Con la fondazione della Repubblica popolare cinese nel 1949, il colore giallo legato alla musica popolare (黄色音乐) è stato sostituito con il rosso, che fa la sua comparsa nell’immaginario collettivo.
Sebbene il termine “canzone rossa” sia stato coniato solo negli anni Novanta, la sua funzione compare già a partire dal 1942: le parole di Mao Zedong al forum di Yan’an sulla letteratura e l’arte chiariscono che queste, così come la musica, devono essere al servizio della rivoluzione e del popolo, grazie alle loro caratteristiche: sono realiste, antimperialiste e antifeudali. Le radici sono quelle della “nuova musica” (新音乐), nata negli anni trenta, caratterizzata da uno stampo fortemente nazionalista anti-occidentale e anti-giapponese e, quindi, lontana della musica gialla. Numerosi sono i brani che hanno fatto storia, ma tra i più famosi si ricordano: “Inno patriottico per commemorare il 4 maggio” (五四纪念爱国歌), “Umiliazione nazionale” (国耻) e la stessa “Marcia dei volontari” (义勇军进行曲), che ancora oggi è l’inno nazionale cinese.
Queste premesse portano a una forma nuova di musica popolare di stampo socialista. Canzoni folk, legate spesso a un immaginario rurale e fortemente personale, vengono messe al servizio della collettività per veicolare l’ideale maoista. Il caso più emblematico è probabilmente quello di “L’oriente è rosso” (东方红), canzone ispirata a un idillio agreste e modificata ad arte, fino a diventare il canto di vittoria durante la Rivoluzione culturale. Il brano originale, scritto nei primi anni Quaranta da Li Youyuan, contadino dello Shaanxi – ma c’è chi lo associa a Li Jinqi, un insegnante -, non parla di rivoluzione contadina bensì di olio di sesamo, cuori di cavolo, fagioli e nostalgia oppure, secondo altre fonti, canta del ritorno di un combattente in sella ad un cavallo bianco.
Un’aria musicale proveniente dalle campagne remote può, anzi deve, diventare simbolo rivoluzionario e raccontare qualcosa di non molto lontano da quanto affermato da Xi Jinping nell’ultimo discorso per il nuovo anno: “le zone di confine sono rosse, in queste non ci sono poveri, se le persone povere emigrano possono affrancarsi dalla loro condizione” (边区红,边区地方没穷人,有了穷人就移民,移民能够断穷根)”.
Se in un primo momento, per scopi puramente propagandistici e rivoluzionari, sono usate arie provenienti dall’estero tradotte e modificate, successivamente la produzione è diventata esclusivamente autoctona. Qualsiasi istanza proveniente dall’estero è bollata come un borghese lascito dell’imperialismo occidentale.
Cosa significa dunque essere un musicista in quegli anni?
He Luting贺绿汀 (1903-1999), compositore e direttore dello storico Conservatorio di musica di Shanghai, rappresenta l’esempio più concreto per rispondere a questa domanda. Da fedelissimo di Mao e del Partito comunista cinese, tanto da essere imprigionato per un anno dai nazionalisti del Guomindang, e compositore delle “canzoni di guerriglia” durante la guerra sino-giapponese, He diventa ben presto un nemico della Rivoluzione culturale e tra i bersagli più eccellenti delle guardie rosse.
In quegli anni He commette un errore: difende e promuove i compositori occidentali, come Beethoven e Debussy, venendo additato come un nemico della cultura tradizionale nazionale e promotore di una presunta occidentalizzazione dei costumi musicali.
Il musicista ha perciò subisce molte umiliazioni, sia psicologiche che fisiche e alcune delle quali sono trasmesse anche in TV): dall’essere fustigato in ginocchio insieme alla sua famiglia o all’interno di una scuola elementare al vedere sua moglie rasata per mano delle guardie rosse; dal subire la pubblica gogna recando un cartello con su scritto qualcosa come “Sono un pazzo” o “Sono un bastardo” all’essere ricoperto di inchiostro. Infine, oltre a essere imprigionato, ci sono state innumerevoli razzie nella sua casa.
La resistenza di He Luting è ammirevole, tanto che alla fine della Rivoluzione culturale è stato riabilitato al suo posto di direttore del Conservatorio.
Se si pensa che nel 1966, anno in cui inizia la Rivoluzione culturale in Cina, negli USA vedono la luce Pet Sounds dei Beach Boys o Paint it black dei Rolling Stones, è chiaro che per comprendere l’evoluzione della musica in Cina ci sia bisogno di uno sforzo d’intelletto maggiore rispetto ad altre parti del mondo. Se da una parte il jazz è bandito, impedendo a chiunque, per non rischiare la propria vita, un semplice riferimento ai maestri occidentali del secolo precedente in musica classica, dall’altra non c’è la minima contezza del rock e dei suoi derivati. Per quello bisogna aspettare Lin Biao, o, più precisamente, suo figlio Lin Liguo.
Qualche anno fa le “Canzoni rosse” sono tornate al centro del dibattito, per lo più sui social network. Nel 2015, infatti, la band “56 fiori” 五十六朵花 (composta da 56 giovani ragazze dai 16 ai 23 anni e omaggio alle 56 etnie cinesi) irrompe sulle scene cantando “Il sogno cinese è il più bello” 中国梦最美丽. In apparenza nulla di troppo strano, specie se si considera quanto la propaganda del presidente Xi giri da sempre intorno all’ideologia del sogno cinese.
Guardando più da vicino però pare fin troppo semplice cogliere, all’interno di una simile idea, un paio di storture piuttosto evidenti. Oltre all’uso improprio e svilente del corpo femminile, prestato a scopi politico-ideologici e propagandistici, il gruppo 56 fiori è una delle numerose dimostrazioni del soft power del Partito comunista che a molti utenti di Weibo ha ricordato sistemi nordcoreani o, appunto, quelli di nuova Rivoluzione culturale.
Per far capire la natura del messaggio propagandistico, lo scorso 14 gennaio la band ha annunciato dall’account ufficiale Weibo che quest’anno prende parte alle celebrazioni per i cento anni del Partito comunista Cinese. Difficile non indovinare quali brani interpreteranno: nuove e vecchie canzoni rosse ( 红歌).
Di Stefano Capolongo*
*Gestisce su Instagram la pagina cinesedabao, in cui racconta la musica cinese e quello che succede oggi in Cina attraverso i caratteri e i loro mutamenti