Sulle proteste di Hong Kong il partito comunista cinese ad ora si è espresso attraverso il proprio ufficio politico presente nell’ex colonia.
Le manifestazioni in corso ormai da undici settimane sono state criticate in quanto violente ed eterodirette dagli Stati uniti; ai manifestanti è stato ricordato che attualmente è in vigore il cosiddetto status «un paese due sistemi» e che se le violenze di piazza proseguiranno il governo cinese le considererà alla stregua di atti di terrorismo. Si tratta di una posizione quasi dovuta, cui corrisponde per ora la decisione di Xi Jinping di aspettare prima di compiere qualsiasi mossa pratica e vedere che succede.
MA IL PARTITO COMUNISTA ha gli strumenti per mandare messaggi molto netti anche al di fuori della questione specifica delle proteste e soprattutto al di là dell’eventuale intervento dell’esercito che ad ora è parsa più una minaccia che una reale intenzione: domenica, il giorno della manifestazione pacifica che secondo gli organizzatori sarebbe stata partecipata da 1,7 milioni di persone, Pechino ha svelato il piano di sviluppo per Shenzhen, città confinante con Hong Kong, destinata, in pratica, a diventare non solo la «città modello della nuova era di Xi Jinping», ma anche l’hub tecno-finanziario preferenziale per la Cina.
Significa che Pechino manda un messaggio molto chiaro: ora come ora Hong Kong non è più fondamentale come prima e nel futuro potrebbe esserlo ancora meno.
Non è detto che questo lasci presagire un disimpegno nei confronti dell’ex colonia ma significa che Pechino valuterà la propria reazione anche in base all’importanza strategica che la città avrà nei propri progetti futuri; Hong Kong rimane infatti uno dei «quattro pilastri» del mega progetto della Greater Bay Area (una sorta di polo tecnologico e finanziario di caratura mondiale) insieme a Shenzhen, Macao e Canton, ma non sarà più la «numero uno».
Le note del partito comunista con le quali Shenzhen diventa l’esperimento «pionieristico del socialismo con caratteristiche cinese» ha avuto indubbiamente un tempismo micidiale anche se in realtà il progetto è in fase di studio, come capita a tutti i progetti cinesi, da molto tempo, così come da tempo Shenzhen è vista come la vera alternativa a Hong Kong, tanto più a questa recente caotica Hong Kong falcidiata, dal punto di vista cinese, da ormai tre mesi di proteste.
Il percorso che dovrà portare Shenzhen a diventare un città hi-tech e finanziaria «modello» per tutto il mondo nel 2050 (ricordiamo inoltre che la Cina ha in cantiere 500 smart city), vede due tappe intermedie da realizzarsi entro il 2025 e il 2030. Sui media cinesi si è sottolineata non poco l’importanza storica della città.
SUL MAGAZINE IN MANDARINO Ifeng un editoriale di un funzionario cinese ha sottolineato il peso «storico» della metropoli: Shenzhen solo 40 anni fa era un villaggio con un’unica strada e circa 70 mila abitanti. Oggi è una megalopoli con oltre 12 milioni di abitanti.
Il fatto è che proprio Shenzhen venne scelta da Deng Xiaoping all’inizio dell’epoca delle riforme per diventare una zona economica speciale. Fino a un po’ di anni fa – infatti – si diceva che per vedere la vera Cina bisognava andare a Shenzhen, una delle «capitali» della «fabbrica del mondo». Oggi potrebbe dirsi la stessa cosa ma per andare a vedere la nuova capitale «tecno-finanziaria» della Cina.
A SHENZHEN infatti sono nate le più importanti aziende tecnologiche cinesi, dalla Huawei alla Tencent, produttrice di WeChat. Secondo quanto riportato dal magazine cinese National Business Daily, Shenzhen è un punto di osservazione particolare anche per i funzionari cinesi: «Le statistiche riportano che almeno 300 quadri di partito si sono recati nella città negli ultimi cinque anni: i risultati hanno mostrato che Shenzhen è stata la città più visitata e studiata, per un totale di 55 delegazioni di partito e governo».
Un altro aspetto che sarà interessante verificare è quello relativo ai poteri «autonomi» della città: stando ai documenti anche l’amministrazione della metropoli potrà seguire un suo sviluppo autonomo.
[Pubblicato su il manifesto]Fondatore di China Files, dopo una decade passata in Cina ora lavora a Il Manifesto. Ha pubblicato “Il nuovo sogno cinese” (manifestolibri, 2013), “Cina globale” (manifestolibri 2017) e Red Mirror: Il nostro futuro si scrive in Cina (Laterza, 2020). Con Giada Messetti è co-autore di Risciò, un podcast sulla Cina contemporanea. Vive a Roma.