È difficile comprendere la città cinese con gli occhi di un europeo. Nelle ultime settimane in Italia sono state avviate diverse iniziative volte ad analizzare il tema dell’urbanizzazione in Cina, complice la concomitanza di eventi per le celebrazioni del cinquantesimo anniversario delle relazioni diplomatiche tra i due paesi e il – purtroppo rimandato – anno del turismo Italia-Cina. Per l’occasione il Museo d’Arte Orientale di Torino, il MAO, ha inaugurato la mostra China Goes Urban, che si pone l’obbiettivo di portare il visitatore davanti alla realtà dell’urbanizzazione “con caratteristiche cinesi”.
Affrontare questa tematica richiede una visione d’insieme, un’analisi strutturale del fenomeno che ingloba allo stesso tempo dinamiche economiche, culturali, sociali e politiche. La rapida evoluzione dell’ecosistema urbano in Cina ha dato vita a un nuovo paradigma che rappresenta uno degli elementi centrali per comprendere passato, presente e futuro di uno dei paesi più influenti oggi.
China Goes Urban riprende la storia e l’evoluzione di quattro città, tra loro nessuna “celebrità” che il visitatore potrebbe aspettarsi di vedere, come le megalopoli di Pechino o Shanghai. Le “new towns” di Tongzhou, Zhaoqing, Zhengdong e Lanzhou vengono mostrate sotto i vari aspetti della progettazione a tavolino fino ad arrivare ai dilemmi della modernità, della qualità dell’individuo all’interno della città diventata simbolo del progresso della nazione, ma anche delle sue contraddizioni.
La chiusura degli spazi della cultura dovuta all’emergenza sanitaria non ha fermato la programmazione degli eventi, aperti a tutti e consultabili attraverso il sito della mostra che al canale YouTube del museo.
China Files ha intervistato uno degli ospiti degli ultimi eventi, il professore Daniele Brombal, docente dell’università Ca’ Foscari di Venezia. Il suo campo di ricerca è la rete di rapporti tra società civile e stato in relazione all’ambiente, delineata nell’ultimo suo lavoro di ricerca attraverso il discorso accademico cinese circa il concetto di sostenibilità.
Parliamo dell’urbanizzazione in Cina: come si è passati dai nuclei originari dei centri urbani alle megalopoli che oggi conosciamo?
È stata una transizione molto rapida. È avvenuta a partire dagli anni ’80, con un’accelerazione all’inizio del nuovo millennio. Vi hanno contribuito fattori di natura diversa. Dal punto di vista economico, l’urbanizzazione è legata strettamente al ruolo trainante della manifattura, del settore delle costruzioni e – più di recente – di quello dei servizi nello sviluppo del paese. Sul piano più strettamente politico e ideologico, la città esprime una visione precisa di futuro e modernità, che assume in Cina una forte connotazione urbana.
Il paesaggio è sempre stato una componente essenziale dell’evoluzione delle correnti di pensiero in Cina, così come le interconnessioni tra ambiente e uomo. Come si riflette questo rapporto degli individui con la rapida evoluzione delle megalopoli?
Città e infrastrutture non crescono su una tela bianca, né riempiono uno spazio vuoto. Macinano e ricoprono interi territori, popolati da esseri umani e più che umani (piante, animali), costellati di villaggi, fiumi, boschi, campi coltivati, strade e tratturi. È tutto un mondo a venire inghiottito dalle città. L’abbiamo già visto in molte parti del mondo, Italia compresa, ma in Cina tutto questo avviene su scala più ampia e con maggiore rapidità. Ciò si traduce in una perdita irreversibile di diversità culturale e biologica. Viene inevitabilmente intaccata la trama del paesaggio e il tessuto di relazioni fra esseri umani e ambiente naturale che genera, nutre e caratterizza i luoghi.
Parliamo della storia dietro all’idea di città in Cina, prima roccaforte delle élites e oggi elemento caratterizzante del “benessere”: queste narrative sembrano coesistere, anche se la prima viene quasi esclusivamente richiamata nel mondo letterario, mentre la seconda sembra centrale nel discorso politico. Secondo lei in che direzione sembra tendere il dibattito sull’urbanizzazione oggi?
La contraddizione fra il futuro distopico raccontato da parte della letteratura di sci-fi cinese e quello prospettato dal discorso politico dominante è solo apparente. Mi sembra che in entrambi i casi sia centrale il motivo di come garantire la sopravvivenza degli esseri umani su un pianeta dove scarsità di risorse e sconvolgimenti climatici rendono le cose molto complicate.
Il tema dell’efficienza affiora costantemente, come del resto gli strumenti attraverso cui raggiungerla: tecnologia, controllo sociale e una moralità contestuale, ridefinita sulla base della necessità. La Cina ha una lunga tradizione a riguardo, basti pensare alla politica del figlio unico, la prima politica di sostenibilità del paese.
Qual è il ruolo della società civile nel contesto urbano in Cina?
È variegata, sia in termini organizzativi che di agenda. Da un lato le attività della società civile hanno colmato le carenze dello Stato nell’erogazione di servizi sociali nelle città in rapida espansione. Un esempio è quello dei servizi educativi garantiti da molte organizzazioni ai figli dei migranti, privi di hukou urbano. Il valore di queste attività è stato gradualmente riconosciuto dalle autorità statali.
D’altro canto, uno dei fenomeni più caratterizzanti degli ultimi vent’anni è stato quello delle proteste per la demolizione di vecchi quartieri, con le connesse rilocazioni di popolazione. Talvolta, queste forme di attivismo sono nate in comunità di lavoratori arrivati dalle campagne, che hanno creato comunità vivaci e coese in aree oggetto di progetti di espansione edilizia. In questi casi, alle rivendicazioni di tipo economico se ne sono affiancate altre, di tipo culturale e politico (è il caso di Picun, sobborgo di Pechino). Queste espressioni di attivismo trovano difficoltà ad affermarsi nella Cina di oggi, in virtù dell’irrigidimento del controllo sociale perseguito dalla leadership in carica.
La sfida lanciata da Xi Jinping per l’abbattimento delle emissioni entro il 2060 è una notizia che ha fatto il giro del mondo, e ancora sono incerte le effettive declinazioni di questo annuncio. Come interpreta questa mossa? In quale direzione vuole andare Pechino?
La direzione è quella già intrapresa da anni e prevede un progressivo disaccoppiamento della crescita economica dall’aumento di emissioni climalteranti. Molte città hanno modificato la propria pianificazione così da coniugare crescita economica e un ambiente pulito e gradevole alla vista, considerato un volano per attrarre investimenti, residenti e turismo. Vengono messe molte etichette diverse a queste pratiche, ma l’idea è essenzialmente quella della green economy. È un approccio tipico della sostenibilità debole: l’orizzonte futuro rimane dominato dall’idea della crescita materiale, ma si cerca di mitigarne i danni usando le risorse con maggiore efficienza.
Formazione in Lingua e letteratura cinese e specializzazione in scienze internazionali, scrive di temi ambientali per China Files con la rubrica “Sustainalytics”. Collabora con diverse testate ed emittenti radio, occupandosi soprattutto di energia e sostenibilità ambientale.