Il virus di Wuhan costituisce un “alto rischio” per il mondo. L’Organizzazione mondiale della sanità ha rivisto il proprio giudizio in merito all’epidemia scaturita dalla città della Cina centrale proprio mentre il direttore dell’agenzia internazionale Tedros Adhanom Ghebreyesus si trova oltre la Muraglia per valutare l’intervento del governo cinese. Per l’Oms, non si tratta ancora di un’emergenza globale. Ma con il moltiplicarsi del numero dei contagi all’estero (oltre 50 sebbene nessuno letale) la minaccia per la comunità internazionale non è più da considerarsi “moderata”.
Lunedì, i casi accertati nella Cina continentale hanno toccato quota 2840 per un totale di oltre 80 morti e una sessantina di guarigioni. Tra le vittime, è comparso per la prima volta il nome di un funzionario: Wang Xianliang, capo dell’Ufficio municipale per gli affari etnici e religiosi di Wuhan- secondo la rivista Caixin – deceduto il 26 gennaio dopo un inutile ricovero ospedaliero. Il virus non guarda più in faccia a nessuno. Nella giornata di ieri, il premier Li Keqiang – nominato a capo di un nuovo team “anticrisi” – si è recato personalmente sul posto per verificare lo stato dei soccorsi e rincuorare la popolazione locale, “intrappolata” a Wuhan dall’imposizione della quarantena. Il leader ha ringraziato il personale medico per l’impegno dedicato, malgrado la scarsezza di risorse a disposizione.
Riaffermare la vicinanza ai cittadini spesso aiuta a sgonfiare il malumore causato dagli inciampi dei funzionari locali, secondo un copione già testato all’indomani del terremoto del Sichuan (2008) e all’epoca della Sars. Anche stavolta, mentre la risposta delle autorità si è dimostrata complessivamente migliore (soprattutto nello scambio di informazioni con la comunità scientifica), l’efficacia delle misure adottate continua a generare qualche perplessità.
Alla fine della scorsa settimana un rispettato giornalista dello statale Hubei Daily è ricorso alla piattaforma online Weibo per chiedere il licenziamento “immediato” dell’establishment locale, colpevole di aver sottostimato la gravità della situazione e occultato i veri numeri dell’epidemia. Accuse a cui il sindaco di Wuhan ha risposto difendendo il proprio operato e offrendo le dimissioni “se questo potrà salvare la vita delle persone”. Per sua stessa ammissione, sarebbero 5 milioni i residenti potenzialmente infetti ad aver lasciato la città prima del blocco dei trasporti.
Intanto, nel weekend, Pechino ha annunciato nuovi provvedimenti per contenere la diffusione del virus, dal divieto temporaneo su scala nazionale della vendita di animali selvatici (probabile fonte della malattia) alla sospensione dei gruppi turistici passando per un’estensione delle vacanze per il Capodanno lunare fino al 2 febbraio. Troppo tardi secondo uno studio della University of Göttingen, stando al quale, pur ipotizzando che la quarantena riesca a coprire il 90% dei pazienti, al ritmo attuale si prevedono in tutto 59.000 infezioni e 1.500 decessi; pari a due volte il bilancio della SARS. Anche senza arrivare a tanto, un’interruzione prolungata della mobilità interna potrebbe costare alla Cina un calo del Pil dell’1% nel 2020.
[Pubblicato su il manifesto]
Classe ’84, romana doc. Direttrice editoriale di China Files. Nel 2010 si laurea con lode in lingua e cultura cinese presso la facoltà di Studi Orientali (La Sapienza). Appena terminati gli studi tra Roma e Pechino, comincia a muovere i primi passi nel giornalismo presso le redazioni di Agi e Xinhua. Oggi scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra le quali Il Fatto Quotidiano, Milano Finanza e il Messaggero. Ha realizzato diversi reportage dall’Asia Centrale, dove ha effettuato ricerche sul progetto Belt and Road Initiative. È autrice di Africa rossa: il modello cinese e il continente del futuro.