In Cina e Asia – I membri del Pcc nel mirino degli Usa

In Notizie Brevi by Alessandra Colarizi

Che non sarebbe stata una transizione facile si sapeva. A un mese dalla disfatta delle presidenziali americane, l’amministrazione Trump continua a gettare benzina sul fuoco che divampa tra le due sponde del Pacifico. Solo nelle ultime 48 ore Washington ha annunciato un nuovo ventaglio di misure potenzialmente in grado di compromettere ulteriormente i rapporti con Pechino, complicando il lavoro a Joe Biden. Come preventivato, a finire nel mirino sono i membri del Pcc, le aziende cinesi quotate negli States e l’organizzazione paramilitare Xinjiang Production and Construction Corps (XPCC), uno dei principali produttori cinesi di cotone accusato di sfruttare il lavoro forzato delle minoranze etniche nella regione autonoma uigura. Le autorità doganali hanno annunciato lo stop alle importazioni di fibre di cotone realizzate dall’XPCC, un’impresa quasi impossibile considerando la difficoltà nel rilevare la provenienza dei materiali all’interno del prodotto finito. Sempre nella giornata di ieri la Camera ha approvato una bozza di legge che – una volta firmata da Trump – obbligherà le società cinesi quotate in Americana ad aderire agli standard contabili americani entro tre anni. Pena l’espulsione. La decisione segue l’improvvisa sospensione dell’Ipo di Ant Group, lo scandalo Luckin Coffee e le proteste contro Danke, startup del real estate quotata al New York Stock Exchange. Come fa notare Reuters, il provvedimento “va oltre la salvaguardia degli investitori e prende di mira esplicitamente il sistema politico cinese, richiedendo alle aziende di identificare i funzionari del Pcc presenti nel board. Da diversi mesi correva voce di un possibile ban contro i membri del Pcc. Proprio ieri, contestualmente alla stretta sul mercato finanziario, il dipartimento di Stato americano ha rivelato nuove restrizioni sul rilascio dei visti di categoria B1/B2 (per affari, turismo o per cure mediche), che per i membri del Pcc e i loro familiari avranno durata ridotta da 10 anni a 1 mese con possibilità di un unico ingresso. Motivo? Difendere gli Stati Uniti dalle “influenze maligne”. Benché le nuove misure non condizionino l’accesso ad altri tipi visti (come i visti immigranti), la nuova politica potrebbe influenzare potenzialmente gli spostamenti di circa 270 milioni di persone. In pratica, fatta eccezione per gli alti papaveri, risulta difficile individuare i tesserati, considerando che il Pcc conta oltre 90 milioni di adepti. Solo pochi giorni fa il ministero degli Esteri cinesi aveva denunciato controlli discriminatori sul personale cinese aereo e delle spedizioni marittime per verificarne l’affiliazione politica. Condannando le restrizioni sui visti, la portavoce del dicastero ha parlato di “pregiudizi ideologici” puntando il dito contro “forze estremiste anti-Cina”. D’altronde sotto la lente americana non c’è solo il Pcc. Sono almeno 2000 i ricercatori cinesi a cui è stato revocato il visto a causa dei presunti rapporti con l’Esercito popolare di liberazione. [fonte Reuters, SCMP]

Altri sviluppi recenti:

– John Ratcliffe, direttore dell’Intelligence nazionale, ha pubblicato sul WSJ un editoriale in cui definisce per la prima volta la Cina “il pericolo n°1 per la sicurezza nazionale”. “L’intelligence è chiara: Pechino intende dominare gli Stati Uniti e il resto del pianeta economicamente, militarmente e tecnologicamente”, scrive Ratcliffe.

Il dipartimento della Difesa ha aggiunto alla sua blacklist i colossi cinesi Semiconductor Manufacturing International Corp (SMIC) e China National Offshore Oil Corp (CNOOC). Accusate di sviluppare tecnologia civile con potenziali applicazioni militari, le due aziende sono coinvolte rispettivamente nel consolidamento di un’industria nazionale dei semiconduttori e nelle esplorazioni energetiche nelle acque contese del Mar cinese meridionale. L’inclusione nella lista nera precluderà agli investitori americani la possibilità di acquisire quote delle due società.

Gli Usa stanno negoziando il rilascio di Meng Wanzhou?

