Mentre infuriava lo scontro tra Washington e Pechino, Xi Jinping ha detto parecchie cose. Ha celebrato il patriottismo il 29 aprile, ha invitato la polizia alla fedeltà e al mantenimento della stabilità il 10 maggio, ha dichiarato che non esiste alcuno scontro di civiltà il 15 maggio e infine, il 21 maggio ha detto ai cinesi di tenersi pronti a una nuova «lunga marcia».
Il presidente cinese Xi Jinping, nonostante sia considerato da analisti e giornalisti il responsabile del dietrofront cinese nelle negoziazioni con gli Stati Uniti, durante il surriscaldamento delle relazioni tra Usa e Cina e le sue derive tecnologiche tra Google e Huawei, ha tenuto alcuni discorsi all’interno dei quali possiamo tentare di leggere quale sia l’approccio della leadership a questo particolare momento storico.
Il 29 aprile Xi Jinping ha ricordato il Movimento del 4 maggio, di cui quest’anno cadeva il centenario. L’ha fatto a suo modo: celebrando le proteste di 100 anni fa nella chiave soltanto patriottica, Xi Jinping ha chiarito anche la sua posizione, se mai ce ne fosse bisogno, riguardo il secondo anniversario caldo dell’anno, il trentennale dai fatti di piazza Tiananmen (c’è un terzo anniversario importante nel 2019, i 70 anni della Repubblica popolare cinese che sarà festeggiato il prossimo primo ottobre).
C’è bisogno di una premessa: nel discorso del 2013 pubblicato di recente dalla rivista Qiushi, Xi Jinping aveva già espresso un accenno, seppure minimo, alle proteste del 1989, riferendosi a «eventi drammatici» che il Paese ha dovuto sopportare per mantenere la «strada delle riforme»: il riferimento appare chiarissimo.
Il 29 aprile scorso Xi Jinping ha esaltato l’immagine patriottica del Movimento del 4 maggio, lasciando da parte tutta la forza anti-autoritaria di quelle giornate. È normale, non ci si può aspettare qualcosa di diverso dal leader del Pcc.
Ma le sue precisazioni, ancora una volta, suonano particolarmente rilevanti in questo momento storico: quanto da sempre la leadership cinese teme di più è la confusione. «La storia – ha detto Xi Jinping – rivela profondamente che il patriottismo è affluito nel sangue della nazione cinese fin dai tempi antichi. Quelli che non sono patriottici, che arriverebbero persino a tradire la madrepatria, sono un disonore negli occhi del loro paese e del mondo intero».
Cosa dovrebbero fare dunque oggi i giovani cinesi? «I giovani cinesi nella nuova Era devono obbedire al partito e seguire quanto il partito decide».
Sullo sfondo non ci sono solo le commemorazioni, ma anche, naturalmente, la realtà di oggi. Se così Xi Jinping aveva saputo toccare le corde di molti cinesi con la «rinascita della nazione cinese» e un «sogno cinese» fatto di grandeur e orgoglio e propulsione economica, il presidente cinese ora cerca di rinsaldare le fila, perché la crisi con gli Stati Uniti presenterà momenti socialmente a rischio e l’intenzione della dirigenza sembra chiara: non esacerbare gli animi ma preparare la popolazione a un lungo scontro con gli Usa.
Un altro momento importante è arrivato il 15 maggio con il discorso di apertura alla Conference on Asian Civilizations Dialogue tenutosi a Pechino. In questo caso il messaggio di Xi Jinping era rivolto agli americani, in particolare a quegli americani che spingono sulla lotta tra civiltà per giustificare le azioni Usa anti Pechino.
Si tratta di un aspetto che pur essendo affascinante, non per tutti naturalmente, ha avuto un certo seguito nel mondo occidentale. Ma innanzitutto si tratta di qualcosa che arriva dagli Stati Uniti e non dalla Cina; infatti – al momento – è quanto di più distante dall’attuale postura cinese, decisamente coinvolgente – nel bene e nel male e con tutti i suoi limiti – rispetto ai «metodi» americani. Xi Jinping ha subito tentato di parare il colpo: il Pcc sa bene come e quando dosare il proprio nazionalismo (non a caso il Renmin Ribao ha ripreso un discorso analogo tenuto da Xi Jinping nel 2014 nella sua versione in mandarino).
E benché ci siano alcuni episodi che arrivano sui media occidentali (le canzoni e film anti americani che sono tornati nelle programmazioni dei media cinese), la linea indicata è quella di moderare questi spiriti.
«Nessuna civiltà è superiore agli altri: il pensiero che la propria civiltà sia superiore e l’inclinazione a rimodellare o sostituire altre civiltà sono semplicemente stupidi», ha detto, aggiungendo che fare ciò significherà creare «conseguenze catastrofiche».
Non a caso, qualche giorno prima Xi Jinping ha presieduto una conferenza nazionale di sicurezza pubblica a Pechino. Di fronte ai funzionari di polizia ha avvertito: «dovrete prevenire attivamente e risolvere adeguatamente i conflitti nella società».
Si tratta di parole che creano una cesura con i due appuntamenti precedenti e che tracciano anche un rinnovato interesse di Xi Jinping per le nuove tecnologie, di cui ha ricordato l’importanza anche per quanto riguarda le indagini e tutto quanto riguarda il comparto sicurezza.
Infine, nello stesso giorno nel quale il fondatore di Huawei, Ren Zhengfei, diceva alla stampa cinese che «Abbiamo sacrificato noi stessi e le nostre famiglie per il nostro ideale, per stare in cima al mondo. Per raggiungere questo ideale, prima o poi ci sarà conflitto con gli Stati uniti», Xi Jinping era in visita nella provincia dello Jiangxi, tappa iniziale di quella ritirata vincente che fu la Lunga marcia. Il Nanfang Zhoumo – nella sua edizione in mandarino – ha dedicato ampio spazio a questa visita, sottolineandone il peso politico.
Xi Jinping torna dunque al mito combattente del partito comunista pre 1949. Come riportato dai media locali, «Il presidente cinese Xi Jinping ha invitato la nazione a intraprendere una nuova lunga marcia e a ricominciare tutto daccapo».
«Siamo qui al punto di partenza della Lunga Marcia per ricordare il momento in cui l’Armata Rossa ha iniziato il suo viaggio, ora che ci stiamo imbarcando in una nuova lunga marcia e dobbiamo ricominciare tutto da capo».
Quella contro gli Stati Uniti sarà una nuova guerra di liberazione. E dovrà guidarla il partito comunista.
[Pubblicato su il manifesto]Fondatore di China Files, dopo una decade passata in Cina ora lavora a Il Manifesto. Ha pubblicato “Il nuovo sogno cinese” (manifestolibri, 2013), “Cina globale” (manifestolibri 2017) e Red Mirror: Il nostro futuro si scrive in Cina (Laterza, 2020). Con Giada Messetti è co-autore di Risciò, un podcast sulla Cina contemporanea. Vive a Roma.