Tutto come previsto. In Giappone il Partito liberaldemocratico ha scelto Yoshihide Suga come suo nuovo leader. Questo significa che l’attuale segretario generale del governo diventerà nei prossimi giorni il suo primo ministro in sostituzione di Shinzo Abe, dimessosi nelle scorse settimane per motivi di salute. La scelta del partito di maggioranza è stata netta: 377 voti su 534 sono andati a Suga, che ha lasciato solo 89 preferenze a Fumio Kishida e 68 a Shigeru Ishiba.
Si tratta di una scelta nel segno della continuità, visto il rapporto profondo che lega Suga, 71 anni, ad Abe, che ha guidato il Giappone per quasi otto anni. Il prossimo primo ministro nipponico ha una particolarità: la sua estrazione sociale. Suga proviene infatti da una famiglia di agricoltori, e non da una dinastia politica come accaduto ai suoi predecessori, in primis allo stesso Abe. Ci si attende che il leader uscente continui a esercitare una profonda influenza sulle politiche di Tokyo, a partire dalla politica estera (Suga, accettando l’incarico di leader del Ldp ha apertamente detto che in materia di relazioni internazionali si consulterà “spesso” con lui) per arrivare magari alle scelte in vista delle prossime elezioni generali.
Affaritaliani ha raggiunto il professore Toshihiro Nakayama, politologo della Keio University di Tokyo, per una bilancio dell’amministrazione uscente e le prospettive politiche e geopolitiche del Giappone post Abe.
Professor Nakayama, qual è il suo bilancio finale dell’era Abe?
Abe è stato un leader globale inaspettato. All’inizio c’erano dei dubbi su Abe per come aveva concluso il suo primo mandato, ma nel secondo è stato molto più pragmatico. L’opinione pubblica giapponese desiderava una leadership stabile ed è esattamente ciò che è stato in grado di dare in tutti questi anni. Si è circondato di figure competenti durante il suo secondo mandato e lui è diventato un leader forte, proprio quando il Giappone stava affrontando grandi difficoltà sia all’interno sia all’esterno.
Quanto le sue politiche, in primis l’Abenomics, hanno funzionato per il Giappone?
Womenomics e apertura del paese erano intenzioni giuste ma i risultati non sono stati completi. Gli sforzi relativi alla “terza freccia” dell’Abenomics rimangono incompiuti. Ma nel complesso il piano ha risollevato il Giappone e gli ha dato degli obiettivi precisi.
Perché il Partito liberaldemocratico ha scelto Suga come successore di Abe? Possiamo aspettarci dei cambiamenti nelle sue politiche?
Nonostante ci fossero già segnali della stanchezza di Abe, il Giappone vuole continuità. E Suga simbolizza la continuità. Con lui possiamo aspettarci un Abe 2.0. Se cercherà o meno di andare oltre l’agenda di Abe dipenderà dal fatto che veda se stesso come una figura di transizione oppure no.
Per anni Abe ha provato a modificare la costituzione giapponese, anche nell’ottica di avere maggiori libertà sul fronte difensivo e militare. Lei ritiene che la riforma costituzionale sia necessaria? E quante possibilità ci sono che si arrivi a questo risultato?
Io credo di sì. Che ci si arrivi è possibile, ma non probabile. Abe era un politico controverso, alcuni avevano dei dubbi sulla sua visione della storia. Anche io ne avevo, almeno fino a quando non ha pronunciato la dichiarazione del 70 esimo anniversario della fine della Seconda guerra mondiale. Penso che un conservatore centrista possa essere più efficace nel portare a termine la riforma costituzionale.
Al suo arrivo, Abe si è ritrovato ai minimi termini le relazioni con la Cina, che lui è stato in grado di migliorare. Ma la sensazione – dal China Exit con gli incentivi alle imprese nipponiche che lasciano il Dragone agli investimenti nel Sud est asiatico fino alla sempre più intensa cooperazione anche militare con paesi come India e Australia – è che Tokyo stia assumendo un ruolo geopolitico sempre più rilevante non solo in Asia orientale ma nell’intera area dell’Indo Pacifico. Quali sono le prospettive del rapporto con Pechino?
La Cina è chiaramente una sfida geopolitica per il Giappone. Non possiamo essere tranquilli osservando le ambizioni egemoniche cinesi. Comunque, vista la prossimità geografica, il Giappone non cerca una postura confrontazionale. Anche perché c’è la convinzione che isolare totalmente la Cina non è una buona idea. Stiamo cercando una strategia, anche dura, di competizione. Detto questo, il Giappone è pronto al confronto qualora la Cina ci sfidasse. La difficoltà è capire come definire il confine tra competizione e confronto.
Durante l’amministrazione Trump, gli Stati Uniti hanno portato però avanti una strategia sempre più tesa al confronto, abdicando spesso però sotto il profilo del rule-making e lasciando spazi vuoti nelle istituzioni globali. Quali sono le conseguenze di questo approccio per il Giappone e come pensa di rispondere Tokyo a alla “chiamata alle armi” di Washington contro la Cina?
Nella competizione tra Usa e Cina, il Giappone ha scelto da che parte stare. Il Giappone può talvolta ritenere che le politiche statunitensi nei confronti della Cina non siano appropriate e allora, pur non opponendosi in maniera pubblica, lo può fare attraverso i canali diplomatici La strategia di confronto di Trump è preoccupante e può ostacolare una strategia efficace di competizione. Vedremo come andranno le elezioni americane.
Crede che una vittoria di Joe Biden possa cambiare le relazioni tra Usa e Cina e in generale la presenza e la strategia di Washington nell’Indo Pacifico?
Dai Democratici ci si aspetta una strategia altrettanto dura, ma con un tono molto differente. Di solito il Giappone tende a ritenere i Democratici troppo leggeri con la Cina ma le cose sono cambiate in questi anni. Cercherebbero di mobilitare maggiormente gli alleati e i partner. Ma in questi anni hanno messo radici dei dubbi sull’impegno americano nell’area. E’ da vedere se Biden saprà ripristinare la tradizionale immagine americana. A differenza dell’amministrazione Trump, i Democratici tratterebbero la Cina come un partner nella soluzione di problemi globali come il cambiamento climatico. L’equilibrio tra competizione e cooperazione potrebbe diventare una fonte di preoccupazione per il Giappone, che preferisce un’America un po’ più dura di lui con la Cina.
Tornando alla politica interna, negli scorsi giorni ci sono stati movimenti anche nell’opposizione, con la scelta di Yukio Edano come leader del nuovo partito. Come crede che possa configurarsi lo scenario politico per le prossime elezioni generali? E quali nomi potrebbero assurgere al ruolo di protagonisti?
Non vedo nessun cambiamento significativo al momento, ma è essenziale avere un partito di opposizione con una prospettiva realistica per garantire il funzionamento e la salute del sistema democratico. Non sono certo di chi possa diventare un futuro protagonista, in particolare nel Partito costituzionale democratico. Forse Ishiba.
[Pubblicato su Affaritaliani]Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.