La seconda ondata di Covid-19 che ha travolto Pechino è già sotto controllo. Lo ha annunciato ieri Wu Zunyou, capo epidemiologo del Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie, specificando che il picco è stato raggiunto il 13 giugno. Questo vuol dire che l’aumento dei casi (25 quelli registrati ieri nella capitale) è da attribuirsi a infezioni contratte precedentemente e ancora in incubazione. La pronta risposta delle autorità municipali è stata celebrata dalla stampa statale. “Per controllare i contatti ravvicinati del mercato, il governo municipale sta andando di casa in casa, utilizzando big data, intelligenza artificiale e cloud computing e conducendo test su larga scala” spiega il Global Times che porta il numero complessivo dei tamponi eseguiti dal 13 giugno a 700.000. L’esperienza accumulata nei mesi scorsi ha permesso al governo di evitare gli errori compiuti a Wuhan, potendo inoltre usufruire delle nuove infrastrutture messe a punto durante la prima ondata del contagio. Non solo. Gli impiegati delle aziende statali residenti nei distretti a rischio potranno utilizzare il vaccino prodotto da China National Biotec Group, sebbene ancora in fase di sperimentazione. Se confermata, per il Pcc si tratta di una seconda vittoria decisiva che la propaganda non mancherà di utilizzare per rispondere alle critiche ricevute quando il contagio era ancora un problema solo cinese.
Intanto, il Centro dati nazionale di microbiologia ha consegnato all’Oms la sequenza genomica del virus sulla base dei campioni raccolti nel mercato di Xinfadi, a Pechino. Dallo studio si apprende che il ceppo in questioni proviene dall’Europa ma è diverso dal virus attualmente presente nel Vecchio Continente. Secondo gli esperti, è possibile che le basse temperature utilizzate per conservare il pesce abbiano impedito le mutazioni riscontrate nel sottotipo attualmente in circolazione nei paesi europei. [fonte: CNBC, GT, Reuters]
Covid: il 20% della Belt and Road è stato gravemente colpito
Un quinto dei progetti avviati nell’ambito della Belt and Road è stato “gravemente compromesso” dalla pandemia. Lo ha annunciato oggi il Ministero degli Esteri cinese aggiungendo che circa il 40% dei progetti ha avuto un impatto negativo limitato mentre un altro 30-40% è stato in qualche modo colpito. Non è chiaro quali paesi coinvolga quel 20% ad aver risentito più violentemente della crisi. Il dicastero ha tuttavia definito il risultato del sondaggio migliori del previsto dal momento che, sebbene alcune operazioni siano state sospese, nessun progetto di rilievo è stato annullato. Secondo Refinitiv, la BRI coinvolge oltre 2.600 progetti per un valore di 3,7 mila miliardi di dollari. [fonte: Reuters]
Trump e la Cina secondo John Bolton
Dalla guerra commerciale a Huawei. Il libro di John Bolton – di cui la stampa statunitense ha riportato in anteprima alcuni estratti – conferma la deriva personalistica del governo Trump, specialmente quando si tratta di sfruttare le relazioni con la Cina per fortificare la propria campagna elettorale. Secondo l’ex Consigliere per la sicurezza nazionale, durante il meeting di Osaka, il presidente americano avrebbe rivelato a Xi Jinping “l’importanza degli agricoltori e dell’aumento degli acquisti cinesi di soia e grano nel risultato elettorale”. Fin dal primo vertice di Mar-a Lago, Trump ha ostentato un’intimità con l’omologo cinese mai ufficialmente ricambiata. Stando al libro, la stima di The Donald è racchiusa in un complimento non da poco: Xi sarebbe “il miglior leader cinese degli ultimi 300 anni, anzi di sempre.” Tra i suoi meriti ci sarebbe anche quello di aver sconfitto il terrorismo nel Xinjiang con l’istituzione dei centri per la rieducazione, mentre le vicende di Hong Kong e il massacro di piazza Tian’anmen sarebbero cosa di poco conto considerando che anche gli Stati uniti sono responsabili di gravi violazioni dei diritti umani. Dal libro di Bolton emerge inoltre un interessante dettaglio sulla linea adottata dall’amministrazione Trump nel fronteggiare Pechino: “gravemente spaccata” tra “panda huggers”, “free trader” e “falchi”, l’establishment americano “procede in maniera caotica” senza alcuna strategia precisa, conferma l’ex Consigliere per la sicurezza nazionale. La Cina ha replicato alle indiscrezioni dichiarando di non voler intromettersi nel voto degli americani. [fonte: WSJ, SCMP]
Trade war: Stati Uniti e Cina perdono competitività
La Cina e gli Stati Uniti sono diventati meno competitivi a causa della guerra commerciale in corso, che sembra non avere una soluzione a breve termine. Le due superpotenze economiche quest’anno, a causa della trade war e della pandemia da coronavirus, sono scese di posizione nella World Competitiveness Rankings, la classifica che valuta lo stato di competitività dei Paesi a livello mondiale. Gli Stati Uniti sono scesi di sette posizioni, arrivando al decimo posto, mentre la Cina è scesa di sei posti al ventesimo. È andata meglio per le economie più piccole, tra cui Singapore, Danimarca e Svizzera che sono in cima alla lista. Secondo l’indagine dell’Institute for Management Development (IMD) la gestione della pandemia di coronavirus ha contribuito a rafforzare le loro posizioni. La classifica valuta 63 potenze economiche, considerando centinaia di fattori tra cui occupazione, costo della vita e spesa pubblica. [fonte: BBC]
La Cina raccoglie DNA dalla popolazione maschile
I sistemi di controllo e di sorveglianza genetica cinese utilizzano dotazioni acquistate anche dagli Stati Uniti. È quanto riporta un nuovo report pubblicato dall’Australian Strategic Policy Institute, che denuncia come la polizia cinese stia raccogliendo campioni di sangue da uomini e ragazzi di tutto il Paese per costruire un database genetico dei circa 700 milioni di cittadini di sesso maschile. Una pratica iniziata nel 2017, che garantirebbe alle autorità di rintracciare i parenti di sesso maschile usando solo il sangue, la saliva o altro materiale genetico. A fornire i kit è l’americana Thermo Fisher, la società del Massachusetts che ha venduto l’attrezzatura su specifica richiesta della polizia cinese, inizialmente pensata per monitorare le minoranze etniche della Cina, come gli uiguri dello Xinjiang. Mentre gli attivisti denunciano una violazione della privacy, sostenendo che la raccolta dei dati viene effettuata senza il consenso della persona, la polizia cinese afferma che il database è uno strumento utile per identificare i criminali. Il rapporto pubblicato dall’istituto australiano stima che le autorità cinesi mirino a raccogliere campioni di DNA da 35 a 70 milioni di uomini e ragazzi, tra il 5 e il 10% della popolazione maschile cinese. [fonte: NYT]
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Classe ’84, romana doc. Direttrice editoriale di China Files. Nel 2010 si laurea con lode in lingua e cultura cinese presso la facoltà di Studi Orientali (La Sapienza). Appena terminati gli studi tra Roma e Pechino, comincia a muovere i primi passi nel giornalismo presso le redazioni di Agi e Xinhua. Oggi scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra le quali Il Fatto Quotidiano, Milano Finanza e il Messaggero. Ha realizzato diversi reportage dall’Asia Centrale, dove ha effettuato ricerche sul progetto Belt and Road Initiative. È autrice di Africa rossa: il modello cinese e il continente del futuro.