Songlian, la quarta signora, aveva diciannove anni quando arrivò in casa Chen. Il palanchino che ve la condusse, sollevato da quattro portatori, entrò nel giardino verso sera passando per la porta posteriore del lato occidentale della dimora. Le domestiche, intente a lavare matasse di lana vecchia accanto al pozzo, videro il palanchino sbucare silenziosamente dalla porta rotonda a forma di luna e scenderne una studentessa con indosso una camicia bianca e una gonna nera. Sulle prime pensarono fosse la figlia maggiore del padrone, che tornava da Pechino dove studiava, ma quando le andarono incontro si accorsero che si trattava di un’altra ragazza, dal volto coperto di polvere e l’espressione esausta.
Quell’anno Songlian portava i capelli corti, tagliati all’altezza delle orecchie e fermati da una fascia di seta azzurra. Il suo viso era rotondo, senza traccia di trucco, ma un po’ pallido. Songlian uscì dal palanchino e ritta in mezzo al terreno erboso si guardò attorno smarrita. Ai suoi piedi era poggiata una
valigia di vimini. Illuminata dai raggi del sole autunnale, la sua figura appariva fragile e sottile, rigida come una figurina di carta. Sollevò il braccio per asciugarsi il sudore dal viso, e le domestiche notarono che non aveva usato il fazzoletto ma la manica della camicia. Un particolare che le colpì molto. Songlian si avvicinò al pozzo e disse a Yan’er, che stava lavando la lana: «Fammi sciacquare il viso, sono tre giorni che non mi lavo». Yan’er tirò su un secchio d’acqua e la osservò mentre vi immergeva la faccia. Il corpo piegato di Songlian vibrava come un tamburo quando viene percosso. Yan’er le chiese: «Vuoi del sapone?» ma lei non rispose.
«È troppo fredda l’acqua?» chiese ancora Yan’er, ma lei non rispose nemmeno questa volta. Yan’er fece l’occhiolino alle altre domestiche vicine al pozzo e rise coprendosi la bocca. Pensarono che la nuova venuta fosse una parente povera della famiglia Chen: erano capaci di indovinare l’estrazione sociale di quasi tutti gli ospiti della casa. Probabilmente fu allora che Songlian si voltò di scatto: pulito, il suo viso emanava una freddezza ancora maggiore. Lentamente aggrottò le sopracciglia nere e sottili, lanciò a Yan’er uno sguardo di traverso e disse: «Perché invece di ridere come una scema non butti via l’acqua?». Continuando a ridere Yan’er le rispose: «E tu chi sei, che fai tanto la dura?». Songlian la spinse via, sollevò la sua valigia di vimini e si allontanò dal pozzo. Fatti pochi passi si girò e disse: «Chi sono? Prima o poi lo verrete a sapere».
Il giorno dopo tutta la gente di casa Chen venne a sapere che Chen Zuoqian, il padrone, aveva preso Songlian come quarta moglie. Songlian risiedeva nell’ala del palazzo situata a sud del giardino posteriore, vicino all’abitazione di Meishan, la terza moglie. Chen Zuoqian mise alle sue dipendenze come cameriera Yan’er, precedentemente addetta alle stanze riservate ai domestici. Il giorno dopo, quando Yan’er andò a presentarsi a Songlian, era intimorita e la chiamò ad alta voce: «Quarta signora!» tenendo il capo chino. Ma Songlian si era già dimenticata dello scontro avuto con lei, o forse non si ricordava proprio chi fosse. Quel giorno portava un qipao di seta bianca e pantofole ricamate. Una notte di riposo aveva ridato al suo viso il colorito abituale e il suo aspetto appariva molto più affabile. Tirò Yan’er a sé e, dopo averla esaminata dalla testa ai piedi, disse a Chen Zuoqian, che stava al suo fianco: «Non è male
di aspetto». Quindi, rivolta alla domestica ordinò: «Abbassati, voglio guardarti i capelli». Seduta sui talloni, Yan’er sentiva le dita di Songlian muoversi tra i capelli alla minuziosa ricerca di qualcosa; quindi la sentì dire: «Pidocchi non ne hai. I pidocchi sono la cosa che mi fa più orrore». Yan’er si morse le labbra e non disse niente, aveva l’impressione che le dita di Songlian le stessero tagliando la pelle del cranio come gelide punte di coltelli e ne provò dolore. «Cos’è quest’odore che mandano i tuoi capelli? Puzzano, vatteli subito a lavare». Yan’er si alzò in piedi, con le braccia abbandonate lungo i fianchi, ma non si mosse. Chen Zuoqian le lanciò un’occhiataccia: «Non hai sentito quello che ha detto la signora?».
Yan’er rispose: «Mi sono lavata i capelli ieri». Chen Zuoqian alzò la voce: «Non dire sciocchezze, se ti si dice di andare a lavarti i capelli, ci devi andare. Bada che le prendi». Yan’er portò una bacinella d’acqua sotto il melo selvatico e si lavò i capelli. Sentiva di star subendo un’ingiustizia e la rabbia le pesava sul cuore come un pezzo di ferro. Il sole del pomeriggio illuminava due meli selvatici, un filo per stendere i panni era legato ai due tronchi, una lieve brezza scuoteva
la camicia bianca e la gonna nera di Songlian. Yan’er si guardò attorno, il giardino era deserto e silenzioso. Si avvicinò al filo e sputò prima sulla camicia e poi sulla gonna.
Quell’anno Chen Zuoqian avrebbe compiuto cinquant’anni. La faccenda di prendere una concubina a quell’età erastata portata avanti più o meno segretamente. Yuru, la prima moglie, era rimasta all’oscuro di tutto fino al giorno prima dell’arrivo di Songlian. Quando Chen Zuoqian accompagnò Songlian a incontrarla, Yuru era intenta a recitare i sutra sgranando il rosario nella sala di famiglia riservata al culto di Buddha. «Questa è la prima moglie» disse Chen Zuoqian.
[Traduzione a cura di Maria Rita Masci]