Per la prima volta in oltre trent’anni, Washington ha espulso due impiegati dell’ambasciata cinese sospettati di spionaggio. E’ quanto riporta il NYT, secondo il quale i due – accompagnati dalle rispettive mogli – avrebbero cercato di intrufolarsi all’interno di una base militare in Virginia lo scorso settembre. Almeno uno dei fermati pare sia un funzionario dell’intelligence cinese sotto copertura diplomatica. L’episodio, che non è stato reso pubblico, è il primo del genere da quando nel 1987 il governo americano ha rimpatriato altri due ufficiali della sede diplomatica cinese. Stando a diverse fonti, gli ultimi anni hanno visto un’intensificazione delle operazioni dei servizi segreti di Pechino presso gli uffici governativi e gli istituti di ricerca statunitensi. Quanto accaduto a settembre sembra abbia contribuito a inasprire le misure per le visite dei diplomatici cinesi a livello statale e locale, che dal 16 ottobre devono essere precedute da approvazione ufficiale. [fonte: NYT]
Ritorsioni contro l’Arsenal per commenti pro-uiguri
Dopo l’NBA anche l’Arsenal subisce la punizione implacabile di Pechino. Nel weekend la CCTV ha deciso di non trasmettere la partita della squadra inglese con il Manchester City bensì quella tra il club avversario Tottenham Hotspur e il Wolverhampton Wanderers. Motivo? Le critiche mosse dal calciatore di origine turca Mesut Ozil contro la repressione delle minoranze islamiche attuata da Pechino nel Xinjiang con la connivenza dei paesi musulmani. “Il corano viene bruciato. Le moschee chiuse. Le loro scuole bandite” è uno dei commenti apparsi sull’account Twitter e Instagram del centrocampista. La società ha prontamente preso le distanze riaffermando su Weibo la propria determinazione a “non interferire nelle questioni politiche”. Troppo tardi. La risposta del web cinese non si è fatta attendere. C’è chi, oltre alla scuse, ha chiesto misure punitive contro l’autore dei post diffamatori. Persino la Federcalcio cinese ha preso la parola accusando l’atleta di aver “ferito i sentimenti del popolo cinese”. Con quasi 200 milioni di fan, il Paese di Mezzo rappresenta per il calcio straniero un mercato troppo ghiotto per commettere passi falsi. Ma, come insegna il caso dell’NBA, il business porta vantaggi reciproci e le ritorsioni spesso finiscono per avere effetti indesiderati a doppio senso. [fonte: NYT]
La Banca Mondiale obbliga gli impiegati taiwanesi a richiedere il passaporto cinese
Il ministero degli Affari esteri taiwanese ha richiesto alla Banca mondiale di abbandonare l’obbligo imposto al personale di Taiwan di possedere un passaporto cinese. Infatti, secondo quanto rivelato venerdì scorso dall’agenzia di stampa Axios, le risorse umane della World Bank avrebbero confermato l’esistenza di linee guida che dichiarano che il personale o i candidati provenienti da Taiwan debbano obbligatoriamente presentare documenti di identificazione della Repubblica Popolare cinese, pena il licenziamento o l’esclusione dal processo di selezione. Tali linee guida, postate sulla piattaforma interna della World Bank nel marzo del 2019 ma risalenti al 1999, sono finite sotto scrutinio internazionale a causa del malcontento di numerosi impiegati che hanno espresso il loro malcontento in sede sindacale ed istituzionale. Sebbene il management della Banca Mondiale si sia scusato per l’accaduto, specificando che le linee guida non sono mai state effettivamente incorporate al regolamento sulle assunzioni, le istituzioni taiwanesi stanno cercando di indagare sull’impatto che tale politica ha avuto sull’influenza cinese all’interno della Banca Mondiale. Gli impiegati di nazionalità taiwanese sono infatti l’unica possibilità per Taiwan di partecipare alle attività della Banca Mondiale, che come la maggior parte delle istituzioni internazionali riconosce la Repubblica Popolare come partner ufficiale. [fonte: Axios]
Un sondaggio fa luce sulle condizioni delle carceri cinesi
Una recente inchiesta lanciata da un avvocato di Guangzhou ha fatto luce sulle condizioni dei detenuti nelle carceri cinesi.
Secondo la ricerca, condotta dall’avvocato Huang e corroborata da studi di altri esperti in diverse parti del territorio cinese, nella maggior parte delle prigioni cinesi i detenuti vivrebbero in condizioni estreme. Quasi tutti gli intervistati hanno infatti affermato di dormire in celle affollate e di non poter usufruire del tempo all’aperto stabilito dalla legge, che in Cina è fissato ad almeno due ore per i detenuti non sottoposti a sorveglianza speciale. Huang ha denunciato inoltre casi in cui ai detenuti è stato negato il trattamento medico oppure l’accesso giornaliero ai servizi sanitari, anch’esso previsto dalla legge. Sebbene accolto favorevolmente da molti avvocati ed attivisti cinesi, molti esperti nel settore sottolineano come lo studio – il primo del genere – non consideri un’altra questione importante riguardo al sistema giudiziario cinese: quella della presunzione di innocenza. La Cina possiede infatti uno dei codici penali più rigidi al mondo, che permette ben 157 mesi di detenzione provvisoria in attesa del processo. [fonte: SCMP]
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