Negli anni, le ho viste nei parchi e nei musei, in padiglioni o in veri e propri memoriali. Una a Hong Kong (Xianggang 香港), Macao (Aomen 澳门) Nanchino (Nanjing南京), Shenzhen 深圳, Humen 虎门, Urumqi (Wulumuqi 乌鲁木齐),Yining 伊宁, due a Singapore (Xinjiapo 新加坡), un paio anche a Fuzhou 福州; e una persino nel museo delle cere di Londra, e ce n’è un’altra che svetta nella Chinatown di Philadelphia e un’altra ancora a New York. Chissà quante altre ce ne sono in giro.
Parlo, è ovvio, delle statue dedicate a Lin Zexu 林則徐 (1785-1850), l’incorruttibile funzionario imperiale che si oppose con tutte le sue forze all’introduzione dell’oppio in Cina. Una storia tragica che possiamo sintetizzare con una semplice e agghiacciante sequenza: gli Inglesi producevano oppio in India, la legge britannica ne vietava il commercio in patria e nelle colonie, e allora essi decisero di imporne con tutti i mezzi l’acquisto ai Cinesi.
L’oppio? Figuriamoci! I cinesi conoscevano le sue proprietà già dall’epoca della dinastia Tang 唐 (618-907) quando fu introdotto da mercanti arabi; e, a parte che per uso terapeutico, le autorità non ne volevano sapere di diffonderlo massicciamente nel Celeste Impero. Nella più celebre opera di medicina cinese, il Bencao Gangmu 本草纲目(Trattato delle radici e delle erbe, o Compendio generale di materia medica) di Li Shizhen 李时珍(1518-1593) – naturalista e medico cinese di epoca Ming 明 – fra le 1892 sostanze citate (vegetali, animali e minerali), le 11096 ricette e le 1160 illustrazioni, c’è l’oppio: esso poteva essere utilizzato per curare alcune malattie polmonari e della digestione, per rinvigorire il desiderio sessuale, «accrescere» lo sperma, e per lenire i dolori, ma mai – mai! – per uso ricreativo.
Fino al termine della dinastia Ming (1644), l’oppio arrivava in Cina con il sistema dei tributi, ossia derrate inviate da quei paesi che non facevano parte dell’impero cinese ma erano a esso subordinati militarmente; in Da Ming Huidian大明会典 (Collezione degli statuti della dinastia Ming) si registra che, nel secolo XVI, assieme ad avorio, incenso, penne di pavone, corna di rinoceronte, pepe e spezie varie, da un’ambasceria del Siam furono donati anche 100 kg di oppio (allora chiamato wuxiang 乌香 (spezia nera o profumo nero). Poi arrivarono i mercanti occidentali. Per avere un’idea della brusca impennata dell’importazione illegale d’oppio, un paio di secoli dopo, nel 1730, ne furono introdotte in Cina 15 tonnellate; nel 1776 le tonnellate furono 76; all’inizio dell’Ottocento, 300 tonnellate; 3000 nel 1838.
Nel 1810, quando con l’aiuto di funzionari corrotti ormai l’oppio entrava a fiumi in Cina venduto da contrabbandieri cinesi e mercanti senza scrupoli inglesi, malesi e americani, e fiorivano dappertutto le fumerie, un editto imperiale decretava: «L’oppio è un pericolo. L’oppio è un veleno, mina le nostre buone abitudini e la nostra morale. Il suo uso è proibito dalla legge.» Nonostante ciò, nel 1838, in Cina furono stimati undici milioni di oppiomani su circa quattrocento milioni di abitanti, in alcune regioni l’80% degli uomini e il 25% delle donne. Senza contare che l’oppio non era comprato con le comuni monete di rame, bensì con le monete d’argento, le stesse utilizzate per pagare le tasse e gli affitti; il drenaggio di questa divisa costituì un disastro finanziario e sociale per tutta la Cina.
Per debellare il traffico dell’oppio, nella primavera del 1839 fu inviato a Canton l’incorruttibile Lin Zexu, come commissario imperiale. Il gesto più significativo di Lin fu di sequestrare ai mercanti inglesi ventimila casse di oppio destinato al contrabbando, e di bruciarle in un rogo pubblico che – si narra – durò venti giorni. Questo episodio, assieme al rifiuto delle autorità britanniche di consegnare alla giustizia cinese un marinaio inglese che, ubriaco, aveva ucciso un ambulante cantonese, scatenò, nell’autunno, le prime ostilità dell’esercito inglese, efficiente e ben armato, contro l’anacronistico esercito cinese. È l’inizio della prima Guerra dell’Oppio. Nell’estate del 1840 la marina britannica attaccò le coste cinesi e successivamente occupò quello che allora era un piccolo borgo in posizione strategica per i commerci: Shanghai 上海.
