Per un topo di biblioteca come me, nulla è più lontano dell’azione. Nel senso che, seppure spinto da una forte passione per comprendere gli avvenimenti e i personaggi che la Storia ci snocciola, e pur amando i viaggi specialmente per visitare siti che racchiudono il fascino del passato, mai rischierei il collo come Indiana Jones camminando su un tappeto di viscidi serpenti o velenosi scorpioni per recuperare il reperto del secolo, oppure lottando a mani nude con i cattivoni di turno che hanno l’unico scopo di fregarmi il suddetto reperto. Nossignore, io preferisco investigare sulle carte, tra gli scaffali delle belle biblioteche in giro per il mondo annusando l’odore della carta bucherellata dagli insetti, perdere la testa su antiche calligrafie, rimontare il tempo non a cavallo di un cavallo ma di un documento, di un libro, di una reliquia storica che qualcun altro ha trovato, lui sì, agendo. Insomma, l’azione e il pensiero sono complementari in uno studio di ricerca, questo è certo, ma io propendo per il secondo. Nessuno è perfetto.
Tra i miei documenti preferiti, tra quelli che mi hanno più entusiasmato, c’è il monumentale lavoro che un vero Indiana Jones, l’archeologo e sinologo francese Édouard Chavannes (1865-1918), compilò dopo anni di ricerche e di studi: parlo della sua traduzione dal cinese di una parte consistente dello Shiji 史记 (Memorie Storiche) di Sima Qian 司马迁 considerato il primo storico del Celeste Impero.
Sima Qian, (date presunte 145 – 86 a. C.), era figlio d’arte; suo padre, Sima Tan, annalista di corte e Grande Astrologo della dinastia degli Han Occidentali, aveva cominciato a stilare la storia della Cina ma morì lasciando al figlio l’incarico di portare a termine l’impresa. Accettato il testimone e ereditatone le cariche, Sima Qian viaggiò per tutto il territorio cinese raccogliendo documenti, e infine – dopo avere subito anche la castrazione per essersi schierato a favore di un generale sconfitto dai nomadi Xiongnu (quelli che noi chiamiamo Unni) – completò lo Shiji. L’opera gli restituì onori e gloria; è costituita da 130 capitoli o volumi che dir si voglia, ricchi di ogni ben di dio: influenza degli astri e dei fenomeni celesti sulla vita umana, riti, istituzioni, avvenimenti naturali, guerre, biografie di imperatori, di filosofi e di uomini illustri, genealogie, rapporti diplomatici, elementi geografici, cronologie, avvenimenti culturali ed economici, etc. Lo Shiji servì da modello per tutte le storie dinastiche cinesi dei successivi duemila anni.
C’è chi ha dedicato buon parte della propria vista a contare i caratteri che compongono l’opera: 526.500. Questa mole di parole, superiori per numero a quelle del Vecchio Testamento, Chavannes non le tradusse tutte: tra il 1895 e il 1905 pubblicò gli annali principali, tavole cronologiche e trattati sulle case reali, per un totale di 47 capitoli sui 130 complessivi. Rientrato in Francia, assunse la cattedra di Storia della Cina al Collège de France, dopo di che ritornò nell’impero cinese alla ricerca di monumenti, bassorilievi ed epigrafi per la cui traduzione divenne uno specialista indiscusso.
Leggere le Memorie Storiche è come vedere un film d’azione; ci sono tutti gli ingredienti per rimanere attaccati alle sue pagine: protagonisti indomiti, ruoli secondari affascinanti, storie mirabolanti, colori colorati, luci lucenti, continui cambi di scena, ritmo serrato. La prosa di Sima Qian viene resa da Chavannes in modo comprensibile e scorrevole, e gli episodi si mostrano uno a uno al nostro sguardo incantato come una pittura tradizionale cinese che sembra potersi srotolare all’infinito svelando tutti i dettagli, anche quelli più truci come, ad esempio, quando narra del Primo Imperatore (colui che nel 221 a. C. unificò per la prima volta la Cina) in frasi del tipo: «…tagliarono diverse centinaia di teste…»; «Tutti [i venti ribelli] ebbero le teste sospese sulle picche e i loro corpi smembrati tra i carri, per servire da esempio, e i loro parenti e i loro clienti furono sterminati»; «…egli mozzò centomila teste…»; «… tutti quelli che si erano mostrati ostili a sua madre, furono sterminati…»; «All’imperatore fa piacere stabilire il suo prestigio mediante i supplizi e le esecuzioni…». Si capisce senza ombra di dubbio che il Primo Imperatore non andava per il sottile quando si trattava di colpire gli avversari, e l’estensione delle punizioni alle famiglie di coloro che erano considerati colpevoli, altro non era che l’applicazione delle pene per responsabilità collettiva, figura giuridica del legismo, filosofia politica adottata dai Qin.
È impossibile in questa Pillola parlare degli innumerevoli avvenimenti narrati da Sima Qian, però un’idea del perché le sue Memorie Storiche siano apparse sin dalla prima volta ai miei occhi come una rutilante caverna di Alì Babà, la voglio dare. Intendo citare il passo che si riferisce alla costruzione della tomba del Primo Imperatore.
