QAnon, la teoria del complotto balzata ai vertici della popolarità sui social media americani grazie alla complicità di una pandemia mondiale e alla condiscendenza di Trump, non è più un fenomeno esclusivamente a stelle e strisce. Certo, è Made in USA, “grazie” al successo dell’account di un individuo noto come “Q”, che dal 2017 pubblica su diverse piattaforme frasi sibilline puntando il dito contro personaggi di spicco – soprattutto della politica – accusandoli di pedofilia, piani di genocidio nei confronti della popolazione americana e altre “atrocità in arrivo”. Oggi QAnon si sta espandendo a livello internazionale, inglobando le più disparate teorie del complotto che ruotano intorno a supposte azioni malvagie architettate dalle élites politiche ed economiche ai danni dei cittadini comuni.
Curiosamente, è proprio il Giappone uno dei paesi in cui emerge questa comunione di teorie, insieme a Brasile e Regno Unito. La società di analisi Graphika Inc. ha rilevato un trend crescente e strutturato della comunità QAnon nel paese asiatico, dove la celebre teoria del complotto si arricchisce di tratti autoctoni. L’anello di congiunzione con gli Stati Uniti è Michael Flynn, ex consigliere per la sicurezza nazionale USA dell’amministrazione Trump. L’uomo aveva prestato servizio solo 24 giorni nel 2017 e si era dimesso confessando di aver mentito al vicepresidente Mike Pence sulle comunicazioni con l’ambasciatore russo. Il politico è stato “graziato” da Trump nelle scorse settimane, mossa annunciata tramite un tweet dove il presidente si congratulava con Flynn e la sua famiglia augurandogli una piacevole Giornata del Ringraziamento. Se la notizia da un lato è stata molto criticata – “Donald Trump abusa ripetutamente del potere di concedere la grazia agli amici che hanno coperto le sue malefatte” hanno risposto i democratici – dall’altro lato la figura di Flynn è stata “riscattata” dalla comunità QAnon come simbolo di vittoria dei giusti contro un non ben noto establishment “ombra”. Lo stesso Flynn contribuisce ad alimentare questo mito, per esempio rispondendo poche ore dopo al tweet di Trump con una citazione della Bibbia: “Combatteranno contro di te ma non ti vinceranno, perché io sono con te e ti libererò”.
Secondo la ricerca della nota società di analisi dei social media, il Giappone ospiterebbe una comunità ben organizzata di sostenitori di QAnon che accoglie di buon grado tutte le teorie del complotto intorno al “deep state” di Tokyo. Si tratterebbe di un gruppo ben definito e in crescita, con una serie di iniziative strutturate volte a rendere fruibili le informazioni diffuse dal QAnon americano ai cittadini giapponesi.
E starebbe avendo successo. In poche ore una versione tradotta in giapponese di un noto video diffuso da Q su YouTube ha raccolto oltre 200.000 visualizzazioni, prima di venire eliminato per violazione dei contenuti. A partire da aprile è cresciuto anche il numero di follower degli account più seguiti, superiore a quello registrato in Regno Unito, che invece è calcolato in totale sui 10-11 mila follower. Il solo account Twitter di Eri Okabayashi, che si definisce la fondatrice del movimento QArmyJapanFlynn e rivendica la traduzione autentica dei contenuti diffusi da Q dal 2019, ha oltre 80 mila follower. Il linguaggio ripreso dai seguaci della versione giapponese di QAnon si rifà agli slogan più diffusi, tra cui #WWG1WGA (Where we go one, we go all), che dimostra un certo livello di solidarietà e collaborazione tra i netizen QAnon di tutto il mondo.
