Dal 2009 l’Indonesia ha iniziato a migliorare il sistema di protezione sociale finanziandolo col risparmio ottenuto da un lento abbandono della politica dei sussidi su alcuni prodotti base come riso e, soprattutto, benzina. Una politica andata avanti per decenni e sostenuta da qualche progetto mirato a categorie di cittadini per un certo numero di anni che non dava però grandi risultati. La svolta decisiva si deve a Joko «Jokowi» Widodo, il presidente riformista da poco riconfermato alla presidenza cui si deve una sorta di piccola rivoluzione che, secondo gli entusiasti, ne fa l’operazione numericamente più spettacolare nella storia del welfare dei Paesi in transizione verso lo sviluppo (coi dovuti distinguo che la parola impone).
La rivoluzione inizia il 3 novembre 2014 quando il neo eletto Jokowi lancia il più ambizioso piano di welfare del Paese che si basa essenzialmente su tre programmi nazionali: Carta della famiglia (Psks), Indonesia Smart Card (Kip) e Carta della salute (Kis): si guadagna persino il plauso dell’Economist: «Obama – scriverà il magazine – ci ha messo 472 giorni per trasformare in legge il suo health-care. Joko Widodo ha impiegato solo due settimane per onorare le promesse in tema di sanità e istruzione».
Il presidente ha basato la sua azione innovatrice trasformando il risparmio sul budget ottenuto col graduale taglio dei sussidi sia in denaro da riconvertire in assistenza, sia in investimenti infrastrutturali in grado di attrarre investimenti.
La scommessa si basava su un tasso di crescita annua di almeno il 7% annuo e sulla capacità – che ancora si sta testando – di controllare la riforma con database informatici efficaci fatto che, secondo i suoi critici, non farebbe che appesantire e rendere più invasiva la burocrazia statale aumentando deficit e corruzione.
L’assicurazione sanitaria nazionale (Jaminan Kesehatan Nasional-Jkn) gestita dal Badan Penyelenggara Jaminan Sosial (Bpjs) è tra le più estese del mondo e copre circa l’84% della popolazione. È stata progettata per far accedere soprattutto i bassi redditi ai servizi sanitari: per i poveri, il premio assicurativo è interamente pagato dallo Stato mentre i dipendenti privati dividono il premio tra loro e i datori di lavoro. Resta il problema degli autonomi, le cui iscrizioni sono ancora basse anche se il settore informale costituisce gran parte della forza lavoro. Il piano garantisce assistenza di base, servizi avanzati e ricovero. È diviso in tre categorie assistenziali a seconda del premio pagato.
I critici fanno notare che nel 2019, Jokowi ha dovuto firmare un decreto per raddoppiare i premi a fronte di un deficit di circa 2 miliardi di dollari. Il piano prevede comunque che alla presenza dello Stato si affianchino forme private di investimento sulla propria salute. A questo punto vale la pena di dare un’occhiata anche al nuovo sistema pensionistico gestito dal Bpjs, l’Istituto per la Previdenza Sociale, che ha per scopo l’adesione dei lavoratori privati a un sistema in passato rivolto solo a dipendenti pubblici e militari. I margini di ampliamento dell’adesione al nuovo sistema sono ancora molto ampi.
A oggi la platea sarebbe di circa 12 milioni di lavoratori, circa l’11% di una forza lavoro di poco più di 134 milioni, quasi il 50% della popolazione. Un così ridotto numero di partecipanti è in parte dovuto al fatto che sia obbligatorio per le grandi e medie imprese, dove rispettivamente la copertura è del 90% e del 66%, mentre non lo sia per le piccole. A ciò si aggiungono gli informali che sfuggono a qualsiasi formalizzazione del rapporto di lavoro.
La contribuzione richiesta è del 3% del salario mensile: 1% a carico del lavoratore, 2% per il datore di lavoro. Viene riconosciuta una pensione pari al 15% del salario dopo 15 anni di contribuzione e pari al 30% dopo 30 anni. Non è molto (è al di sotto della percentuale minima indicata dall’Organizzazione internazionale del lavoro che è del 40% dopo 30 anni di contribuzione) ma è un grande passo considerando che non vi era alcuna forma di pensione nel privato. Le condizioni per accedervi sono tre: anzianità, invalidità, decesso del lavoratore per i familiari. Per la prima, le condizioni minime sono di avere 57 anni e almeno 15 di contributi.
Per la seconda non esiste soglia anagrafica ma, a fronte di invalidità parziale o permanente, è richiesta la contribuzione di almeno un mese di lavoro. In caso contrario si stabilisce un una-tantum. L’ultima condizione richiede che ci sia stata una contribuzione del deceduto pari ad almeno un anno.
Di Guido Corradi ed Emanuele Giordana
[Pubblicato su il manifesto]