Anche l’ultimo paziente è stato dimesso dall’ospedale: da domenica Wuhan è formalmente “libera dal virus”, nel senso che tutti i casi di Covid-19 sono stati curati. Dal 13 marzo la città non ne ha più registrati di nuovi. Il capoluogo dello Hubei conta per 50.333 infezioni su un totale di oltre 82.827 a livello nazionale, di cui solo 3 riportate nelle precedenti 24 ore. Il successo è stato celebrato quest’oggi con la partenza del team – guidato dalla vicepremier Sun Chunlan – incaricato dal governo centrale di gestire l’epidemia direttamente sul campo ben tre mesi fa. Ma gli esperti invitano a rimandare i festeggiamenti. Solo nelle ultime ore, a Wuhan sono stati rilevati 20 casi asintomatici, mentre 535 persone sono ancora sotto osservazione. [fonte: SCMP]
Pechino vieta i comportamenti “incivili e poco igenici”
La municipalità di Pechino ha avviato una nuova stretta sui comportamenti “incivili e poco igenici”. La campagna, avviata tempo fa, è tornata d’attualità a causa del coronavirus. Secondo nuove regole approvate giovedì ed effettive dal 1 giugno, nella capitale cinese saranno bandite e multate una serie di cattive abitudini come: non coprirsi la bocca quando si tossisce o starnutisce e non utilizzare la mascherina quando si è ammalati. I cittadini sono anche invitati a “vestirsi in modo ordinato” in pubblico e a non andare in giro senza maglietta, chiaro riferimento al cosiddetto “Beijing bikini”, l’usanza che vede gli uomini cinesi scoprire lo stomaco nella stagione estiva. Secondo il Global Times, rispetto al passato, stavolta si tratta di un “divieto totale” della pratica nei luoghi pubblici. Il nuovo giro di vite comporta anche un rincaro delle sanzioni previste per i comportamenti già vietati come sputare nei luoghi pubblici, lasciare rifiuti in strada, portare a passeggio i cani senza guinzagli, lanciare oggetti dagli edifici, fumare nei luoghi dove è vietato e defecare in pubblico. La polizia è inoltre invitata a segnalare i reati più gravi, punibili con una riduzione dei crediti sociali. [fonte: AFP]
Ex dipendenti arrestati per aver tentato di rivelare gli affari iraniani di Huawei
L’anno scorso, mentre imperversavano le polemiche sulle dure condizioni di lavoro imposte dalle aziende tecnologiche cinesi, un caso in particolare ha catturato l’attenzione dell’opinione pubblica: quello di Li Hongyuan, 42 anni, ex dipendente di Huawei e incarcerato per estorsione dopo aver cercato di ottenere dal colosso di Shenzhen un bonus in seguito al licenziamento. Secondo nuove rivelazioni del NYT e del FT, oltre a Li altri quattro colleghi sono finiti agli arresti nel dicembre 2018 dopo aver creato un gruppo WeChat per cercare di dare visibilità internazionale alle proprie recriminazioni. A mettere in moto la polizia, tuttavia, non sarebbero state le minacce legali degli ex dipendenti bensì le allusioni agli affari iraniani di Huawei diffuse in chat da uno dei membri: “posso provare che Huawei vende [tecnologia] all’Iran.” Al tempo, la CFO della società Meng Wanzhou era stata appena fermata in Canada con l’accusa di aver aggirato le sanzioni americane contro Teheran. Li e il collega Zeng Meng hanno raccontato la storia e di come le iniziali accuse di “diffusione di segreti di stato” siano state corrette per depistare l’attenzione dal motivo reale dell’arresto. [fonte: NYT, FT]
L’Ue contro lo spionaggio nelle università
Le università europee sono alla mercé di pericolose “interferenze straniere”. A pensarlo è la Commissione europea, che in una nota riservata – ottenuta in esclusiva da Eu Observer – avrebbe auspicato il dislocamento all’interno degli istituti di veri e propri apparati di controspionaggio per impedire alla Cina e a gli altri paesi ostili di sfruttare le vulnerabilità interne per ottenere tecnologia e informazioni sensibili. Sebbene non sia stata presa nessuna decisione definitiva, “il possibile sviluppo di linee guida a livello UE è attualmente in fase di discussione”, ha riferito una fonte a Eu Observer. A preoccupare è soprattutto la possibilità che quanto acquisito illegalmente venga utilizzato in ambito militare. L’allarme di Bruxelles segue le polemiche sugli Istituti Confucio e la recente chiusura dell’ultima sede svedese dell’organizzazione che risponde al ministero dell’Istruzione cinese. [Eu Observer]
Arrestati attivisti: salvavano post censurati su Covid
Tre collaboratori del gruppo anti-censura Terminus2049 si trovano in stato di fermo in una località ignota. Lo riporta il South China Morning Post, secondo il quale i ragazzi avevano preso parte al progetto di raccolta di articoli e post su covid-19 condotto in partnership Github, la piattaforma open source di Microsoft utilizzata in Cina per saltare il Great Firewall. Di loro non si sa più nulla dal 17 aprile e stando a quanto comunicato alle rispettive famiglie i tre sarebbero sotto sorveglianza per aver “provocato litigi e causato problemi”, un’accusa speso utilizzata contro i dissidenti. Dall’inizio delle’epidemia almeno tre citizen journalist sono stati arrestati mentre indagavano sui contagi di Wuhan. Solo uno di loro, Li Zehua, è riemerso di recente dopo due mesi di quarantena forzata. [fonte: SCMP]
Madre lesbica lotta per l’affidamento dei figli
La battaglia giudiziaria di una madre per l’affidamento dei figli è diventata uno dei topic più discussi sul web cinese. Niente di così strano se non fosse che la donna in questione è lesbica ed è diventata madre grazie alla riproduzione assistita – che in Cina è vietata al di fuori dal matrimonio sebbene diverse aziende forniscano assistenza per chi, come Zhang Peiyi, è disposto ad andare all’estero per aggirare i divieti. Un paio di anni fa Zhang ha rotto con la propria partner – con cui si era sposata negli Stati Uniti – e da allora non ha più visto i suoi due figli. La storia è complicata. Non solo perché la legge cinese non riconosce il matrimonio omosessuale. Di solito nelle controversie in materia di affidamento, la legge cinese parteggia per il genitore alla nascita. Ma mentre Zhang può affermare di aver dato alla luce uno dei due bambini, in realtà è stata la sua compagna a fornire gli ovuli per gli embrioni e quindi a poter rivendicare un legame genetico con entrambi i figli. Un tribunale del Zhejiang ha accettato il caso. Intanto, la scorsa settimana, l’inusuale storia ha suscitato l’interesse di centinaia di milioni di internauti cinesi. [fonte: Reuters]
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Classe ’84, romana doc. Direttrice editoriale di China Files. Nel 2010 si laurea con lode in lingua e cultura cinese presso la facoltà di Studi Orientali (La Sapienza). Appena terminati gli studi tra Roma e Pechino, comincia a muovere i primi passi nel giornalismo presso le redazioni di Agi e Xinhua. Oggi scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra le quali Il Fatto Quotidiano, Milano Finanza e il Messaggero. Ha realizzato diversi reportage dall’Asia Centrale, dove ha effettuato ricerche sul progetto Belt and Road Initiative. È autrice di Africa rossa: il modello cinese e il continente del futuro.