Zhu è di Shanghai, ma giovanissima si trasferisce con la famiglia a Pechino. Xiaolu Guo è di un piccolo paesino nelle regioni meridionali cinesi. La prima è del 1949, la seconda è del 1973; le loro vite hanno dunque attraversato due fasi molto diverse del recente sviluppo cinese. La Cina — infatti — è lì: non solo sfondo tragico, ma ricettacolo di soluzioni. La storia cinese passa attraverso ma non sopra le protagoniste, capaci di raccogliere anche nei momenti più tragici quegli elementi in grado di scardinare la propria vita. È qualcosa di basilare nella cultura cinese, il compenetrarsi di elementi, la percezione che niente sia isolato, che tutto sia in relazione e che tutto sia in costante mutamento. Quale posto al mondo cercare, dunque, se si è nati in Cina? Di fronte a questa domanda avviene lo scarto più clamoroso con l’Occidente: i cinesi non cercano un obiettivo, non hanno un fine. Propendono. Le flessibilità di Xiaolu Guo e di Zhu Xiao-Mei hanno elementi di similitudine, perché entrambe trovano conforto nei momenti peggiori. E non è banale resilienza: è propensione.
ENTRAMBE — inoltre — hanno raccontato in memoir i propri passaggi esistenziali, obbligate a fare i conti con la tortuosa, a tratti violenta e quasi incomprensibile ai nostri occhi, storia cinese. Zhu Xiao-Mei l’ha fatto ne Il pianoforte segreto (Bollati Boringhieri, pp. 284, euro 18, traduzione di Tania Spagnoli), Xiaolu Guo ne I nove continenti (Metropoli d’Asia, pp. 353, euro 15, traduzione di Gaia Amaducci).
Zhu Xiao-Mei l’ha fatto ne Il pianoforte segreto (Bollati Boringhieri, pp. 284, euro 18, traduzione di Tania Spagnoli), Xiaolu Guo ne I nove continenti (Metropoli d’Asia, pp. 353, euro 15, traduzione di Gaia Amaducci).
LA PIANISTA NASCE nell’anno in cui Mao proclama l’ergersi sulla storia della Repubblica popolare cinese sulla Tiananmen. Ma se la Cina «si alza in piedi», togliendosi di dosso l’odore e gli anni delle umiliazioni e comincia la sua tortuosa corsa per dimostrarsi abbastanza mutante da diventare, oggi, la seconda potenza economica del mondo, Zhu Xiao-Mei deve passare attraverso il maoismo per trovare la propria strada. La sua famiglia, infatti, è stata catalogata come chusen buhao, «individui di cattive origini», intellettuali — hanno perfino un pianoforte in casa — e di origini borghesi a causa di attività commerciali precedenti alla Rivoluzione. È uno stigma che all’epoca è difficilmente estirpabile: un connotato politico che rischia di indirizzare la vita in direzioni poco piacevoli. Zhu impara ad amare l’arte del pianoforte, a suonare (ma non troppo per non farsi sentire dai vicini e per non destare sospetti di attitudini «borghesi» oltre quelle già affibbiate alla sua famiglia).
Dopo un primo tentativo fallito, entra nel Conservatorio di Pechino. Per lei è come «entrare in paradiso», incontro Maestro Pan, saggio insegnante, sempre in bilico tra Confucio e il daoismo, che diventa — nel futuro della giovane pianista — un’ancora di salvezza e di comprensione del mondo. Ma proprio il giorno precedente il suo saggio, in libera uscita con gli amici, Xiao-Mei commette un errore fatale: scherza sul suicidio. Attitudine borghese, disfattista, nichilista, per niente celebrativa della Nuova Cina. Qualcuno «denuncia»: per Xiao-Mei arriva la prima umiliazione, la prima autocritica e il primo passo verso l’assimilazione. Come se non bastasse tutto questo, irrompe anche la Rivoluzione culturale: un trauma epocale. Zhu scrive che «la Rivoluzione culturale mi ha dilaniata. A causa delle sedute collettive cui per anni sono stata costretta, ho sempre paura di essere criticata, non riesco a fidarmi né di me stessa né di altri. (…) Quando a dodici anni — un’età in cui non si può essere colpevoli — sei stato obbligato a fare la tua autocritica, che cosa rappresentano un amico, una persona con la quale hai un legame, se non qualcuno che domani potrebbe denunciarti o che tu potresti criticare?».
ALL’EPOCA, le parole di Mao sono incise sul cuore di ogni cinese, sono il risultato di anni di propaganda, scritte sui muri, obblighi precisi, campagne martellanti, boutade e discorsi, poesie e ordini. Da musicisti e compositori, Zhu e i suoi colleghi diventano ferventi Guardie Rosse, vanno a farsi rieducare dai contadini, Zhu frequenta diversi campi di lavoro in attesa di una chiamata a Pechino, di un lavoro; situazione complicata: in quel periodo dominano le figure proletarie e per una chusen buhao il destino non pare per niente cortese. Resiste, si presta a indagare sulle presunte attività «spionistiche‚ del padre, è a un passo da ripudiare la famiglia, denuncia altri compagni: è una Guardia Rossa perfetta, armata di Libretto Rosso.
