La città di Wuhan ha chiuso il primo dei 16 ospedali costruiti appositamente per far fronte all’epidemia di coronaviorus. Dimessi gli ultimi 34 pazienti, la struttura ha completato la sua missione. Segno – anche più attendibile delle statistiche ufficiali – che la situazione nella città epicentro del contagio sta lentamente migliorando. Secondo la commissione sanitaria nazionale, domenica per la prima volta da gennaio il bilancio giornaliero dello Hubei è sceso sotto le 200 unità. Nel resto del paese si cerca di tornare alla normalità. Sono almeno diciotto le province ad aver abbassato il livello di emergenza per tentare di far ripartire l’economia dopo un mese di restrizioni sulla mobilità. Messe insieme contano per il 51% del Pil nazionale. Il presidente Xi Jinping invita tuttavia a non abbassare la guardia. Visitando un’accademia militare di Pechino, ieri il leader ha sottolineato la necessità di intensificare la ricerca scientifica in materia di vaccini, farmaci e test. “Combattendo questa dura battaglia, la Cina dovrebbe ottenere il [controllo di] più tecnologia di base con la proprietà intellettuale propria, creare più prodotti di base per proteggere meglio la vita e la salute delle persone e contribuire maggiormente a salvaguardare la sicurezza nazionale e strategica”. [fonte: Reuters]
I cinesi in Italia preoccupati da COVID-19
In Italia il numero di casi confermati di COVID-19 ha superato quota 2000, con ben dodici città del nord Italia blindate per limitare il contagio. In questi giorni il panico e l’insicurezza aumenta anche per i cittadini cinesi residenti nel paese, scettici sull’efficacia delle misure adottate dai governi locali per contrastare l’epidemia. Secondo quanto riportato dal semiufficiale Global Times, sarebbero molti i cinesi ad aver deciso di rimpatriare a causa della scarsa attenzione dimostrata dagli italiani alla prevenzione. Il rimpatrio sarebbe giustificato in particolare dalla presunta inefficienza del sistema sanitario italiani e lo scarso approvvigionamento di mascherine e cibo nei supermercati. A ciò si aggiungono i casi di razzismo e violenza che hanno coinvolto la comunità cinese in Italia. Secondo il Global Times, questi episodi suggeriscono la scarsa sensibilizzazione e preparazione con cui l’Italia sta affrontando il nuovo coronavirus. Per molti ora, che in casi sono in diminuzione, la Cina è un luogo persino più sicuro, tanto che nella provincia del Zhejiang – una delle zone più colpite dal virus e da cui proviene buona parte della comunità cinese – associazioni e gruppi di volontari stanno raccogliendo mascherine e protezioni da mandare in Italia. La provincia ha già registrato 7 casi di coronavirus importati dal Belpaese, tutti concentrati nella contea di Qingtian. [fonte: Global Times, Reuters]
Gli Usa limitano il numero di corrispondenti cinesi
La libertà di stampa entra a pieno titolo nella lista dei contenziosi tra Cina e Stati Uniti. Nella giornata di ieri, l’amministrazione Trump ha annunciato le prime limitazioni contro i giornalisti cinesi presenti in territorio americano. A partire dal 13 marzo, il numero dei corrispondenti di nazionalità cinese impiegati dai media statali Xinhua News Agency, China Global Television Network, China Radio International e China Daily Distribution Corp verrà ridotto complessivamente da 160 a 100. Citando “un’intensificazione della repressione” sull’informazione indipendente oltre la Muraglia, il dipartimento di Stato ha paragonato la libertà di parola nella Cina di Xi Jinping a quella dell’Unione Sovietica al culmine della guerra fredda. Le quattro testate rientrano tra le cinque designate pochi giorni fa come “missioni straniere”, quindi tenute a rispettare determinati requisiti amministrativi applicati anche alle ambasciate e ai consolati stranieri. Haitian Development USA, a cui appartiene il Quotidiano del popolo, non risulta avere in loco reporter cinesi. Non è chiaro se l’ultima mossa di Washington sia da attribuire direttamente alla recente espulsione dei tre reporter del Wall Street Journal. Solo ieri il Foreign Correspondents’ Club of China ha condannato l’inasprimento delle misure coercitive applicate dal governo cinese contro i giornalisti stranieri, in particolare la strumentalizzazione di visti e credenziali. [fonte: NYT]
Biglietti aerei economici quanto “i cavoli”
