Tre attivisti tra i 17 e i 21 anni sono stati arrestati nella giornata di ieri con l’accusa di aver pubblicato online contenuti inneggianti all’indipendenza di Hong Kong. I ragazzi, tutti appartenenti al gruppo filospeparatista Studentlocalism – compreso il fondatore Tony Chung – sono sospettati di aver violato l’articolo 21 della legge sulla sicurezza nazionale. Il gruppo era stato sciolto alla vigilia dell’entrata in vigore delle nuove misure ma ha continuato ad operare dall’estero. Secondo la ricostruzione dell’organizzazione “Friends of Hong Kong”, Chung è stato portato via ieri mattina da un caffè di Central mentre aspettava l’apertura del consolato americano dove aveva intenzione di fare richiesta d’asilo. I tre erano già stati precedentemente arrestati a luglio ai sensi della nuova legge e rilasciati su cauzione e ieri si dovevano presentare alla stazione di polizia per un controllo di routine. In quelle stesse ore, secondo il SCMP, quattro attivisti avevano cercato invano riparo presso la sede diplomatica statunitense. Non è chiaro se fossero gli stessi ragazzi di Studentlocalism. Secondo le autorità locali, in tutto sono almeno 28 le persone arrestate dall’introduzione della legge sulla sicurezza nazionale. Il caso – che ricorda la fuga presso le missioni diplomatiche di dissidenti cinesi, come Fang Lizhi e Chen Guangcheng – rischia di provocare una nuova escalation tra Cina e Stati Uniti dopo l’approvazione dell’Hong Kong Human Rights and Democracy Act e la minaccia di nuove sanzioni. Chissà se si parlerà anche di questo quando la prossima settimana Carrie Lam si recherà in visita a Pechino. Secondo quanto confermato dalla chief executive, il viaggio – della durata di tre giorni – non riguarderà questioni politiche bensì le difficoltà economiche post-epidemia e le prospettive di ripresa nell’ambito del progetto Greater Bay Area. Progetto in cui il ruolo dell’ex colonia britannica sembra però drasticamente subordinato a quello di Shenzhen.
[fonte SCMP RTHK SCMP]
Il braccio di ferro tra Cina e Usa passa per i “tre mari”
Sono passati sette anni dal lancio della Belt and Road e da allora Stati uniti e Unione europea hanno timidamente avanzato delle alternative con “caratteristiche democratiche”. Senza grandi risultati. A coprire il vuoto lasciato dai due giganti ci sta pensando una piattaforma minore: l”‘Iniziativa dei tre mari” lanciata nel 2016 da Croazia e Polonia per migliorare la connettività, la sicurezza energetica, l’economia digitale e i trasporti tra l’Adriatico, il Baltico e il Mar Nero. Coinvolgendo 12 stati Ue dell’Europa centrale e orientale, la 3SI ha subito catturato l’attenzione degli Stati uniti per le sue implicazioni geopolitiche; non solo in vista di un progressivo disimpegno della Russia ma anche nella prospettiva di creare una risposta regionale agli investimenti cinesi. A ciò si aggiungono interessi economici e strategici. Con l’incremento delle esportazioni di petrolio e gas americano, Washington auspica un potenziamento delle infrastrutture energetiche, a cui ha già destinato fino a 1 miliardo di dollari in occasione dell’ultima Conferenza sulla sicurezza di Monaco. Ma con l’inaugurazione dell’iniziativa statunitense “Clean Network” è probabile che l’agenda digitale – già compresa nei “48 progetti prioritari” della 3SI – acquisirà maggior peso. Estonia, Lettonia, Kosovo, Polonia, Bulgaria, Slovacchia, Romania e Macedonia del Nord hanno già escluso o stanno ridimensionando una partecipazione di Huawei nella rete 5G nazionale. A favore degli States gioca il disappunto della regione per gli investimenti promessi da Pechino e mai arrivati. [fonte Lowy Institute Foreign Policy]
Covid: la percezione in Cina e nel resto del mondo
