Cinque cose da sapere su Kangding:
-città principale all’interno della Prefettura Autonoma Tibetana Garze nella Provincia del Sichuan;
-ospita 100 mila abitanti, anche se la maggior parte dei tibetani vivono al di fuori del centro urbano;
-la posizione a 2600 mslm la rende una città non troppo accogliente per i forestieri;
-gli stranieri possono entrare senza bisogno di essere in gruppo e/o accompagnati da agenzie viaggi;
-il Parco Nazionale Siguniang Mountain 四姑娘山 [Sìgūniáng shān] è patrimonio UNESCO dal 2006 e una delle aree protette per i panda giganti del Sichuan
Puntate precedenti: Chongqing (I parte), Chongqing (II parte), Shenzhen, Chengdu (I parte), Chengdu (II parte)
Da Chengdu, guardando a nordovest, si vedono i monti Qionglai 邛崃山[Qiónglái Shān] toccare il loro picco a 6240 metri con Yaomei幺妹峰 [Yāomèi Fēng], una delle quattro vette del monte delle quattro sorelle. Raggiungere il parco nazionale autonomamente si potrebbe, ma una scarsa rete di mezzi di trasporto che collega Chengdu alla prefettura impedisce agli stranieri, o in generale a coloro che non possiedono un mezzo proprio, di organizzarsi in maniera del tutto autonoma. Affittare la macchina o aggregarsi a dei gruppi organizzati sembrano essere le uniche due opzioni. Nel caso non si abbia sotto casa un’agenzia viaggi, è possibile cercarla comodamente su Taobao o Xiecheng. Il gruppo di turisti cinesi resta la scelta migliore perché il pacchetto comprende: alloggio, guida, ingressi ai vari monumenti e musei, snack , bibite e sigarette gratis offerte sempre dagli Shushu di turno e foto con 3458 cinesi sconosciuti da poter mostrare a parenti e amici una volta rientrati.
Kangding si trova a 2600 metri sopra il livello del mare. È una città abbastanza piccola fatta per metà di costruzioni recenti e non ancora finite, e per metà di case un po’ diroccate in ristrutturazione. Tutta la città si sviluppa in lunghezza sulle sponde del fiume, ma molti tibetani vivono lungo le pendici dei monti in case tipiche che si affacciano a strapiombo verso valle, dando l’impressione di una calma instabilità. A tratti sembra di essere catapultati dentro 康定情歌 [Kāngdìng qínggē] “A Tibetan Love Song” di Ping Jiang. Storia d’amore durata 60 anni tra un cinese di etnia Han dell’Esercito Popolare di Liberazione – Li Sujie – e una tibetana – Dawa – durante l’arrivo, nel 1950, degli Han nella Prefettura di Garze. Un film che ci permette di esplorare la zona riflettendo i cambiamenti sociali dall’istituzione della Prefettura tibetana di Garze, elogiata attraverso la storia d’amore di due generazioni.
La strada che porta da Kangding al Tagong Temple non è delle migliori: a strapiombo sul fiume, un guardrail improvvisato, la neve occupa mezza carreggiata e l’altra metà ghiacciata dalle basse temperature. Gli autobus camminano a passo d’uomo e invece di impiegare 2 ore per arrivare a destinazione, se ne impiegano il doppio – se non di più. Ogni volta che due autobus si scontrano tutti scendono per dare il tempo agli autisti di discutere e capire chi e come procederà per primo evitando una strage. L’agitazione di tutti si respira nell’aria, tranne che per le guide e i due autisti che sembrano sapere il fatto loro.
Il Tagong temple si trova a 3000 metri e per chi non è abituato a sbalzi di altitudine potrebbe pentirsi della gita fuori porta e di non aver comprato, durante la sosta precedente, quelle che adesso sembrano aver salvato la metà dei compagni di viaggio: bombolette di ossigeno.
La zona fuori dalle mura del tempio è piena di tibetani che vendono arrosticini di Yak. La carne è tenera, morbida e gustosa. La maggior parte delle donne che stanno vicino al fuoco ad arrostire indossano una mascherina per proteggersi dal fumo. La pelle scura e gli occhi profondi brillano sotto al sole. Ci sono 5 gradi ma, dal loro abbigliamento, sembra non percepiscano la stessa temperatura dei turisti.
Il cielo è di un azzurro che si vede raramente in città. Mai probabilmente. I colori del tempio sono sgargianti come quelli delle case. Rosso, giallo, bianco, decorazioni e bandiere con preghiere tibetane. Tutto è in sintonia per trasmettere un senso di pace. La cosa che colpisce di più è il rumore: fuori il caos e dentro il silenzio. Superate le mura esterne, ci si ritrova a 3670 metri in una montagna mezza innevata del Sichuan con solo il suono delle preghiere tibetane in sottofondo. È un mantra che pervade le montagne attorno.
All’interno del parco nazionale tutto è coperto di neve e si trovano abitazioni sparse. Ci si ferma per qualche sosta e gli autogrill non sono altro che le case dei tibetani che offrono ospitalità a chi è di passaggio. Tè caldo, il fuoco acceso e una passeggiata nei loro campi. Hanno vestiti comodi e caldi, pellicce, la pelle secca sembra ustionata, non si capisce se dal freddo o dal sole. Le conversazioni vanno avanti a gesti, tranne che con la guida. Aprono le porte di casa e rendono omaggio agli ospiti offrendo la carne dei loro stessi allevamenti, poi salutano e si ritirano al piano di sopra in mini stanze adibite alle preghiere che continuano ad echeggiare nelle desolate montagne del Sichuan.
Di Martina Bucolo*
*Laurea magistrale in relazioni internazionali e comunicazione interculturale all’università di Enna (Kore). Ha insegnato cinese ai bambini di una scuola dell’infanzia tramite un progetto in collaborazione con l’Istituto Confucio di Enna. Dopo la laurea si è trasferita in Cina, dove ha insegnato italiano ai cinesi, prima a Chongqing in una scuola elementare e poi a Chengdu alla Sichuan Normal University (dove è tutt’ora)