A distanza di due anni dall’arresto di Meng Wanzhou, CFO di Huawei, le autorità giudiziarie americane starebbero negoziandone un rilascio in cambio dell’ammissione degli illeciti. Un compromesso che permetterebbe il rimpatrio della donna ora ai domiciliari a Vancouver in attesa che le autorità canadesi valutino la richiesta di estradizione di Washington. Formalmente Meng è accusata di frode bancaria, ma il suo caso è legato a doppio filo alla campagna internazionale lanciatoadall’amministrazione Trump contro il colosso cinese delle telecomunicazioni. Il raggiungimento di un’intesa avrà verosimilmente ripercussioni positive sul caso di Michael Spavor e Michael Kovrig, i due cittadini canadesi arrestati per spionaggio subito dopo il fermo di Meng. [fonte SCMP]

Dalla Cina il computer quantistico più veloce al mondo

Gli scienziati cinesi hanno costruito un computer quantistico quasi 100 mila miliardi di volte più veloce del supercomputer più avanzato del mondo. E’ quanto sostiene una ricerca pubblicata su Science e ripresa dalla stampa statale, secondo la quale i ricercatori hanno costruito un prototipo di computer quantistico in grado di rilevare fino a 76 fotoni attraverso il campionamento del bosone gaussiano, un algoritmo in grado di svolgere un compito computazionale intrattabile per un computer tradizionale processando – nello stesso momento, attraverso il calcolo parallelo – più soluzioni ad un singolo problema anziché svolgere calcoli sequenziali come avviene ora. La Cina aveva già messo in chiaro le proprie ambizioni a riguardo avviando la costruzione di un laboratorio nazionale per le scienze dell’informazione quantistica da 13,33 miliardi di dollari. [fonte Reuters]

Tre misteriose aziende dietro al caos di Wuhan

A circa un anno di distanza dall’inizio dell’epidemia da coronavirus – o quantomeno dall’identificazione dei primi casi accertati – , continuano ad emergere nuovi dettagli su quei primi mesi di pasticci e insabbiamenti vari. Secondo un’inchiesta di AP, parte del caos e dei ritardi iniziali va attribuito alla scarsa attendibilità dei primi test kit che – stando a una quarantina di insider del personale sanitario – sono stati realizzata da tre aziende di Shanghai, completamente sconosciute, scelte sulla base di favoritismi e contatti interpersonali: GeneoDx Biotech, Huirui Biotechnology, e BioGerm Medical Technology hanno comprato a caro prezzo (146.600 dollari ciascuna) la licenza necessaria corrompendo il Centro per la prevenzione e la cura delle malattie. L’assenza di nuovi casi tra il 5 e il 17 gennaio trova spiegazione in una lunga serie di falsi negativi imputabili proprio alla cattiva qualità dei tamponi oltre che all’incapacità di produrre la strumentazione necessaria in numero sufficiente. Allora il virus era già in circolo da almeno un mese se non di più. Prima che il cluster di Wuhan venisse identificato, infatti, secondo documenti sanitari ottenuti dalla CNN, altre città dello Hubei erano state travolte da un numero anomalo di casi di influenza, pari circa venti volte quanto diagnosticato l’anno precedente. Difficile stabilire se si trattasse di Covid -19. Ma sono sempre di più gli indizi a scagionare il mercato ittico di Wuhan, riconducibile solo a un terzo delle primissime infezioni. Intanto, prosegue la corsa al vaccino. Nella tra ieri eoggi il governo cinese ha comunicato che entro fine anno saranno disponibile 600 milioni di dosi e che verrà completata la vaccinazione di tutta la popolazione a rischio, tra 18,5 e 31 milioni di persone. Sinora il piano emergenziale ha previsto la distribuzione del vaccino a 1 milione di persone su base volontaria. [fonte AP, CNN, SCMP]

Covid: cresce il gap economico tra Nord e Sud della Cina

Con l’epidemia, aumenta il divario economico tra nord e sud della Cina. Tutti i centri urbani a nord del fiume Yangzte, ad eccezione di Pechino, sono in relativo declino a causa di una maggiore forza economica nel sud del Paese, tradizionalmente più dinamico. Secondo i dati del governo, la capitale è l’unica città settentrionale a figurare tra le prime dieci in termini di dimensioni economiche. Persino Tianjin, posta sotto l’amministrazione diretta del governo centrale, ha perso per la prima volta posizioni scivolando fuori dalla top 10. Mentre la Cina punta a uno “sviluppo regionale coordinato” per il 2021-25, gli investitori privati, le banche e anche i lavoratori del settore tecnologico scelgono il meridione come destinazione lavorativa. La polarizzazione mostra come la maggior parte del Paese stia lottando a causa dell’impatto economico della pandemia di coronavirus, dell’invecchiamento della popolazione e dell’aumento del debito, rendendo l’economia cinese vulnerabile agli shock. Il declino economico del nord della Cina potrebbe avere impatti di vasta portata sulle strategie nazionali, dalla Belt and Road Initiative al nuovo mantra della “doppia circolazione” che mira a rendere il mercato interno motore della crescita futura. [fonte  SCMP]

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