IL CONSERVATORIO — del resto — prima diventa un posto senza musica, poi senza spartiti, infine senza studenti. Maestro Pan si trasforma nel bersaglio dei giovani fomentati dalle parole di Mao. Zhu Xiao-Mei resiste ancora e — senza quasi accorgersene — comincia a diventare flessibile. Siamo di fronte a una «flessibilità» tutta cinese, da non confondere con l’uso retorico che si fa del «giusto mezzo» confuciano. Zhu oscilla e strategicamente osserva, infine si libera. Per lei c’è di nuovo la musica, una carriera ottenuta a suon di lavoretti di ogni tipo, prima negli Stati uniti, poi in Francia. Infine, la consacrazione e la fama di grande pianista. «Se dio esiste, le chiede un giornalista durante un’intervista televisiva, che cosa vorrebbe che le dicesse?». «Sei stata abbastanza coraggiosa, vieni ti presento Bach», è la risposta di Zhu.
NEL 1973, mentre Zhu è impegnata a comprendere la sua insospettabile inclinazione a diventare un’arma di qualcosa di ben più grande di tutti i giovani cinesi dell’epoca, nasce Xiaolu Guo. Come tanti altri suoi coetanei, nasce «orfana». Da neonata è infatti affidata a una coppia di contadini che vivevano in montagna. Ma lì trova un altro rifiuto: i genitori adottivi non possono permettersi una figlia e la riportano dai nonni. Infine, una volta adolescente, tornerà alla vita con i suoi genitori, due perfetti estranei. La sensazione dell’abbandono la perseguiterà, compagna di viaggio e di confidenze. Ogni segno di normalità è ormai sbiadita: vive per molto tempo a Shitang, «lo stagno di pietra» e pur solcando tempi differenti la sua infanzia sembra molto più complicata, in termini di sostentamento, di quella di Zhu, trent’anni prima. Xiaolu Guo fa la fame. I suoi nonni fanno la fame. Tutto il suo villaggio fa la fame.
È la dura vita nella periferia della Cina che avanza, un progresso che stenta ad arrivare, a incunearsi nelle vite sospese di ragazze come Xiaolu Guo. Lei però, al contrario di tante altre, è figlia di una profezia: «la ragazzina è una paesana guerriera» dice un monaco alla nonna. E aggiunge che «attraverserà il mare e viaggerà nei nove continenti». I «nove continenti» non sono altro che la Cina «o il mondo intero. Era una metafora perché ben poche persone si erano spinte negli anfratti più lontani dell’Impero». Prima di navigare alla ricerca dei nove continenti, però, la storia passa davanti alla inconsapevole Xiaolu. Il processo alla Banda dei Quattro, che lei vive da ragazzina e che sancirà la «liberazione» di Zhou Xiao-Mei (costretta — all’epoca — a esercitarsi sugli spartiti imposti proprio dalla leader della Banda, la moglie di Mao) diventa un passaggio fondamentale, la percezione di un ingranaggio che va a scattare, come la consapevolezza improvvisa del significato proprio cognome, spiegato dalla nonna: «fuori dalla prime mura della città».
NEI TEMPI ANTICHI i popoli costruivano due cerchi di mura intorno alla loro città: «Guo è lo spazio tra queste due cerchie, una zona intermedia». Un mondo superato dopo il 1989 quando passato il massacro di Tiananmen «i giovani diventarono visibilmente indifferenti alla politica e pragmatici. Volevano tutti tirare avanti, finire gli studi, trovare un posto fisso e sopravvivere». Non è un caso che sia Xiaolu Guo, sia Zhou Xiao-Mei trovino la propria «Strada», dopo due eventi generazionali devastanti: la Rivoluzione culturale e le proteste del 1989. Quando il pendolo stabilisce la propensione, quando la propensionesuggerisce di attendere, osservare quanto accade e infine trasformare a proprio vantaggio una situazione. Ben sapendo che questa mutazione ne darà luogo a nuove.
[Pubblicato su il manifesto]Fondatore di China Files, dopo una decade passata in Cina ora lavora a Il Manifesto. Ha pubblicato “Il nuovo sogno cinese” (manifestolibri, 2013), “Cina globale” (manifestolibri 2017) e Red Mirror: Il nostro futuro si scrive in Cina (Laterza, 2020). Con Giada Messetti è co-autore di Risciò, un podcast sulla Cina contemporanea. Vive a Roma.