Nella farsa giudiziaria allestita dalla giunta birmana si aggiungono nuove accuse contro Aung San Suu Kyi, il presidente U Win Myint e una serie di ministri del governo della Lega nazionale per la democrazia. Dall’altra parte dell’Oceano gli Usa bloccano invece i beni di due figli del generale Min Aung Hlaing mentre in Myanmar la piazza resta protagonista di un’ennesima giornata di sangue con si conclude con un bilancio di vittime controverso: 12 secondo la stampa locale, almeno 17 secondo le fonti che raccogliamo in loco.
SI AGGIUNGE infine un ennesimo capitolo italiano a quello già aperto dalla pallottola dell’azienda livornese Cheddite ritrovata a Yangon. Questa volta, sempre grazie agli scatti raccolti dal magazine birmano Irrawaddy, ne viene trovata un’altra sul terreno di scontro di Myaing, nella regione di Magwe, dove nel pomeriggio di ieri otto persone han perso la vita accanto a una decina di feriti. Il bossolo ormai vuoto viene raccolto e identificato come già quello di Yangon in uno scatto ancor più inquietante e non solo per l’elevato numero di morti forse uccisi proprio da quelle pallottole.
Ma perché la foto dice che quelle cartucce sono tante e diffuse. Non sappiamo dire come caricate e di quanti omicidi responsabili ma è una macchia che l’Italia dovrebbe lavarsi al più presto cercando almeno di capire come da Livorno quelle cartucce siano arrivate nelle mani di Tatmadaw, l’esercito birmano.
È UN ESERCITO che sta giocando tutte le carte che ha e che Amnesty International accusa con un nuovo rapporto che conferma come Tatmadaw stia usando tattiche letali e un arsenale di armi da campo per dar fiato a una «follia omicida» contro manifestanti pacifici che si oppongono al golpe del 1 febbraio. Amnesty lo dice dopo aver analizzato le prove video e fotografiche delle ultime settimane di protesta, attraverso oltre 50 videoclip che mostrano la prova di «omicidi sistematici e premeditati».
L’organizzazione chiede al Consiglio di sicurezza Onu e alla comunità internazionale di agire per fermare la violenza e intanto, seppur con ritardo, il CdS Onu ha condannato l’escalation di violenza in Myanmar e ha invitato l’esercito a mostrare moderazione nella sua risposta ai manifestanti. Moderazione. La giunta intanto cerca appigli legali per giustificare un’azione che intanto è già costata oltre settanta morti (c’è chi dice molti di più) e oltre 2mila arresti. L’ultima trovata riguarda la Lady e il presidente, accusati, ha spiegato ieri il portavoce generale Zaw Min Tun, di corruzione: Daw Aung San Suu Kyi avrebbe accettato 600mila dollari e oltre 21 libbre d’oro dal capo della regione di Yangon U Phyo Min Thein (detenuto) tra dicembre 2017 e marzo 2018.
UNA COMMISSIONE anticorruzione sta indagando su di lei e anche sul presidente U Win Myint e la first lady Daw Cho Cho. Difficile che i birmani diano il minimo credito ad accuse che sembrano costruite ad arte. Sul fronte dei soldi reali invece l’Office of Foreign Assets Control (Ofac) del Dipartimento del Tesoro americano ha congelato i beni di Aung Pyae Sone e Khin Thiri Thet Mon, figli del generalissimo a capo della giunta, e di sei società da loro controllate che avrebbero beneficiato direttamente della «posizione paterna».
L’elenco delle aziende controllate dai due – dall’edilizia ai ristoranti ai media – sono state desunte da un elenco di 18 società legate ai militari per cui Justice for Myanmar, un’associazione che sta vagliando tutte le attività economiche di Tatmadaw, aveva chiesto sanzioni mirate. La stessa che ha pubblicato un elenco di società straniere che collaborerebbero con la giunta. Una fonte ritenuta più che affidabili dal Tesoro americano.
Di Emanuele Giordana
[Pubblicato su il manifesto]