A quasi un mese dal golpe militare che ha sconvolto il Myanmar di Aung San Suu Kyi, continuano le proteste della popolazione birmana contro la presa di potere del Tatmadaw, e anche il movimento di disobbedienza civile non accenna a diminuire.
Protagonisti indiscussi delle manifestazioni che ogni giorno coinvolgono diverse città del paese sono i giovani, in particolare la cosiddetta Generazione Z, la fascia dei nati tra la fine degli anni ’90 e il 2012, che insieme a adolescenti e adulti under 30 costituisce il 50% della popolazione birmana. Si tratta di ragazzi cresciuti nel periodo di transizione democratica del paese, con i social media a fare da finestra sul mondo e il ricordo del precedente regime presente solo sui libri di storia. Non c’erano infatti durante il golpe del 1988 ed erano troppo piccoli per testimoniare le violente repressioni della rivoluzione zafferano nel 2007. Sono invece abituati alla democrazia, alla libertà di espressione e professano per questo la loro aperta avversione ai militari.
China Files ha raccolto le testimonianze di alcuni di loro, attualmente coinvolti nelle proteste di Yangon e provincia, per comprendere meglio la voce di una generazione che sta prendendo in mano le sorti del paese.
Anche dopo settimane di proteste, il morale rimane alto tra i ragazzi. “Crediamo ancora fortemente che supereremo presto questa situazione” dice Tallia, 22 anni, “la folla era più grande in questi giorni”. Lunedì 22 febbraio infatti, nonostante gli avvertimenti della tv di stato MRTV, si è verificata la giornata di manifestazioni con la più grande affluenza dall’inizio delle proteste, con folle di dimostranti riversatesi per le strade di Yangon, Naypydaw e Mandalay in quella che viene già descritta come la “rivoluzione dei cinque 2” (dalla data 22.02.2021). “Sono veramente arrabbiato, i militari non hanno rispettato i nostri voti, per questo continueremo a protestare fino alla fine”, afferma poi Jerome, 23 anni.
Secondo un rapporto dell’ IFES (International Foundation for Electoral Systems), alle elezioni dello scorso novembre, che avevano visto prevalere il partito NLD (National League for Democracy), avevano presenziato oltre 5 milioni di nuovi cittadini aventi diritto al voto. Come Nicole, 18 anni, che ci ha raccontato la sua frustrazione, “per me era la prima volta, e guarda adesso che ne è stato del mio voto!”. C’è invece chi come Theo, 26 anni, aveva votato anche alle elezioni del 2015, confermando in entrambi i casi il suo supporto per il NLD e sostenendo che “è un partito affidabile che poterà la vera democrazia al popolo del Myanmar”.
Un sentimento condiviso tra i manifestanti più giovani sembra inoltre essere la fedeltà alla ormai ex Consigliera di Stato Aung San Suu Kyi, arrestata il 1 febbraio dalla giunta di militari e attualmente sotto processo per avere importato illegalmente dei walkie talkie. “È stata l’unica ad avere portato la vera democrazia nella storia del nostro paese”, dice Tallia, incalzata da Jason, 27 anni, che afferma, “è la nostra leader, ha lottato per la democrazia nel nostro paese, e anche se si trattava di una semi-democrazia, il Myanmar è cambiato e cresciuto grazie a lei”.
La premio Nobel per la pace ha riscontrato più volte le critiche della comunità internazionale per quanto riguarda la questione del trattamento dei Rohingya, ma la sua popolarità è invece accresciuta enormemente tra i cittadini birmani durante i cinque anni di governo del NLD e oggi, durante le proteste, i manifestanti indossano maglie rosse per omaggiarla. “Tutti noi la amiamo, e siamo preoccupati per lei”, dice Theo, “ci ha insegnato a diventare dei leader noi stessi, è la nostra leader e vogliamo che sia liberata da questa ingiusta incarcerazione”, continua Nicole.
La controparte di una tale lealtà è invece la determinata avversione per i militari, unita all’irremovibile convinzione che il paese non possa sottostare al loro regime. Corruzione, mancanza di libertà, violazione dei diritti umani, sono solo alcuni tra gli elementi che preoccupano maggiormente i ragazzi. “Nessuno sarà felice con la nuova giunta. Sono al potere da poche settimane e hanno già cambiato moltissime delle leggi che proteggono i nostri diritti”, spiega a China Files Jerome, facendo riferimento alle modifiche al codice penale implementate dai militari per dare statuto legale alle azioni contro proteste e disobbedienza civile. Come lui, in molti sono convinti che lo stato di emergenza, che costituzionalmente può durare fino a due anni, sia semplicemente un pretesto per reinstaurare la supremazia militare, “vogliono ricostruire il vecchio scenario del 1988” dice a proposito Jason. Per questo motivo, alcuni puntano il dito sulla costituzione del 2008, con la quale si stabilisce che ai militari sia riservato il 25% dei seggi in parlamento, e che a loro siano destinati i ministeri di difesa, affari interni e confini. “Vogliamo vedere distrutta la costituzione del 2008”, dice Jerome “altrimenti i militari non ridaranno mai il potere al popolo”.
In altre parole, i giovani non sono disposti a tornare indietro e con la loro dirompente (ma sempre pacifica) protesta guardano al futuro. “La gente oggi è più istruita (…) una volta non era a conoscenza della violazione dei loro diritti, ma adesso ha visto la luce, e si rifiuta di tornare nel buio” afferma Nicole. “Se il nostro paese sarà governato dai militari, il futuro della nostra generazione non potrà essere positivo. Ci penso tutti i giorni. E mi sento male” sono invece le parole di Theo.
