Tra gli strumenti che la Cina ha impiegato nel tentativo di fermare il contagio da Covid-19 è stato sottolineato l’utilizzo massiccio dei dati provenienti dal traffico e dalle attività delle persone sui cellulari.
Si tratta di elementi che sono già quotidianità in Cina e che in alcuni casi hanno aiutato le più generali operazioni di contenimento del virus in modo quasi naturale: la Cina – ad esempio – è da tempo, specie nelle grandi metropoli, una società cashless.
Si paga tutto con il proprio smartphone o con la propria faccia attraverso sistemi di riconoscimento facciale: questo ha permesso una distanza fisica, ad esempio, più complicata nel caso di pagamenti con banconote. Ma si tratta di piccole cose rispetto al più generale orientamento cinese che ha trovato nella fase due una sua ulteriore realizzazione, attraverso l’uso dei cosiddetti «codici salute». In pratica ogni cinese a seconda del suo stato di salute riceve un colore che gli permette o meno di muoversi liberamente nelle proprie città.
L’app è interna ad Alipay di Alibaba e WeChat di Tencent, praticamente presente sullo smartphone di quasi tutti i cinesi. Come spiegato dai siti cinesi specializzati sulla questione dei crediti sociali, «Per viaggiare, le persone dovranno compilare un rapido sondaggio “sanitario”. Successivamente, il software consegnerà loro un codice sanitario colorato (verde, giallo o rosso) che determina se potranno uscire di casa e dove possono andare. L’iniziativa è stata presentata per la prima volta da funzionari della città orientale di Hangzhou, ma da allora altri hanno seguito l’esempio. A partire dal 25 febbraio il programma veniva utilizzato in 200 città cinesi».
Oggi sono già molte di più. I codici devono essere mostrati in molti luoghi della città, comprese stazioni dei treni e delle metropolitane.
I dati – naturalmente – sono condivisi da queste aziende con lo Stato esattamente come poteva accadere in precedenza: le grandi aziende tech cinesi, infatti, devono la propria crescita e il proprio successo anche alle attività censorie dello Stato cinese.
Cosa sono i crediti sociali
Senza Facebook, Whatsapp, ovvero senza competitor bloccati dal potere politico in Cina, Tencent e Alibaba hanno potuto imporsi sul territorio nazionale (che rimane un mercato immenso) e potenziare (e spesso diversificare, come nel caso di WeChat) la proprio proposta internazionale. Anche per questo, oltre che per l’ubiquo controllo del Partito comunista, le big hi-tech cinesi vivono un rapporto di dipendenza dagli organi statali.
Il codice-salute ha finito, però, per inserirsi in un altro sistema in uso da tempo in Cina, ovvero quello dei crediti sociali. A questo proposito è bene fare un po’ di chiarezza: non esiste ancora in Cina un sistema di crediti sociali nazionale, essendo prevista una sua valutazione proprio nel 2020. Esistono però diversi tipi di crediti sociali che subiranno o stanno già subendo modifiche a causa del coronavirus.
Ne esistono infatti diversi: il credito sociale applicato alle aziende (tanto governativo, quanto locale), le black list e le red list (entrambe stabilite da organi del governo ma utilizzate in alcuni casi anche dalle aziende private), i progetti pilota di alcune città che sperimentano un vero e proprio punteggio sociale degli abitanti e infine il credito sociale di natura specificamente finanziaria (già in uso anche negli Usa e in alcuni paesi europei), applicato per lo più dalle aziende private.
In pratica, se esisterà un sistema di crediti sociali più convincente di altri potrebbe essere adottato a livello nazionale, così come le diverse sperimentazioni potranno aiutare il partito a concepire un sistema unico, nazionale, in grado di integrare varianti di sistemi diversi già sperimentati (magari unendo punteggio cittadino e finanziario per determinare blacklist onnicomprensive).
Lo scopo finale del Partito comunista è la creazione di un unico gigantesco database nazionale nel quale ogni cittadino e ogni azienda avranno un punteggio sociale determinato dal proprio comportamento in termini di affidabilità economica (pagamento di multe, restituzioni di prestiti), penale, amministrativa (dipendente anche da comportamenti di natura civica come ad esempio suonare il clacson, effettuare una buona e diligente raccolta differenziata, ecc).
Se una persona sarà considerata affidabile avrà dei vantaggi, altrimenti avrà degli svantaggi (ad esempio, non poter viaggiare, penalità che pone il problema di una sproporzione tra «azione inaffidabile» e punizione conseguente). Esistono anche meccanismi di «recupero» dei crediti: l’assistenza agli anziani è un esempio, attività di volontariato del Partito, un altro.
