Cina, Usa e la condivisione del mondo

In by Simone


Eppure aveva misurato le parole, Hillary Clinton, nel suo discorso sulla libertà di internet. L’amministrazione Obama è piena di esperti di cose cinesi – un segretario al Commercio sino-americano, uno all’Energia che di nome fa Chu e uno al Tesoro che parla correntemente mandarino –  e al Dipartimento di Stato gli advisors non mancheranno. I toni pacati e la reiterata volontà di risolvere i problemi con Pechino in maniera rispettosa e negoziata non sono bastati. Qualcuno a Washington doveva pur averlo detto alla Segretario di Stato che c’è una cosa che con i cinesi non bisogna fare: interferire negli affari interni. E’ una regola che vale per tutti, ma ci sono nervi scoperti di politica estera (Taiwan, Il Tibet, lo Xinjiang e tutti gli altri confini della Cina unica e indivisibile) e alcune questioni nazionali, su cui Pechino non vuole sentire niente e nessuno. E infatti, alle parole di Clinton sulla censura in internet e sull’affaire google, la reazione delle autorità cinesi è stata scomposta. Ed è probabile che questo gli americani lo mettessero in conto.

Ma andiamo con ordine. Qualche giorno fa Google annuncia che gli account di mail di alcuni suoi utilizzatori impegnati per i diritti umani sono stati visitati da ignoti. Pochi giorni dopo Clinton annuncia un discorso sulla libertà in internet. Le due cose non sono necessariamente conseguenti l’una all’altra. O meglio, lo sono, ma non in forma tanto diretta. Il discorso di Clinton viene annunciato alla stampa negli stessi giorni in cui Google protesta e poi anche al grande pubblico. L’idea era quella di creare aspettativa, certo, ma sul tema dell’importanza della rete, delle sue possibilità, della sua forza democratica, al Dipartimento di Stato e in tutta l’amministrazione, ci ragionavano da prima. Con il Web c’è un legame sentimental-politico, Obama ha vinto anche e molto grazie alla rete, specie contro Hillary, e uno economico, i giovani manager dell’information technology che conta sono sostenitori del presidente quasi della prima ora. Per Obama la rete è quello che per Bush era il petrolio.

Per dare un’idea dell’importanza che si attribuiva al discorso, segnaliamo che l’ambasciata Usa a Roma ha invitato la stampa a seguirlo nonostante fosse visibile online e che l’ambasciatore David Thorne è sceso a parlare proprio di internet del suo uso civile e politico con i giornalisti (i riferimenti di Thorne erano all’Iran, ad Haiti, ma anche al No B day, non per schieramento, sia chiaro, per segnalare la potenza del mezzo). Infine, questo va riconosciuto, il discorso di Clinton non è un modo elegante di mascherare una disputa con Pechino con della retorica. Nelle parole del Segretario di Stato c’è un’idea di cosa debba essere questa enorme infrastruttura tecnologica e di come, in questa, gli interessi dei cittadini vadano tutelati. Clinton ha fatto esempi dell’uso positivo che l’information technology può avere – dalla bambina salvata ad Haiti, a Twitter in Iran, ai casi di partecipazione e pressione di democrazie mature – ha parlato delle potenzialità economiche dell’accesso alle tecnologie per i Paesi fuori dal giro, ha parlato di internet come luogo di incontro tra fedi e tra fedeli e così via. Certo, ha detto il Segretario di Stato, in rete ci sono anche i pedofili, i manuali su come costruire una bomba e i sermoni che incitano alla violenza, ma la sfida difficile è tutelare la libertà senza strozzare la rete.

Clinton ha volato alto, questo è forse il discorso più obamiano nei concetti, nell’ispirazione, ma con la solita attenzione alle minuzie che ha reso celebre Hillary senatrice e candidata. Poi, solo poi, sono arrivate le critiche a quei regimi che strangolano il diritto all’informazione e all’accesso alla rete. In ciascun caso con cautela, senza toni ultimativi, parlando a vecchi e nuovi amici (Egitto e Vietnam) e a cattivi storici (l’Iran). E infine l’affondo sulla necessità di una inchiesta trasparente su quanto capitato a Google in Cina.

Il discorso di Hillary Clinton può essere visto sotto diverse luci e forse sono tutte buone. La tensione-amiciza con Pechino è un fattore destinato a durare e, di volta in volta, avremo il nostro caso. Sul Tibet, Washington non ha esagerato, stavolta protesta. In gioco non ci sono i diritti umani in una regione sperduta ma una modalità di concepire le relazioni nello spazio virtuale: se entro negli account di un attivista dei diritti umani, potrò decidere di farlo anche per cittadini stranieri, imprese e così via. La reazione di Pechino è dura proprio perché Clinton ha ragione e mette il governo cinese in una situazione difficile, lo fa vergognare (posizione intollerabile e disonorevole). Parlare di regole interne e tradizioni – la risposta della Cina a Google – non giustifica l’esclusione dei cinesi da una parte delle informazioni contenute in rete o dalla possibilità di diffonderne.

Non poter lavorare a pieno con internet è anche un limite alla possibilità per le imprese straniere di fare affari nell’economia che cresce più veloce delle altre. E questo è un altro grande tema: Cina e Stati Uniti sono legati a doppio filo, lo si è detto fino alla nausea dopo la crisi e parlando di G2, ma se la Cina esporta negli Usa merci con le regole del Wto, gli Usa non vogliono che i limiti a internet siano una forma di dazio indiretto. Sull’information technology sono ancora avanti loro e non vogliono essere esclusi dal primo mercato di internauti del pianeta.

C’è un ultimo tema, tra i tanti, che vale la pena menzionare. Senza usare toni forti e minacce, all’interno del G2 c’è una concorrenza per l’egemonia mondiale o una sua condivisione. Pechino investe, compra, produce, esporta e Washington non ha più la forza per rincorrere. Può però essere un esempio culturale, un modello di società e altre cose così. Per riuscirci deve farsi promotore di alcuni principi e farlo usando il soft power. Bush ha provato con le mazzate ma non è andata molto bene. Il discorso di Clinton è forse l’avvio di questo modello di diplomazia propositiva e critica, ma non ultimativa. Non per bontà d’animo o con disinteresse, ma per bisogno di esserci e pesare. Essere il difensore dei giovani che vogliono scambiarsi idee in rete è un modo intelligente di guardare al futuro per una potenza mondiale con le giunture piene di ruggine.

[Pubblicato in concorso con www.america2012.it]