Un’amicizia che dura da cinquant’anni

In Cina, Economia, Politica e Società by Redazione

Quest’anno la normalizzazione delle relazioni diplomatiche tra la Repubblica Italiana e la Repubblica Popolare Cinese compie cinquant’anni. Storicamente la presenza cinese in Italia risale al 1926, anno a partire dal quale diverse centinaia di commercianti ambulanti originari del Zhejiang vi si trasferirono dalla Francia e da altri paesi europei, finendo per stabilirsi soprattutto a Milano, in via Canonica, in quel che era allora un quartiere fuori porta detto “il borgo degli ortolani”, dove iniziarono a produrre e commercializzare articoli in finta pelle e cravatte in seta. Ma la prima immigrazione cinese in Italia in termini numerici importanti avviene solo dagli anni Ottanta, quando si rinsaldano i legami tra i lignaggi protagonisti delle ondate migratorie dell’anteguerra con quelle innescate dalle riforme introdotte da Deng Xiaoping. Prima di allora i cinesi presenti sul territorio nazionale dal dopoguerra erano rimasti in poche centinaia, mentre nel corso degli anni Novanta e Duemila il loro numero crescerà fino a raggiungere gli attuali centomila residenti. La principale regione cinese d’origine rimane il Zhejiang e principalmente i territori di Wenzhou (distretti di Ouhai, Rui’an e Wencheng) e di Lishui (distretto di Qingtian).

Se fino ai primi anni Duemila i cinesi venivano in Italia soprattutto alla ricerca del lavoro e di opportunità di fare affari, a partire dagli anni Duemiladieci si rafforza la presenza di studenti cinesi nelle università italiane, soprattutto a Milano, Torino, Roma e Perugia, e di colletti bianchi e dirigenti nelle grandi multinazionali cinesi come Huawei che si hanno stabilito alcune delle loro filiali in Italia.
La convivenza dei cittadini cinesi con il resto della popolazione è stata sostanzialmente buona e priva di reali problemi, eccetto alcuni momenti di incomprensione ed a volte anche di tensione in contesti dove la presenza e l’incidenza della popolazione cinese è maggiore e più concentrata, come a Milano nel 2007 e a Prato nei primi anni Duemiladieci. Oggi queste tensioni si sono in ampia misura risolte, soprattutto in Norditalia, ma l’eco mediatica di queste vicende, favorita da una certa stampa piuttosto propensa una visione sterotipata e pregiudizievole delle minoranze, può aver indotto l’impressioni che cinesi ed italiani siano molto diversi, o addirittura incompatibili. In realtà tante incomprensioni nascono dalla barriera linguistica, che per molti immigrati cinesi di prima generazione è spesso insormontabile. Chi non soffre più di queste difficoltà comunicative, essendo nato o cresciuto in Italia come i sempre più numerosi immigrati cinesi di seconda generazione, tende invece a ritrovare entro la propria doppia afferenza culturale più somiglianze che differenze. Italiani e cinesi, al di là delle differenze, hanno molto in comune.

Ad esempio, italiani e cinesi entrambi eredi di una tradizione storiografica millenaria ed hanno preservato importanti caratteristiche del proprio illustre passato. Si pensi a come la tradizione giudaica e greco-romana, diffusa e radicatasi in tutto il mondo mediterraneo sotto l’Impero Romano, abbia poi plasmato il pensiero europeo e le istituzioni di tutto l’Occidente, o a come la tradizione confuciana appaia ancora tanto radicata nel popolo cinese dopo duemilacinquecento anni. Si pensi al Diritto Romano, così all’avanguardia già millenni fa e così importante ancora ai giorni nostri da essere preso come esempio per la giurisprudenza di moltissime nazioni, compresa quella cinese.

Gli hanzi, i caratteri cinesi, sono la singolare forma di scrittura che ha permesso, per oltre duemilacinquecento anni, al wenyanwen, (lett. “lingua grafica”, il cinese classico), a cittadini cinesi di diverse regioni e parlanti lingue e dialetti diversi di comunicare fra loro. Questa lingua scritta ha garantito una straordinaria continuità culturale alle antiche dinastie cinesi ed è stata il fondamentale strumento del loro apparato burocratico e amministrativo. Questa scrittura ha attraversato tremila anni di evoluzione grafica rimanendo sostanzialmente fedele a sé stessa, tanto che anche la semplificazione dei caratteri cinesi introdotta nel secolo scorso, finalizzata a facilitare l’apprendimento della scrittura da parte di oltre il 90% della popolazione cinese in pochissimi anni, non ne ha intaccato le caratteristiche fondamentali. Il cinese classico ha ceduto il posto al cinese moderno, ma quest’ultimo conserva ampie tracce del retaggio ereditato dalla lingua colta dei letterati imperiali.