Con l’ingratitudine che fin dall’antichità ha costellato la vita politica cinese, il governo della dinastia Qing 清destituì Lin Zexu(che fu mandato in esilio in Xinjiang 新疆) e si affrettò ad aprire un negoziato con i nemici. Il 29 agosto del 1842 venne firmato il Trattato di Nanchino (Nanjin Tiaoyue 南京条约), il primo dei cosiddetti “trattati ineguali” che umiliarono la Cina costretta a cedere su tutti i fronti: il versamento di sei milioni di dollari d’argento per pagare l’oppio messo al rogo da Lin Xezu, tre milioni per rimborsare i mercanti inglesi, dodici milioni come danni di guerra, la definizione di dazi fissi per l’importo (obbligatorio) di merci straniere, l’apertura di porti cinesi alle navi inglesi, e la cessione perpetua all’impero britannico dell’isola di Hong Kong.
Ed ecco che Hong Kong (Xianggang 香港, Porto Profumato, la cui difficile pronuncia cantonese fu corrotta dagli Occidentali in Hong Kong), da isoletta costiera, divenne il centro nevralgico delle attività commerciali britanniche, e passò dai circa 7000 abitanti a 115000, di cui più di 80000 erano inglesi. Con la seconda Guerra dell’Oppio (1856-1860) scatenata da una coalizione occidentale e persa ancora dalla Cina, i benefici commerciali furono estesi anche a Francia, Russia e Stati Uniti che pretesero l’apertura di altri porti e, fra le varie clausole, nuove indennità milionarie da pagare, e venne sancito il diritto degli stranieri di giudicare con un proprio tribunale i cittadini occidentali che avevano commesso crimini sul territorio cinese. L’episodio conclusivo di questa guerra fu la distruzione e il sacco del Palazzo d’Estate da parte delle truppe inglesi e francesi, con il furto di un numero considerevole di oggetti preziosi che, portati in Europa, diedero il via al fiorente mercato d’antiquariato di reperti artistici e storici cinesi cui si diede il nome di “chinoiseries”. Nel 1898, l’Inghilterra ampliò i suoi possedimenti di Hong Kong annettendo anche l’isola di Lantau e i New Territories, e firmò una convenzione con la quale si impegnava a restituire Hong Kong alla Cina dopo novantanove anni, cosa che è avvenuta il 1° luglio del 1997.
Una piccola chiosa sugli Hongkonghesi di oggi impegnati in un duro confronto con le autorità cinesi perché lascino invariate le garanzie democratiche. Chissà quanti di quei giovani che protestano con tanta determinazione per i propri diritti, sanno che sul piedistallo della statua dedicata a Lin Xezu, posta a New York, è incisa la frase “Pioneer in the War Against the Drugs”. E che sull’arco di granito che precede la statua, il Kim Lau Memorial Arch (dedicato a un aviatore sinoamericano morto durante la Seconda Guerra Mondiale), si legge “In memory of the Americans of Chinese Ancestry who lost their lives in defens of freedom and democracy”. Bizzarrie della Storia: le nefandezze del colonialismo furono tra le cause che dal 1850 in poi, per circa un secolo, provocarono una massiccia diaspora dal sud della Cina, e molti cinesi emigrarono anche negli Stati Uniti; ebbene, gli Americani hanno eretto un arco in memoria di quei discendenti degli immigrati cinesi, che hanno dato la propria vita per difendere la libertà e la democrazia di coloro che colonizzarono la Cina, terra dei loro antenati.
Di Isaia Innaccone*
**Isaia Iannaccone, nato a Napoli, chimico e sinologo, vive a Bruxelles. Membro dell’International Academy of History of Science, è specialista di storia della scienza e della tecnica in Cina, e dei rapporti Europa-Cina tra i secoli XVI e XIX. È autore di numerosi articoli scientifici, di trattati accademici (“Misurare il cielo: l’antica astronomia cinese”, 1991; “Johann Schreck Terrentius: la scienza rinascimentale e lo spirito dell’Accademia dei Lincei nella Cina dei Ming”, 1998; “Storia e Civiltà della Cina: cinque lezioni”,1999), di due guide della Cina per il Touring Club Italiano e di lavori per il teatro e l’opera. Ha esordito nella narrativa con il romanzo storico “L’amico di Galileo” (2006), best seller internazionale assieme al successivo “Il sipario di giada” (2007, 2018), seguiti da “Lo studente e l’ambasciatore” (2015) e “Il dio dell’I-Ching” (2017).