Per arginare la censura i contenuti vengono pubblicati sui siti e sui social media più disparati, come Twilog, un servizio simile a WordPress che salva i post di Twitter in formato blog e che gli utenti possono commentare. Tra i post più recenti dell’utente QArmyJapanFlynn, un invito a sostenere Taro Yamamoto, nella speranza di vederlo primo ministro. Il politico, un tempo famoso attore noto per il suo ruolo nel film “Battle Royale”, è entrato in politica dallo scorso anno diventando leader del partito anti-establishment Reiwa Shinsengumi. Oggi rappresenta un raro caso di populismo di sinistra in un paese ancora apparentemente immune a questo fenomeno. Anche 8kun.net è una delle sedi virtuali dei contenuti della QArmyJapanFlynn. Evoluzione del celebre 8chan, chiuso in agosto per aver ospitato l’annuncio di alcune sparatorie che causarono decine di vittime, è ora diffuso anche nel dark web e continua a essere sede dei contenuti di gruppi di estrema destra.
Il fenomeno è, per sua natura, ancora indefinito in quanto esiste soprattutto nel mondo digitale. Esso risulta difficile da tracciare, nascondendosi anche tra le maglie degli algoritmi dei più noti social media che contribuiscono a fare da cassa di risonanza alle diverse teorie del complotto che oggi si riconoscono sotto la definizione di “QAnon”.
In un’intervista via e-mail pubblicata dal South China Morning Post, Okabayashi si è descritta come “una laureata di una città di medie dimensioni in Giappone, che non ha mai vissuto all’estero ma ha imparato l’inglese da autodidatta”. Come si legge nell’intervista, il suo interesse per QAnon deriva in gran parte dai profondi dubbi sull’approccio del Giappone nei confronti del genere femminile e, in particolare, della maternità. L’insieme di teorie che unisce il QAnon americano a quello giapponese si arricchisce di elementi autoctoni e diffusi già tra i netizen giapponesi, come l’accusa dell’esistenza di un “deep state” straniero che manovra il governo in carica e avrebbe come fine ultimo lo sterminio della “razza giapponese”. Secondo Okabayashi questa teoria avrebbe un riscontro reale, per esempio guardando a come il sistema sociale ed economico giapponese avrebbe portato a una netta riduzione del tasso di natalità negli ultimi decenni.
Il premier Yoshihide Suga sarebbe un altro membro di questa cabala. Egli non avrebbe mai ottenuto gli alti livelli di approvazione pubblicati dai media mainstream, e sarebbe stato messo apposta al vertice del governo in quanto sostenitore di queste “forze oscure”. Tra le altre figure influenti finite sotto lo scrutinio del QAnon giapponese c’è l’imperatore Akihito, che avrebbe architettato i due bombardamenti nucleari di Hiroshima e Nagasaki. Le principali figure politiche dell’esecutivo giapponese sarebbero inoltre coinvolte nel disastro nucleare di Fukushima del 2011, tematica molto sensibile nel dibattito pubblico. E non mancano le teorie contrarie ai futuri vaccini anti-Covid19.
Che cosa succede invece in un altro grande player regionale come la Cina? Il tema di QAnon è emerso più volte sui media cinesi, dove si discute tramite le piattaforme WeChat e Weibo dell’espansione globale della teoria del complotto e di come Trump abbia contribuito ad alimentare alcune delle macchinazioni del gruppo. Proprio questo elemento, insieme alla nota rapidità di Pechino nell’identificare contenuti online “controversi”, avrebbe invece contribuito a rendere la storia di QAnon per i cinesi più una barzelletta, metafora del declino di Donald Trump, che un’ipotesi da prendere sul serio. Difficile anche in questo caso comprenderne la dimensione effettiva, proprio perché molti argomenti in Cina – in particolare la critica alle autorità politiche – rimangono nella dimensione del privato e si manifestano su internet solo mediante meccanismi molto più complessi.
L’espansione del fenomeno QAnon mette ancora una volta in dubbio un dibattito importante tanto in Asia quanto in Occidente: i limiti della libertà di espressione su internet. In Giappone le teorie del complotto sono punibili nel quadro della legge antiterrorismo del 2017, ma il dibattito rimane acceso in quanto la restrizione dei contenuti su internet viene interpretata come una violazione delle libertà civili.
Formazione in Lingua e letteratura cinese e specializzazione in scienze internazionali, scrive di temi ambientali per China Files con la rubrica “Sustainalytics”. Collabora con diverse testate ed emittenti radio, occupandosi soprattutto di energia e sostenibilità ambientale.