Un nuovo studio mette in evidenza i limiti della propaganda cinese nell’era di Covid-19. Almeno all’estero. Secondo il YouGov-Cambridge Globalism Project, sondaggio condotto dal prestigioso ateneo britannico, nei 23 paesi esaminati l’opinione pubblica tende ad attribuire le responsabilità della pandemia alla Cina. Per niente scontata è la concentrazione dei pareri più critici nei paesi in cui il gigante asiatico è più economicamente presente. Le prime due posizioni infatti vanno alla Nigeria e alla Grecia dove rispettivamente il 98% e il 97% ha individuato nella Cina l’origine indiscutibile del virus, mentre i tassi più bassi sono stati registrati in Arabia Saudita (83%) e Stati Uniti (84%). Quando invece si prende in esame le capacità gestionali, il Giappone è il paese in cui il numero più elevato di rispondenti ha accusato le autorità cinesi di aver nascosto la gravità del contagio. La leadership di Xi Jinping si prende la sua rivincita in patria dove una persona su dieci è convinta che il governo cinese abbia affrontato la crisi meglio di tutti gli altri, mentre solo il 52% dei rispondenti crede che l’epidemia abbia avuto origine in Cina. [fonte Guardian]
Tik Tok punta sull’Italia
Tik Tok punta sull’Italia per ampliare il proprio business nel sud dell’Europa. La newco Tik Tok Italy con sede a Milano avrà giurisdizione anche su Spagna, Portogallo e Grecia. La scelta mette in rilievo l’importanza del mercato italiano che con 9,8 milioni di iscritti nel contesto europeo si posiziona solo dopo Francia e Germania. La promozione di Milano rientra nella strategia complessiva di TikTok che conta sedi a Londra, a Dublino, Berlino, Parigi, Varsavia e Stoccolma.Una delle ragioni dell’apertura a Milano è che la piattaforma mobile per video di breve formato presente in 150 Paesi e in 75 lingue conta di ampliare il pacchetto di collaborazioni fashion dopo aver conquistato le più importanti griffe, grazie a nuovi strumenti di engagement, che vanno dalla personalizzazione allo storytelling. Con 100 milioni di utenti, l’Europa si rappresenta una valida alternativa davanti a una possibile chiusura del mercato americano. Ma nel Vecchio Continente l’azienda cinese non ha vita facile. Da gennaio l’app è nel mirino del Copasir e del Garante della privacy [fonte CLASS, Formiche]
Nuovo accordo militare tra Stati Uniti e India
Mentre l’inverno sta per raggiungere il turbolento confine sino-indiano, Washington e Nuova Delhi hanno firmato un accordo che permetterà all’esercito indiano di utilizzare i dati geospaziali americani per migliorare la precisione di droni e missili. L’intesa – che segue l’accordo sulla sicurezza generale delle informazioni militari (GSOMIA) del 2002, il MoU sullo scambio logistico (LEMOA) del 2016 e l’Accordo di compatibilità e sicurezza delle comunicazioni (COMCASA) del 2018 – è stata suggellata martedì in occasione del viaggio di Mike Pompeo e Mark Esper in India, prima tappa di una trasferta indopacifica che tocca anche Sri Lanka, Maldive e indonesia. I tre i paesi condividono una forte dipendenza economica e finanziaria dalla Cina costata a Colombo e Malé un’esposizione debitoria di diversi miliardi di dollari. L’itinerario pertanto non è casuale. “Il Partito Comunista Cinese non è amico della democrazia, dello Stato di diritto, della trasparenza, né della libertà di navigazione, fondamento di un Indo-Pacifico libero, aperto e prospero” ha avvertito Pompeo. L’accordo militare sancisce un più netto riposizionamento dell’India nell’orbita americana, anche se – almeno dal punto di vista tecnico – il processo potrebbe non essere così rapido: circa il 70% delle armi che l’India ha acquistato finora è “made in Russia”. La visita di Pompeo ed Esper ha coinciso con l’inizio delle prime esercitazioni con il Giappone del governo Suga e che il luogotenente generale Kevin Schneider ha specificato serviranno a confermare l’impegno statunitense nel Mar cinese orientale dove Tokyo e Pechino si contendono le isole Diaoyu/Senkaku. [fonte SCMP SCMP]
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Classe ’84, romana doc. Direttrice editoriale di China Files. Nel 2010 si laurea con lode in lingua e cultura cinese presso la facoltà di Studi Orientali (La Sapienza). Appena terminati gli studi tra Roma e Pechino, comincia a muovere i primi passi nel giornalismo presso le redazioni di Agi e Xinhua. Oggi scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra le quali Il Fatto Quotidiano, Milano Finanza e il Messaggero. Ha realizzato diversi reportage dall’Asia Centrale, dove ha effettuato ricerche sul progetto Belt and Road Initiative. È autrice di Africa rossa: il modello cinese e il continente del futuro.