In modo analogo, anche il latino è stata non solo la lingua dei romani, ma anche la lingua comune dell’Europa per secoli, e la lingua colta per eccellenza della scolastica medievale e della rivoluzione scientifica. Malgrado il latino abbia gradatamente lasciato il posto a lingue europee di derivazione latina come il francese, lo spagnolo, il portoghese e il romeno, la letteratura della classicità scritta in lingua latina e greca hanno conservato il retaggio del mondo antico ben oltre il crollo dell’Impero Romano d’Occidente.

La morale confuciana dell’armonia e del bene comune nella società non è così diversa dalla concezione che i romani avevano della “res publica”, bene comune da preservare e migliorare che anche al giorno d’oggi informa l’etica pubblica delle istituzioni occidentali. La stessa influenza che hanno avuto la cultura greco-romana e quella italiana del Rinascimento in Occidente, l’ha avuta la cultura e la tradizione cinese in Oriente, di cui è rimasta testimonianza nell’uso dei caratteri cinesi e delle bacchette per mangiare in Vietnam, Corea e Giappone.

Un’altra somiglianza importante è quella legata ai nomi o meglio ai cognomi. I romani dell’antica Roma trasmettevano il nomen della propria gens, ovvero del proprio lignaggio, come i cinesi trasmettono il cognome (xìng) della famiglia già Duemila anni fa, cosa che pochissime altre popolazioni facevano a quell’epoca. Questa usanza è ormai egemone a livello mondiale. Così anche il ruolo attribuito alla famiglia e all’amore filiale appare particolarmente forte in entrambe le culture, valori quanto mai importanti oggi che l’invecchiamento della popolazione è uno dei fattori più significativi della demografia italiana come di quella cinese.
Se in Cina si attribuisce grande importanza alle relazioni di reciprocità, le cosiddette guānxi, anche in Italia le relazioni costruite nel tempo da una persona o dai propri famigliari sono fondamentali per il successo della propria vita sociale, mentre questo aspetto è sicuramente molto meno radicato in altre parti del mondo. I legami parentali, in entrambe le culture, e qui in Italia più nella parte meridionale della penisola che nella parte settentrionale, sono particolarmente forti, tanto da considerare parenti stretti quelli di secondo o terzo grado.

Il sedimentarsi in Italia di una forte minoranza cinese ha permesso a moltissime persone di origine cinese di immergersi in una cultura e storia affascinante, i cui giganti – Dante, Leonardo Da Vinci, Galileo Galilei o Marconi – sono famosi in tutto il mondo. Italiani furono anche i principali artefici di una migliore comprensione della Cina in Occidente, come Marco Polo e Matteo Ricci. Quello tra Italia e Cina è un incontro tra grandi civiltà, dalla cui collaborazione sono nate e possono nascere ancora magnifiche opportunità per contribuire al progresso dell’umanità: una storia ancora tutta da scrivere ed ognuno di noi può e deve esserne protagonista.

Se guardiamo a questi ultimi quarant’anni di storia dell’immigrazione cinese in Italia, possiamo dire che l’immagine sociale dei cinesi in Italia è cambiata radicalmente. Negli anni Novanta i cinesi erano considerati ancora come persone che venivano da un paese povero ed arretrato. Allora i cinesi in Italia erano considerati grandi lavoratori, ma non necessariamente bravi imprenditori. I ristoranti cinesi erano reputati locali low cost e l’offerta effettivamente era ancora molto scarsa rispetto ad oggi.

A partire dagli anni Duemila i cinesi cominciarono a essere considerati abili commercianti, oltre che grandi lavoratori. Ma commercializzavano prodotti di fascia bassa e la comunità cinese era considerata “molto chiusa”. In realtà la comunità cinese non è mai stata chiusa, vi sono sempre state tante interazioni tra la comunità cinese e la società italiana, tuttavia la comunità cinese era incapace di raccontarsi all’esterno in modo efficace, rafforzando la sensazione di un isolamento che non c’era. Gli amici che conoscono di più i cittadini cinesi che vivono in Italia in realtà conoscono bene l’ospitalità cinese.

La Cina grazie alle Olimpiadi del 2008 prima, e dell’Expo di Shanghai del 2010 poi, si è fatta conoscere al mondo come paese sempre più importante nel contesto internazionale. Un paese che non produce solo giocattoli e vestiti a basso costo, ma anche prodotti di meccanica ed elettronica sempre più sofisticati. Questo ha giovato all’immagine dei cittadini cinesi residenti in Italia, ormai considerati non più come cittadini che vengono da un paese povero ed arretrato, ma come interlocutori importanti con i quali instaurare rapporti di affari.

Tuttavia, per promuovere una sana comprensione reciproca tra società italiana e la comunità cinese, favorendo un dialogo in grado di limare incomprensioni, mancavano ancora in seno alla comunità cinese soggetti capaci di dialogare efficacemente con le istituzioni e con la cittadinanza tutta. Un dialogo assolutamente necessario, dal momento che in ambito mediatico dilagavano ancora pregiudizi e stereotipi. Spesso e volentieri si sono diffuse inopinatamente anche grossolane falsità ai danni della comunità cinese.

