMP]
La nuova strategia estera di Londra guarda all’Asia
La Cina rappresenta al tempo stesso il più grande pericolo nonché un partner irrinunciabile per la Gran Bretagna. E’ quanto sostiene il governo di Boris Johnson nella nuova strategia estera e difensiva annunciata ieri. Spicca l’allusione a una linea più dura in materia di diritti umani, soprattutto in riferimento alla repressione in corso a Hong Kong e nello Xinjiang. Ma con la precisazione che cooperare con Pechino “in modo forte e positivo” contro i cambiamenti climatici “è coerente con i valori e gli interessi” britannici. Per dare il senso della misura, il documento menziona la Cina 29 volte, la Russia solo 14, la Corea del Nord otto volte e l’Iran quattro. In segno delle crescenti minacce percepite, la revisione inverte 30 anni di disarmo permettendo un incremento del 40% delle testate nucleari come “deterrente”. La soluzione offerta dalla revisione prevede una maggiore cooperazione con gli alleati democratici dell’Indo-Pacifico in previsione del passaggio della portaerei Queen Elizabeth nelle acque contese tra Pechino e i vicini rivieraschi. [fonte Guardian]
Il Giappone verso il matrimonio gay
Per la prima volta un tribunale giapponese ha dichiarato incostituzionale l’impedimento del matrimonio tra persone dello stesso sesso. La sentenza, la prima in Giappone sulla legalità delle unioni gay, rappresenta una vittoria simbolica di importanza storica considerando che la costituzione nipponica definisce il matrimonio basato sul “mutuo consenso di entrambi i sessi”. Prima che le coppie omosessuali possano convolare a nozze sarà necessaria l’approvazione di una nuova legge con tempistiche verosimilmente piuttosto lunghe. Ma la comunità LGBT ritiene la sentenza un primo incoraggiante passo avanti. Il Giappone era l’unico dei paesi del G7 a non riconoscere ancora pienamente i rapporti tra persone dello stesso sesso. Secondo le regole attuali, le coppie omosessuali non possono sposarsi, non possono ereditare i beni del proprio compagno/a e non hanno diritti genitoriali sui figli dei partner. [fonte Reuters]
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Classe ’84, romana doc. Direttrice editoriale di China Files. Nel 2010 si laurea con lode in lingua e cultura cinese presso la facoltà di Studi Orientali (La Sapienza). Appena terminati gli studi tra Roma e Pechino, comincia a muovere i primi passi nel giornalismo presso le redazioni di Agi e Xinhua. Oggi scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra le quali Il Fatto Quotidiano, Milano Finanza e il Messaggero. Ha realizzato diversi reportage dall’Asia Centrale, dove ha effettuato ricerche sul progetto Belt and Road Initiative. È autrice di Africa rossa: il modello cinese e il continente del futuro.