La tomba (essa e la sepoltura di Tutankamon sono i più importanti ritrovamenti archeologici del secolo XX), si trova vicino Xi’an nei cui pressi fu la capitale dei Qin. Tutto cominciò quando un contadino che scavava un pozzo, nel marzo del 1974 s’imbatté in punte di frecce in bronzo, resti di mattoni e frammenti di terracotta. Analoghi rinvenimenti in villaggi vicini fecero accorrere gli archeologi che iniziano uno scavo razionale. È così che vennero alla luce i primi tremila guerrieri dell’armata di terracotta, a grandezza naturale, uno diverso dall’altro, messi a difesa di una collina verdeggiante che altro non è se non la tomba del Primo Imperatore; è alta 76 metri, lunga 690m e larga 250m. Negli anni, dal suolo che circonda collina, per circa 60km2 emersero molti carri in legno e due in bronzo, cavalli di terracotta, diverse armi, e il numero dei guerrieri ritrovati salì a circa ottomila. Non c’è turista in Cina che non abbia visitato il sito dove all’inizio degli anni Ottanta si poteva accedere liberamente, vagando fra le fosse di scavo e le tende degli archeologi, mentre oggi, oltre a fare la coda per acquistare il biglietto d’ingresso, si cammina fra strutture museali moderne e grandiose, e negozi e negozietti di souvenir.
Se le ricerche attorno alla collina-tumulo procedono con nuovi ritrovamenti e coinvolgono decine di villaggi dei dintorni, la tomba vera e propria non è stata ancora scavata. La vedete là, questa collina, come una gobba di un drago quiescente che aspetta sornione l’archeologo che per primo oserà entrarvi dentro. Ho usato il verbo “osare” perché il fatto che a distanza di quasi cinquant’anni dalla sua scoperta nessuno si sia ancora avventurato in quella che viene considerata una vera città funeraria sotterranea, ha, fra le altre, una spiegazione che di sicuro solleticherebbe Indiana Jones. E questa spiegazione ce la fornisce il brano di Sima Qian cui ho accennato prima. Eccolo:
«Sin dall’inizio del suo regno, [il Primo Imperatore] Qin Shihuang aveva fatto scavare la montagna Li. Poi, quando ebbe riunito nelle sue mani tutto l’Impero, inviò più di settecentomila lavoratori; si scavò il suolo fino all’acqua; vi si colò del bronzo e si portò il sarcofago; dei palazzi, degli edifici per tutte le amministrazioni, dei meravigliosi utensili, dei gioielli e degli oggetti d’arte vi furono trasportati e seppelliti a riempire la sepoltura. Degli artigiani ricevettero l’ordine di fabbricare balestre con frecce automatiche; se qualcuno avesse voluto scavare e introdursi [nella tomba], le balestre gli avrebbero tirato addosso. Con il mercurio si realizzarono cento ruscelli, il [fiume] Jiang, [il fiume] He e il vasto mare; delle macchine lo facevano scorrere e se lo trasmettevano l’una all’altra. In alto erano tutti i segni del cielo, in basso la disposizione geografica. Con il grasso di foca si fecero delle torce che sarebbero rimaste accese per molto tempo.
Er Shi [l’erede] ha detto: “Le mogli dell’imperatore defunto che non hanno avuto figli non dovrebbero essere liberate”. Ordinò che tutte lo seguissero fino alla morte. Coloro che furono messi a morte furono numerosissimi. Quando la bara fu smontata, qualcuno disse che gli operai e gli artigiani che avevano costruito le macchine e nascosto i tesori sapevano tutto quello che c’era dentro e che quindi sarebbe stato svelato il grande valore di quanto era stato sepolto; quando il funerale fu terminato e la stradina centrale che conduceva alla sepoltura era stata nascosta e bloccata, la porta all’ingresso esterna di questa via fu abbattuta e tutti coloro che erano stati impiegati come operai o artigiani in clandestinità furono rinchiusi [nella tomba]: non potevano più uscire. Erbe e piante furono piantate per far sembrare [la tomba] una montagna.»
Insomma, se le parole di Sima Qian sono veritiere, e non vi è motivo di dubitarne, la situazione è chiara: la tomba del Primo Imperatore potrebbe essere una trappola mortale per chi vi entra. Oddìo, questo è preoccupante sicuramente per me: con tutti gli acciacchi che già ho ci mancano solo una selva di frecce che mi trafiggono il petto o l’avvelenamento da mercurio, oppure lo spavento da infarto per eventuali incontri con i fantasmi delle concubine e degli operai giustiziati… Ma certo, non tutti sono come me. Per esempio, per ritrovare e studiare i reperti seppelliti, il nostro Indiana Jones si tufferebbe senza alcuna preoccupazione, e di corsa, nella tomba inviolata…
Un’ultima cosa. Fra gli allievi di Chavannes fu un altro grande orientalista, ancora più Indiana Jones del suo maestro: Paul Pelliot (1878-1945). Prima o poi gli dedicherò una Pillola perché se lui – come Chavannes – non fosse esistito e non ci avesse fornito il materiale delle sue difficili e faticose ricerche e scoperte, e dei suoi studi, io non starei qui a bofonchiare mediocremente di Cina e di cineserie, né molti miei colleghi – loro sì, non mediocri ma illustri – avrebbero fatto carriere di rilievo.
Di Isaia Iannaccone*
*Isaia Iannaccone, nato a Napoli, chimico e sinologo, vive a Bruxelles. Membro dell’International Academy of History of Science, è specialista di storia della scienza e della tecnica in Cina, e dei rapporti Europa-Cina tra i secoli XVI e XIX. È autore di numerosi articoli scientifici, di trattati accademici (“Misurare il cielo: l’antica astronomia cinese”, 1991; “Johann Schreck Terrentius: la scienza rinascimentale e lo spirito dell’Accademia dei Lincei nella Cina dei Ming”, 1998; “Storia e Civiltà della Cina: cinque lezioni”,1999), di due guide della Cina per il Touring Club Italiano e di lavori per il teatro e l’opera. Ha esordito nella narrativa con il romanzo storico “L’amico di Galileo” (2006), best seller internazionale assieme al successivo “Il sipario di giada” (2007, 2018), seguiti da “Lo studente e l’ambasciatore” (2015), “Il dio dell’I-Ching” (2017) e “Il quaderno di Verbiest” (2019)