Per tentare di uscire dalla crisi virus, le compagnie aeree cinesi pesantemente colpite dal blocco dei voli stanno offrendo biglietti a prezzi stracciati. O meglio, per utilizzare l’espressione comparsa sul portale Sina.com, allo stesso “prezzo dei cavoli”. Nel mese di febbraio il settore ha perso 13 miliardi di yuan a causa dell’interruzione dei trasporti introdotta per limitare la propagazione dell’epidemia. Ma con il calo dei contagi, le compagnie sono pronte a ripartire. Questa settimana verranno ripristinati circa 3 milioni di posti disponibili, principalmente per le rotte nazionali. Per avere un’idea dell’affare, un viaggio diretto di sola andata da Shanghai a Chengdu con Juneyao Airlines con partenza per sabato costa solo 90 yuan (13 dollari) più 50 yuan in tasse. [fonte: Bloomberg]
Coronavirus: le aziende cinesi si scambiano i dipendenti
In tempi di coronavirus, la Cina sperimenta, crea nuove strategie di sopravvivenza. Una di queste è la “gongxiang yuangong”, ovvero la sharing economy declinata alla forza lavoro. Si tratta sostanzialmente di travasare il personale dai settori più colpiti dall’emergenza virus – come i ristoranti – verso quelle poche attività commerciali che hanno visto un incremento della richiesta: sopratutto piattaforme di e-commerce e aziende di distribuzione. Con milioni di cinesi in quarantena, la richiesta di servizi di delivery, ha fatto schizzare la domanda di corrieri e personale addetto alle consegne. L’esperimento è stato lanciato a inzio febbraio da Hema Xiansheng, la catena di supermercati di Alibaba, e da allora sono molte le realtà (anche straniere) ad aver adottato il sistema. Secondo il National Business Daily, dal 19 febbraio Hema ha aggiunto al proprio staff oltre 3.000, mentre più di 4.000 persone hanno aderito al piano inaugurato da Suning. Come spiega Xinhua Cao Jing, direttore del Centro per l’occupazione e le risorse umane di Hefei, “il sistema di condivisione dei dipendenti può distribuire efficacemente i costi di manodopera e gli oneri operativi delle aziende. Ciò garantisce anche un reddito di base per i dipendenti, risolve il problema di una carenza temporanea di lavoratori e viene ora riconosciuto da sempre più aziende”. Ma gli esperti mettono in guardia dai rischi legali. [fonte: Sixth Tone]
Coronavirus : aumentano le violenze domestiche
La crisi innescata dal coronavirus sta portando a galla storie tragiche, spesso incorniciate da contesti famigliari resi estremi dalle misure restrittive in vigore dallo scorso gennaio in buona parte del paese. Secondo il portale Sixth Tone, uno degli effetti collaterali della segregazione antivirus è da ricercare nell’aumento vertiginoso di casi di violenze domestiche. A confermarlo è un ex ufficiale di polizia che ora gestisce una non profit a Jingmen, nello Hubei, stando al quale il numero degli abusi tra le mura di casa è quasi raddoppiato dall’inizio della quarantena. Solo nel mese di febbraio a stazione di polizia nella contea di Jianli, che amministra Jingmen, ha ricevuto 162 segnalazioni di violenze domestiche, tre volte più dei 47 denunciati nello stesso mese dell’anno precedente. Anche il numero di casi segnalati a gennaio era raddoppiato rispetto allo stesso periodo del 2019. “L’epidemia ha avuto un impatto enorme sulla violenza domestica”, spiega il funzionario in pensione, “secondo le nostre statistiche, il 90% delle cause della violenza sono legate all’epidemia di COVID-19”. Giocano un ruolo centrale la paura e l’ansia causate dalla reclusione prolungata, così come la scarsa disponibilità delle forze di polizia troppo impegnate nella gestione della crisi per occuparsi di affari di famiglia. [fonte Sixth Tone]
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Classe ’84, romana doc. Direttrice editoriale di China Files. Nel 2010 si laurea con lode in lingua e cultura cinese presso la facoltà di Studi Orientali (La Sapienza). Appena terminati gli studi tra Roma e Pechino, comincia a muovere i primi passi nel giornalismo presso le redazioni di Agi e Xinhua. Oggi scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra le quali Il Fatto Quotidiano, Milano Finanza e il Messaggero. Ha realizzato diversi reportage dall’Asia Centrale, dove ha effettuato ricerche sul progetto Belt and Road Initiative. È autrice di Africa rossa: il modello cinese e il continente del futuro.