Riportando tutto questo a noi, potremmo dire che attraverso sistemi di rating e meccanismi di gamificazione Pechino sta costruendo uno proprio sistema in grado di stabilire nuovi concetti di cittadinanza.
Nelle nuove e sfavillanti smart city cinesi in progettazione, chi potrà viverci? Il credito sociale potrebbe consentire o meno l’accesso a città sostenibili, controllate, «sicure» e a questo punto perfino popolata da persone «sane».
Come si incrocia dunque tutto questo progetto con la fase due dell’epidemia?
Per le aziende è più semplice: il loro credito sociale non sarà intaccato dal mancato pagamento di tasse o imposte a causa del coronavirus. In questi casi si tratta di procedure amministrative. Ugualmente per gli individui il proprio punteggio – nelle città dove esista già un ranking di ogni cittadino (esistono centinaia di programmi di questo genere) – non sarà modificato a causa di mancanza di natura economica- amministrativa.
Questo non accadrà, invece, nel caso di comportamenti poco affidabili associati alle proprie condizioni mediche: chi tenterà di non rispettare i codici- salute vedrà diminuire il proprio punteggio e incorrerà in sanzioni.
Come riassume China Briefing, dunque, gli uffici deputati al controllo «hanno l’autorità di astenersi dal detrarre il punteggio alle imprese che non riescono a pagare le assicurazioni sociali o le tasse a causa del coronavirus. Allo stesso modo, gli individui e le imprese che hanno temporaneamente perso la loro fonte di reddito e non sono in grado di soddisfare i pagamenti del prestito possono rimodulare il rimborso senza penalità». Oltre alle esenzioni, «il governo offre incentivi ad alcune aziende per aiutare il contenimento del coronavirus».
A Shanghai, «gli individui e le imprese che contribuiscono alla ricerca e allo sviluppo di prodotti e servizi che possono essere applicati alla prevenzione e al controllo dell’epidemia possono aggiungere punteggio al loro credito e guadagnare un trattamento preferenziale per il finanziamento del progetto».
Le radici storiche del controllo cinese
Può apparire tutto piuttosto spiazzante, o inquietante, ma perfino il sistema dei crediti sociali ha radici antiche nella cultura cinese.
Nel 500 a.C. circa Confucio si pose come obiettivo quello di coordinare tutte le aspirazioni presenti nella società , attraverso una serie di regole per mantenere l’ordine. La morale divenne un elemento integrante della nuova società: una qualità personale intima, in opposizione ai simboli di prestigio della nobiltà. In pratica, divenne lo Stato a decidere cosa è morale e cosa no, arrogandosi il diritto di stabilirlo anche per i cittadini.
Durante la dinastia Song (960-1279) uno dei riformatori più importanti nella storia cinese, Wang Anshi, è ricordato anche per aver immaginato e istituito il sistema di «sorveglianza reciproca» del baojia, un’organizzazione gerarchica e una vera e propria distribuzione dello spazio e del potere attraverso gruppi di famiglie, le cui funzioni erano legate al controllo locale: difesa, polizia, sicurezza e autocensimento.
L’obiettivo di questo sistema, allora, era duplice: da un lato, poiché i membri di ciascuno gruppo si occupavano del censimento e si controllavano reciprocamente, manlevava il governo locale dalle attività amministrative. Dall’altro, il sistema funzionava come una sorta di esercito paramilitare (addestrato all’attacco e alla difesa) in sostituzioni di forze militari vere e proprie .
E oggi?
Ora, dobbiamo provare a fare uno sforzo per immaginarci tutta questa storia, proseguita oggi con una organizzazione territoriale che ancora mantiene certe caratteristiche del passato (anche maoista), con la potenza di videocamere e riconoscimento facciale.
Si tratta di un percorso che arriva da lontano e che è progredito in parallelo al grande sviluppo tecnologico del paese.
E il Pcc può utilizzare questo sistema, ritoccato o riaggiornato con le esigenze di contenimento del Covid-19, per assicurare oltre che benessere anche la «sicurezza» ai propri cittadini (così viene inteso il sistema dei crediti sociali dalla gran parte della popolazione cinese) e assicurare per sé il «mantenimento della stabilità», quanto di più importante esista per il Pcc.
[Pubblicato su il manifesto]
Fondatore di China Files, dopo una decade passata in Cina ora lavora a Il Manifesto. Ha pubblicato “Il nuovo sogno cinese” (manifestolibri, 2013), “Cina globale” (manifestolibri 2017) e Red Mirror: Il nostro futuro si scrive in Cina (Laterza, 2020). Con Giada Messetti è co-autore di Risciò, un podcast sulla Cina contemporanea. Vive a Roma.