È a partire da questa esigenza che sono nate diverse associazioni promosse dalle seconde generazioni cinesi in Italia, come Associna e Uniic prima ed Ugic ed altre associazioni poi, che hanno iniziato a dialogare con i media e con le istituzioni italiane. Oggi davvero non è più possibile sostenere che la comunità cinese sia chiusa, autoreferenziale e “silenziosa” – ed effettivamente lo si sente dire sempre meno rispetto a prima.

Dal punto di vista personale, come persona attiva nelle più significative associazioni delle seconde generazioni cinesi in Italia fin dalla loro nascita, penso che uno dei momenti più importanti sia stato quello del ricorso al TAR contro il provvedimento ZTL merci del Comune di Milano in Via Paolo Sarpi vinto dall’UNIIC nel 2013, un’iniziativa appoggiata da 300 commercianti cinesi ed anche da diversi commercianti italiani della zona Paolo Sarpi. Questo evento di fatto inaugurò una nuova fase di dialogo con le istituzioni milanesi e con i mass media, soggetti che fino a quel momento erano rimasti sostanzialmente sordi alle legittime richieste di equo trattamento dei commercianti cinesi, che lamentavano il fatto di essere bersaglio di iniziative selettive e arbitrarie, non in linea con le regole vigenti in altre aree residenziali e commerciali di Milano.

L’Expo del 2015 a Milano è stato un altro momento fondamentale, quando i tre padiglioni cinesi – e la Rpc fu allora l’unico paese a partecipare con ben tre padiglioni – avevano sbalordito l’opinione pubblica italiana per la loro bellezza. Sono state tantissime le aziende cinesi venute in visita a Milano durante l’Expo, come tantissimi furono i comuni cittadini che hanno animato in quell’anno un massiccio flusso turistico dalla Cina. In quella occasione il Consolato Generale della Repubblica Popolare Cinese a Milano ha svolto un lavoro capillare di rappresentanza sul territorio, coadiuvato dalle associazioni cinesi impegnate ad aiutare a ricevere le varie delegazioni provenienti dalle tante regioni e municipalità cinesi.

Un altro passaggio chiave è stato quello della partecipazione dei cittadini di origine cinese alle elezioni comunali del 2016: partecipazione appoggiata da tutte le associazioni cinesi a Milano, che hanno così dimostrato la capacità e lungimiranza di essere unite nel promuovere la partecipazione alla vita pubblica e politica della città di Milano da parte dei cittadini di origine cinese, fino a quel momento stigmatizzati come poco interessati alla politica italiana. Questo sforzo di partecipazione e collaborazione ha portato tra le tante iniziative anche alla intitolazione di una piazza intitolata a Ho Feng Shan, lo “Schindler cinese”, un diplomatico cinese nominato Giusto tra le nazioni per aver salvato migliaia di ebrei dalla furia nazista durante la Seconda guerra mondiale, quando era console generale a Vienna.

Infine, sono rimasto impressionato dalla solidarietà della comunità cinese verso la madrepatria quando in Cina è scoppiata l’epidemia da Covid-19, solidarietà espressa nelle donazioni ma anche nell’impegno in termini di tempo per cercare dispositivi di protezione individuale come mascherine e tute da inviare a Wuhan o in altre zone della Cina. La stessa solidarietà, nata dal basso, ma supportata anche dall’alto, l’ho rivista quando la comunità cinese si è mobilitata per dare una mano alla patria adottiva Italia. Si contano nell’ordine delle migliaia i piccoli ma importantissimi gesti di amicizia fatti in silenzio da parte di cittadini cinesi verso amici e vicini di casa italiani, come pure le donazioni di fondi o di dispositivi di protezione individuali a molte amministrazioni locali, cliniche e ospedali.

D’altro canto, la solidarietà da parte della società civile e politica sana italiana ai vari livelli non si è fatta attendere, quando tra gennaio e febbraio molte attività a gestione cinese erano oggetto di discriminazioni, come lo erano gli stessi cittadini cinesi, indicati come possibili untori da tanti ignoranti, a volte anche in modo violento. Ma l’esperienza di questi ultimi mesi ha dimostrato che il virus non ha preferenze rispetto alla provenienza delle persone. Questa vicinanza espressa dalle due comunità, italiana e cinese, in tempi così cupi, non la possiamo e non la dobbiamo dimenticare.

Mi ha colpito molto la grande amicizia tra l’Italia e la Cina, con l’Italia che è stata tra le prime nazioni a mandare aiuti aerei alla Cina a febbraio, quando quest’ultima era in piena emergenza sanitaria, mentre nei mesi di marzo e aprile la Cina ha ricambiato con l’invio di materiale sanitario e personale medico. Un’amicizia che dura da cinquant’anni e che ha permesso agli oltre trecentomila cinesi che vivono in Italia di sentirsi a casa anche in tempi difficili.

Di Francesco Wu*

*Referente in Confcommercio Milano per l’imprenditoria straniera e presidente onorario dell’Unione Imprenditori Italia-Cina

[Scritto per il Consolato cinese di Milano]