Un elemento che contraddistingue le proteste correnti dai precedenti periodi di tensione anti militare è sicuramente l’utilizzo pervasivo dei mezzi di comunicazione tecnologica. Nel 2021, il Myanmar conta 22 milioni di utenti Internet e una penetrazione della rete del 40%. Più di metà della popolazione ha accesso a uno smartphone, contro i pochissimi che nel 2007 potevano permettersi una sim card.
Questo ha creato una nuova generazione di manifestanti che è giovane, tecnologica e intraprendente, che promuove il movimento di disobbedienza civile a colpi di tweet e hashtag e utilizza i social media per coordinare le proteste. “Sono il modo migliore che abbiamo per riunirci e organizzare la nostra prossima mossa” racconta Jason. “Utilizziamo Facebook a livello locale e Twitter per sensibilizzare il pubblico internazionale”, spiega Nicole, “non vogliamo che il pubblico internazionale creda alle fake news” dice invece Theo.
Del potere dei social si sono subito resi conto anche i militari, che hanno a più riprese interrotto l’accesso alla rete nel paese, bloccato permanentemente Facebook, Twitter e Instagram, e stanno ultimando una nuova legge sulla cyber security con cui poter incriminare chi “diffonde informazioni dannose per la sicurezza nazionale”. Ma i giovani, è risaputo, sono nati con la tecnologia e non sono dunque estranei a mezzi per il raggiro della censura. Grazie a app prima desuete in Myanmar (Viber, Signal, ma anche Whatsapp) e VPN per bypassare il blocco di internet, le foto delle proteste continuano così a inondare gli schermi di tutto il mondo e gli scioperi organizzati online hanno di fatto immobilizzato il paese.
Le proteste che imperversano da settimane hanno avuto successo nel riunire medici, insegnanti, banchieri e operai per portare avanti la disobbedienza civile, ma sono i giovani ad avere attirato l’attenzione dei media globali con i loro cosplay durante le proteste, l’umorismo pungente dei meme e i riferimenti alla pop culture internazionale, dal saluto a tre dita degli Hunger Games (già utilizzato nelle proteste pro-democrazia in Tailandia lo scorso anno) al WAP di Cardi-B. “E’ il nostro modo per presentarci al pubblico, ma ciò che conta davvero è che stiamo tutti lottando per la democrazia” dice Tallia. Solidarietà anche tra le diverse minoranze etniche, con i primi monaci scesi in piazza questa settimana. A tal proposito sono ancora una volta i ragazzi a dare il buon esempio “c’è cooperazione tra le varie etnie. Siamo cresciuti tutti in Myanmar, quindi sappiamo tutti quali sono le vere intenzioni dei militari” dice Nicole. “Anche con le differenze di etnie e religione, abbiamo tutti lo stesso obbiettivo: arrivare insieme alla democrazia”, continua Theo.
In un paese che storicamente dà molto peso all’autorità degli anziani, sono quindi i giovani, più delle generazioni precedenti, a sfidare apertamente il Tatmadaw. A tal proposito Jerome ci racconta che i suoi genitori si ricordano le precedenti proteste, e hanno deciso di non partecipare per “paura degli spari e degli arresti”. Anche Theo, che è un tutor presso l’Università di Sagaing, riporta che nel suo istituto i più restii a partecipare alla disobbedienza civile sono i più grandi, “i più anziani nello staff non hanno partecipato al CDM (Civil Demonstration Movement). Hanno paura. E anche noi giovani abbiamo paura, ma non lasceremo che questo comprometta la nostra generazione”. Al momento, il principale motivo di pressione al governo è costituito proprio dalla disobbedienza civile, sempre più estesa e creativa. Sul web inoltre, circolano infografiche su come proseguire negli scioperi e su come condurre una resistenza pacifica, nonostante i tentativi dell’esercito di istigare alla violenza come mezzo per giustificare la repressione. “Il nostro compito principale è convincere chi ancora non ha aderito alla disobbedienza civile. Ci riuniamo in uffici e luoghi pubblici per protestare, spieghiamo loro in cosa consiste la CDM e li aggiorniamo sulla situazione politica”, continua Theo.
Rimane tuttavia vivo il ricordo delle violenze del 1988, soprattutto adesso che si contano i primi morti durante le proteste (quattro fino a ora) e ad aggravare la situazione si aggiunge anche la già complicata situazione pandemica. “Ovviamente abbiamo paura, ma temiamo la dittatura più del Covid” dice Jerome “la malattia può uccidere noi, ma non il futuro della nostra generazione”. Resta anche la preoccupazione tra i ragazzi, soprattutto riguardo ai crescenti arresti. “Vengono di notte e arrestano la gente quando nessuno guarda, anche nelle periferie, così da attrarre meno attenzione mediatica” racconta Tallia. Ciò nonostante, i giovani birmani non sembrano cedere, “la gente è più determinata che mai”, sostiene Nicole, e in molti contano molto sulla comunità internazionale, augurandosi intervenga a supporto dei manifestanti.
di Lucrezia Goldin
*Per la stesura di questo articolo China Files ha intervistato un gruppo di giovani di Yangon e provincia, i cui nomi sono qui alterati per salvaguardarne la sicurezza personale.